«Questo governo ci dissangua»
«Questo governo ci dissangua» «Questo governo ci dissangua» La Destra sfoga la sua rabbia sul Professore FRA SLOGAN E STRISCIONI MILANO. Perdonate il turpiloquio. Ma sotto a un gran sole e alle bandiere, dalle strade allagate di gente, tamburi, cartelli, quella che per tre ore salirà nel cielo smagliante di Milano è una ostinata cantilena di pura rabbia. Niente affatto educata. Dice: «Prodi! Prodi! vaffanculo!». «Prodi! Veltroni! Fuori dai coglioni!». «Prodi! Prodi! Devi morire». «Prodi boia! Prodi boia!». «Prodi ladro! Prodi ladro!». E' lui il vampiro, il nemico. Perfino i ragazzini, davanti a qualunque microfono, gridano: «Prodi se ne deve andare». Perfino le anziane signore venute da Albenga: «Prodi ci dissangua». Persino una superbionda smaltata, nonché foggiana: «Diiio, quanto lo odio 'sto Prodi». In 150 mila così. Bandiere azzime di Alleanza nazionale 'he si mangiano quelle bicolori di Forza Italia. Perché il partito di Fini ha messo in moto la sua macchina ben oliata, come non gli capitava dal quel notturno 9 novembre 1996, i 400 mila di Roma che hanno gridato contro le tasse, un paio di manovre fa. Qui si replica, ma se possibile con più rabbia, più rancore. Il corteo è diviso in cento spezzoni, ma i militanti di Fini gridano, gover¬ nano, fanno arretrare e fanno avanzare: ((Adesso fermi! Compatti!». Sono loro gli esperti della piazza, armati di megafono e tricolore. Sono loro' a guidare le truppe forestiere arrivate con 1000 pullman, 6 treni speciali, i voli charter. «Vengo da Reggio Calabria, non ne posso più di Prodi». «Vengo da Pordenone, voglio le elezioni». «Io sto a Caserta, non c'è lavoro». «Sono di Grosseto, abbiamo (liberato la città dai comunisti, libereremo Milano dalla Lega». «Sono di Alessandria, li spazzeremo via». E poi in sequenza: basta! vigliacchi! bugiardi! comunisti! E naturalmente lo striscione: «Governo ladro». Perciò: «In-ga-le-ra! In-gale-ra!». Corteo furente. Che si muove a singhiozzo intorno alle tre del pomeriggio sulla grande spianata di viali che da Porta Venezia conducono al Duomo. Un corteo che si ingrossa in modo disordinato: «Siamo stati un'ora al casello dell'autostrada», ti racconta trafelato un gruppo di fiorentini. «Prodi, Prodi, va a caga'!», grida il corteo. E solo negli intervalli, la cantilena e l'urlo prendono a spallate la Lega di Bossi. «Lega cogliona! Il Polo non perdona!». Oppure: «Lega cogliona! Milano non perdona!». Ci sono tamburi e fischietti. Ci sono le trombe da stadio. E tanto spaesamento. «Mai stata a un corteo, mi sono persa - ti dice una signora di Bologna -. Perché sono qui? O bella! Perché voglio meno tasse e più lavoro!». Cioè? «Voglio progredire. E cacciare Prodi». Non ci sono facce serene, dopo quasi due ore di corteo. Sarà per il caldo tropicale. Ma i gesti e le parole di questa folla bollono di impazienza. «Quando arriva Fini?». «Quando arriva Berlusconi?». I leader si infilano alla spicciolata, sebbene protetti da tripli cordoni. In San Babila compaiono Buttiglione e Casini. Poco dopo Fini. Spunta il candidato sindaco Gabriele Albertini: «E' la prima manifestazione che faccio in vita mia», grida accaldato. Un paio di supporter gli portano da bere. Ma l'apoteosi è per Silvio. Sgomberato l'ultimo piccione, quando il termometro segna 30 gradi e qualche ragazzo commcia a svenhe, piazza del Duomo è strapiena. Si respira a fatica, ci si spinge. Compare Berlusconi in una baraonda di spalle, telecamere, sudore. Entra a fendere la folla e gli osanna: «Silvio! Silvio!», gli gridano. Sono appena passate le 16,30 e Silvio arriverà ai microfoni del podio cinquanta minuti dopo. Perché la testuggine della sua scorta - con lui al centro scamiciato, paonazzo - impiegherà quasi un'ora a risalire i 300 metri che vanno dalla Scala al palco immenso, tirato su a ridosso della cattedrale. Un palco azzurro sormontato dalle piramidi degli altoparlanti, 10 mila watt di potenza, che sparano gli inni di Forza Italia e Alleanza nazionale. E lui al mi¬ crofono: «Siamo qui a protestare contro il governo dei comunisti, dei post-comunisti, dei clerico-comunisti». Ovazioni. Da quassù quel che si vede è una massa ondeggiante, non "gli uomini a cuore nudo» come ha provato a dire Gianni Baget Bozzo mfervorandosi al microfono. Ma uomini e donne nutrite di scontento. Uomini e donne arrivate dalla Sicilia e dal Veneto, dalla Puglia, dal Lazio, dal Piemonte, «contro le tasse e contro i comunisti al potere», ma soprattuto contro il proprio malessere di classe media, piccola e anche spicciola, che in questa società della clessidra, si sente mancare la sabbia sotto ai piedi. E scivolare in basso è esattamente il suo grido e la sua paura. Pino Corrias An ha organizzato 1000 pullman 6 treni speciali e voli charter La gente chiede le elezioni «Questo regime deve finire» Bandiere di An e Forza Italia in piazza del Duomo prima del comizio dei quattro leader
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