La comoda eredità degli odiati Tory di Fabio Galvano

Diciotto anni di thatcherismo hanno risollevato il Paese e trasformato anche il Labour Diciotto anni di thatcherismo hanno risollevato il Paese e trasformato anche il Labour La comoda eredità degli odiati Tory L'economia tira, nessuna stangata nell'agenda del premier LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' un'eredità pesante, quella raccolta da Tony Blair. Pesante ma utile. Perché i 18 anni di governo conservatore, comunque li si guardi, sono stati gli anni in cui l'Inghilterra si ò trasformata da «grande malata» d'Europa, sempre col fiato corto, in uno dei Paesi in prima linea nella battaglia del rinnovamento economico e di conseguenza anche sociale, oggi affacciata su un benessere che allora pareva sfuggire. Sono stati gli anni in cui, trascinata da quella «religione» che era il thatcherismo e successivamente da un «majorismo» che di fatto ha proseguito nel solco di Maggie, sia pure con maggiore attenzione alle esigenze di un tessuto sociale mai troppo lontano dallo strappo, la Gran Bretagna ha cancellato il mito dell'inarrestabile declino. A confermare la nuova realtà britannica, ben diversa oggi da quando la Thatcher la ereditò nel 1979 da Jini Callaghan, non saranno certo le statistiche sui beni di consumo, per le quali 97 inglesi su cento hanno la tv a colori e il 34% fanno le vacanze all'estero; sebbene anche quelle abbiano il loro peso. E' piuttosto quell'altra, secondo cui persino il 10% degli inglesi con il reddito più basso ha visto il suo potere d'acquisto aumentare del 14% in termini reali. E più ancora è quella da cui risulta, su un piano di riequilibrio economicosociale, che dal 1979 a oggi, nonostante l'abbassamento delle ali¬ quote più alte, al gettito fiscale nazionale l'l% dei più ricchi contribuisce per il 17%, non 1*11 % di 18 anni fa; e che il 50% più povero della popolazione contribuisce appena per il 13%, contro il 18% di allora. «I conservatori hanno saccheggiato la nazione», sostiene Tony Benn, grillo saggio della sinistra laborista ora imbavagliata da Blair. Ma la vera misura dell'eredità conservatrice - osserva Boris Johnson, commentatore al vetriolo del «Daily Telegraph» - «la si ha domandandosi quante delle trasformazioni conservatrici il nuovo Labour sia disposto a smantellare». E conclude, sottolineando la promessa di Blair di non toccare nulla di quanto è stato fatto, neppure le privatizzazioni, che «l'odierna politica delT'anch'io" tende a offuscare quanto le riforme della Thatcher fossero coraggiose, eccessive e denigrate». Nel 1979 vasti strati dell'establishment britannico erano convinti che il Paese fosse destinato al decadimento completo. «Nessun Paese sviluppato ha mai fatto il viaggio verso il sottosviluppo», scriveva sul «Guardian» uno dei più noti commentatori di allora, Peter Jenkins: «La Gran Bretagna potrebbe essere il primo a imbarcarsi su quella rotta». Aveva fatto i conti, come molti altri, senza la Thatcher. I primi passi della «lady di ferro» furono impietosi: una rigida politica monetarista per piegare l'inflazione, poi il via al credo della competizione. «0 si nuota o si affonda», disse; e il 18% dell'industria britannica chiuse i battenti. Non fu che l'inizio: i sindacati furono appiattiti, sull'altare del libero mercato furono aboliti tutti i controlli dei cambi e quelli di prezzi e salari, le più alte aliquote fiscali (si arrivava anche al 98%) furono abolite con un massimo fissato a 40% per incentivare il business. E poi via alle privatizzazioni: automobili, acciaio, carbone, aviazione, telefoni. «E' come vendere l'argento di famiglia», si lamentò l'ex premier Harold Macmillan. Ma nulla piegava la «iron lady», che mai toccò il welfare. Il carrozzone del parastato, che nel 1979 costava a ogni contribuente 300 sterline, ora che ò privatizzato versa al fisco l'equi¬ valente di 100 sterline per contribuente. Gli alti e i bassi di quella grande avventura, del capitalismo imprenditoriale di «Mrs. T», durarono 11 anni. Fu forse la guerra delle Falkland a valerle la rielezione nel 1983; o fu un manifesto laborista che chiedeva l'uscita dalla Cee e le rinazionalizzazioni, e che l'ideologo Gerald Xaufman definisce oggi «la più lunga lettera per un suicidio»: la Thatcher tirò avanti, sempre più amata dagli uni, sempre più odiata dagli altri. Alleata di Reagan, vinse anche nel 1987 contro un Neil Kinnock che si diceva contrario a usare l'arma nucleare anche se i sovietici stessero per attraversare la Manica: persino la guerra fredda entrava nella sua equazione di potere. Oggi si dice che esagerò, che lo sfrenato consumismo conseguenza delle sue politiche portò al crash di Borsa - il «lunedì nero» del settembre 1987 - a cui il cancelliere Nigel Lawson replicò gettando benzina sulle fiamme, sotto forma di una riduzione dei tassi. L'inflazione divenne rampante, la popolarità della Thatcher cominciò a calare. Maggie si lasciò convincere a fare entrare la sterlina nello Sme, come mossa contro l'inflazione: privò soltanto il governo di un importante strumento di flessibilità economica mentre l'economia europea saliva su un pericoloso ottovolante, costringendo successivi cancellieri ad alzare i tassi e gettare il seme della recessione. Nel novembre 1990, sconfitta per i suoi «no» alla Cee e per lo stile sempre più autoritario sulla scena politica domestica - troppo potente, si disse, troppo sicura, addirittura troppo capace di vincere Maggie Thatcher fu vittima di una rivolta di palazzo. Le successe Major, volto di un., «conservatorismo più morbido», fautore di una «società sanza classi» e, in definitiva, di «una nazione a proprio agio con se stessa». Il volto della moderazione, insomma; ma non la rinuncia ai fondamenti del thatcherismo. La rivoluzione Tory è continuata: con le privatizzazioni e la deregulation, anzitutto, ma anche con la trasformazione dell'apparato sanitario e dell'educazione. Parola d'ordine, come sempre, la competitività: col risultato di un'economia in piena ripresa e di una disoccupazione in forte calo, due grandi regali per i suoi eredi. E' quello che Blair oggi eredita e si guarda bene dal voler cambiare. Perché molti problemi - l'Ulster, anzitutto, ma anche la criminalità, la crisi storica della monarchia e della Chiesa d'Inghilterra - restano irrisolti. Ma la rivoluzione dei 18 anni conservatori, sebbene nessun laborista si senta di ammetterlo, serve anche a lui, al Labour che si scopre partito anche delle classi medie. Se non le avessero fatte i Tories, certe cose, probabilmente toccherebbe a lui farle. E sarebbe molto più difficile, anche in un Paese ormai sfuggito all'incubo della retrocessione. Fabio Galvano Il premier sconfìtto John Major con Margaret Thatcher: il lungo regno (18 anni) della «Lady di ferro» e della sua ideologia consegna al Labour un Paese

Luoghi citati: Europa, Falkland, Gran Bretagna, Inghilterra, Londra, Ulster