La lezione del «Viale elei Giusti »

Gerusalemme, sotto ogni albero c'è una lapide con il nome: la gente legge e depone sassi in segno di omaggio Gerusalemme, sotto ogni albero c'è una lapide con il nome: la gente legge e depone sassi in segno di omaggio La lezione del «Viale elei Giusti » Un albero a ricordo di chi ha salvato ebrei GERUSALEMME DAL NOSTRO INVIATO Questa che appare sotto forma di articolo di giornale è in realtà una pagina di diario, l'unica che abbia mai tenuto, scritta a Gerusalemme, nella notte tra il 29 e il 30 aprile, condannato all'insonnia e alla riflessione, sospinto fuori dalla storia personale e sfiorato dal sospetto che qualcosa di più assennato del caso mi avesse condotto all'incontro con la vicenda di un uomo chiamato Aristide de Sousa Mendes e, attraverso quella, al mistero dei Giusti. Perché ne ricavassi, finalmente, un senso e ne tenessi e ne rendessi conto. 30 APRILE '97 ORE 3 L'ho visto e, sulle prime, non ho compreso. Ho pensato: «Ecco: una stradina con alberi ai due lati, la solita messinscena di simboli che non sono mai veramente universali, ma appartengono a una sola cultura». Avevo viaggiato a lungo per arrivarci, a questo «Viale dei Giusti», fuori dal Museo dell'Olocausto, a Gerusalemme. Allarme bomba sul volo Roma-Tel Aviv, posti di blocco sulle strade di Israele. Mi ero portato un libro in viaggio, un autore italiano contemporaneo che amo: Eraldo Affinati. In «Bandiera bianca» aveva scritto: «Cresciuto nel Lager della mancata esperienza, come un condannato simbolico, avevo abbandonato la competizione effettuando una ritirata progressiva dalla comunità umana... d'altronde è assai più frequente vivere fuori da ogni stato di grazia che nel segno della grandezza». Così mi ero portato il suo «Campo del sangue», resoconto di un viaggio a piedi verso Auschwitz. Lui, accompagnato dai testi sui campi di concentramento. Io, accompagnato dal suo testo. I libri, più delle persone, sanno dove aspettarti e quando e con quali parole accompagnarti. Era un libro anche «La lista di Schindler», prima che Spielberg ne facesse un film. Ero venuto proprio per vedere l'albero dedicato a Schindler e poi gli altri, per cercare le tracce e il significato delle loro scelte, trovare una cliiave per l'enigma dei Giusti, salvatori di ebrei. Salvati da cosa e, soprattutto, da chi? Scrive Affinati: «Il nazismo riguarda la natura umana. Marguerite Duras testimoniò che Robert Antenne, suo marito, tornando dal Lager, non incolpò nessuno, né idee, né razze, né popoli. Accusò l'uomo». E allora, dopo Auschwitz, che cosa c'è nell'animo dell'uomo che valga ancora la pena di essere celebrato? Nulla, pensavo. Tuttavia l'ho chiesto a un signore di nome Mordecai Paldie!, che mi ha risposto: «C'è l'attimo in cui sceglie di essere un Giusto». Paldiel è il direttore del «Dipartimento dei Giusti», quelJo che decide chi lo è stato e ne compila la biografia. Si assicura che abbia salvato qualcuno, che non avesse legami con questo e che non abbia richiesto o ricevuto nulla in cambio. Allora proclama: «Costui fu un Giusto» e fa incidere il suo nome nel marmo. Paldiel aveva fretta di andare dal dottore, aveva tremende fitte allo stomaco. Pensavo non mi volesse parlare. Non ha taciuto per due ore. Un professore che spiega la lezione all'allievo riluttante. Lento e grave. Sofferente, come da premessa. Spiegava: «I Giusti, non sono santi né eroi. Il santo ha la vocazione e la segue. L'eroe ha un ideale e si sacrifica per quello. Tutto secondo natura e logica. Il Giusto no, neppure lontanamente. Per tutta la vita è stato un uomo comune, uno come tanti, talvolta peggiore degli altri, poi ha fatto il gesto, imprevedibile, che lo riscatta. Oppure è uno che ha sempre sostenuto una tesi e felicemente l'ha contraddotta, è andato contro i suoi principi per salvare un altro. Se credessimo che sono individui straordinari escluderemmo la responsabilità di chi non è stato come loro, di chi, potendo, non ha salvato l'altro. Diremmo: non l'ha fatto perché non era nella sua natura. Invece no, nessuno è Giusto per natura, lo è diventato a contatto con l'esperienza. Ha guardato l'altro, un ebreo, che magari ha sempre odiato, ha capito che in quel momento era per lui Dio, con potere di vita o di morte su di lui e ha deciso di essere un Dio benevolo' e lo ha salvato, talvolta perdendo se stesso, sicuramente smentendosi. Perché lo abbia fatto, non si sa, è qualcosa di profondo nell'animo umano che viene a galla e che possiamo benedire senza capire». Gli ho chiesto esempi di tutto questo e mi ha mostrato un catalogo di uomini e donne capaci di passare dalla strada per l'inferno a quella del paradiso con un sol gesto. Uomini che picchiavano i loro figli, intervenuti a strappare uno sconosciuto bambino ebreo dalle mani di un agente della Gcstapo e a portarlo in salvo. Persone che per anni hanno offeso il vicino di casa chiamandolo «assassino di Cristo», sputando davanti alla sua porta e che poi lo hanno nascosto quando le SS sono venute a cercarlo. Gli ho domandato, memore del libro di Affinati, se tra i Giusti ci fosse Else Krug, ex prostituta specializzata nella clientela masochista, quindi abituata a essere pagata per picchiare chi lo chiedeva, ma che, nel lager di Ravensbruck, rifiutò di bastonare una detenuta e fu condannata a morte. Mi ha risposto di no e mi ha raccontato, in compenso, di una polacca di nome Sofia Schmitt, il cui marito e figlio, vantando ascendenze germaniche, si erano arruolati nell'aviazione tedesca. Lei, rimasta sola e senza proventi, cominciò a prostituirsi. Aveva la casa piena di svastiche, ma ne fece un rifugio per gli ebrei perseguitati. Nessuno faceva caso agli uomini che entravano e uscivano. Nessuno faceva caso agli uomini che entravano e non uscivano più, nascosti in cantina. Suo marito e suo figlio bombardavano in nome di Hitler, lei salvava vite in nome dell'umanità. Dopo la guerra, il marito e il figlio tornarono, sconfitti. Lei, unica vincitrice, li accolse. Non volle il suo nome nel viale dei Giusti perché loro non sapessero quel che aveva fatto, del suo corpo e del suo libero arbitrio. La ricordano solo Paldiel e i cento e più ebrei che ha salvato. Gli ho detto di Marcello Battaglini, che salvò la madre di Affinati dal treno per Auschwitz, rapendola sulla sua bicicletta e, dopo la guerra, morì suicida, forse per una delusione amorosa. Mi ha detto che molti Giusti si sono suicidati. Anche molti reduci, del resto. Come se essere stati dalla parte dell'innocenza e del coraggio non evitasse di lasciarsi crescere dentro un cancro altrettanto intollerabile del rimorso. Poi mi ha raccontato di Aristide de Sousa Mendes, figlio di un giudice, diplomatico da 25 anni, console portoghese in Francia nel 1942, in una Bordeaux assediata dai tedeschi, rifugio di 10 mila profughi ebrei in trappola. Un uomo ricco, padre di 13 figli, dall'avvenire garantito. Fedele al suo governo e al suo ministro Salazar che gli aveva appena inviato una circolare impedendogli di firmare visti d'uscita a ebrei. Mendes usciva in smoking da un locale di Bordeaux, quando incontrò il rabbino Kruger che dormiva per strada e si sentì chiedere aiuto, si sentì pregare di firmare i visti che avrebbero salvato 10 mila ebrei. Accettò. Ci pensò e accettò, sapendo di firmare la propria rovina. Passò un giorno intero a timbrare passaporti. Il giorno seguente due emissari di Salazar vennero ad arrestarlo, riportarlo in Portogallo per destituirlo. Alla frontiera vide la colonna degli ebrei in fuga, bloccata dai doganieri. Fece fermare l'auto, si appellò per l'ultima volta alla propria autorità, sollevò personalmente la sbarra sul confine e aspettò di veder passare l'ultimo fuggiasco prima di risalire sorridendo in macchina verso Lisbona, dove si lasciò togliere tutto e da dove parti per gli Stati Uniti, in cui morì dimenticato nel 1952. Paldiel mi ha consegnato il suo libro («The patii of righteous», il sentiero dei giusti), poi è andato dal dottore. Sono tornato nel viale, cercando l'abete di Aristide de Sousa Mendes. Ho superato il giardino con le lapidi. Ci sono molti spazi ancora disponibili e storie da verificare. Ci sono pini da poco piantati, per quelli la cui virtù è stata di recente accertata. Ci sono gli alberi di Schindler e Perlasca, Wallenberg e don Beccari. Targhe sotto ognuno di loro. Passanti che li guar- dano, annuiscono, depongono sassi alle radici, in segno di omaggio. E, sul ciglio, oltre una curva che domina la citta, l'alto abete per Mendes, che affonda le sue radici nel terreno di una coscienza capace di un sussulto. Molto tempo fa mi è stato chiesto quale attimo avrei voluto vivere. Ero incerto fra due possibilità. Il gigantesco indiano di «Qualcuno volò sul nido del cuculo» quando, nella scena finale, sradica un lavandino di cemento, lo scaglia contro una vetrata e fugge dal manicomio, liberando se stesso e il mondo spettatore dall'angoscia di ogni reclusione. Oppure Benjamin Federov nell'ultima pagina di «Voci di un giorno d'estate», di Irvin Shaw («11 sole era quasi tramontato. Si avvicino alla casa. Sua moglie e sua figlia erano affaccendate in cucina. Non lo videro guardare attraverso la finestra. I loro capelli brillavano sotto la luce delle lampade. Le due donne della famiglia erano passate attraverso i riti della bellezza, per accogliere il ritorno del marito e del padre. Sua moglie lo vide. Sorrise. Ci sono ancora dei porti»). Nessuna delle due. Il momento che vale la pena di vivere è quello in cui Aristide de Sousa Mendes tende la mano al rabbino Kruger e manda a ramengo la sua vita, tutta intera: la feluca e lo smoking, le ville e i soldi, il suo governo e le sue idee, l'avvenire suo e quello dei suoi tredici figli di papà. Il momento in cui si consegna a un futuro senza sicurezza né riconoscenza, che lo porterà a morire dimenticato in una strada straniera. No che non ci sono più porti. Soltanto nobili naufragi di capitani ubriachi e soli. Ma la nostra colpa sarebbe dimenticarli. Voi che vi riproducete, se l'ecografia dice che sarà maschio, almeno due tra di voi, chiamatelo Aristide. Non sarà un gran bel nome, ma ha un senso. E c'è bisogno di portare addosso un senso. Raccontategli perché si chiama così e fate che ne sia fiero. E' uiii? specie di polizza assicurativa sul valore della vita perché possa salvarsi salvando, o almeno essere pronto a farlo, perché abbia la scintilla, il «segno della grandezza» e non si arrenda pensando che «la letteratura è un soldo nel fango, la vita un sovrapporsi di mdividui eleganti e disperati», il futuro una corsa nel buio che soltanto un muro potrà fermare. Gabriele Romagnoli Un dipartimento ha il compito di decidere chi includere e poi redigerne la biografìa La storia del console portoghese che rinunciò a tutto per liberare diecimila profughi vesta strada non ospita santi ed eroi ma è per Vutmvo comune, quelb «che per tutta la vita è stato uno come tanti talvolta peggiore degli altri e poi ha fatto il gesto, imprevedibile, che b ha riscattato» L'OLOCAUSTO SU RAIUNO * Ore 6,45 UNO MATTI Pi A Immagini del film «Schindler's Lisi» di Steven Spielberg e un servizio sull'oro degli ebrei. * Ore 9,35 «L'ORO DI ROMA», film di Carlo Lizzani. * Ore 17 «I RAGAZZI DELL'OLOCAUSTO»: documentario sui bambini ebrei che vissero la discriminazione razziale, la ghettizzazione e il campo di concentramento. * Ore 18,10 ITALIASERA. Intervista a Settimia Spizzichino, 76 anni, unica donna italiana reduce da Auschwitz. * Ore 20,40. Speciale di Gad Lerner che intervisterà Moshe Bejski. uno degli ebrei salvati da Oskar Schindler Poi collegamento dal Museo di Yad Vashem e dal cimitero latino di Gerusalemme ciove si trova la tomba di Schindler. * Ore 21. «SCHINDLER'S LIST», di Steven Spielberg II film viene trasmesso senza interruzioni pubblicitarie. * Ore 0,10. «SOPRAVVISSUTI ALLA SHOAH», documentario presentato da Ben Kingsley A fianco un'immagine da «Schindler's List». A destra un vagone per il trasporto degli ebrei ad Auschwitz al museo di Gerusalemme Oskar Schindler