« L'Italia resta lontana » di Pierangelo Sapegno

UNA GIORNATA PARTICOLARE UNA GIORNATA PARTICOLARE « L'Udii, resta lontano » Emozioni e paure nella villa dell'esilio GINEVRA DAL NOSTRO INVIATO Principe, questa è Radio San Marino. «Ah, Repubblica di San Marino». Il telefono è nell'ombra, sul tavolo della cucina. Principe, sapesse quante volte ci abbiamo creduto, Altezza, quante volte, gli ha scritto una vecchietta. «Quaranta telegrammi sono già arrivati», informa l'avvocato Giuseppe Morbilli. «Felicitazioni. Christian Gallo e famiglia». E chi è? «Non lo sappiamo, non importa. Tutta gente così ci ha scritto, ci ha chiamato». E pure un pacco così di fax, e «se abbiamo tempo possiamo sfogliarne qualcuno», dice. Poi le telefonate, quello che piangeva, il signore napoletano che urlava «io non la conosco ma sono felice». E chi è? Non so, non l'ha detto. Ha chiamato la principessa Orsini, hanno chiamato i Gancia. E il duca Amedeo? Vittorio Emanuele: «Lui no, lui mai». Marina Doria, la principessa: «Non ha tempo. Perché pensa giorno e notte a noi». Vittorio Emanuele: «Ha lavorato tanto. Venticinque anni per il nostro rientro. Spero che adesso si riposi». Adesso invece ha chiamato San Marino. Repubblica, già. Gli dicono: ma lei dovrà rinunciare ai suoi titoli, lo sa? E Vittorio Emanuele: «Volete che mi chiami signor Rossi? Va bene, mi chiamerò signor Rossi. Non c'è problema». E i beni che le sono stati confiscati non le verranno restituiti. «E che se li tengano. Cosa volete che vi dica?». C'è un vento che pulisce 0 cielo, e ci sono stradine che vanno nei campi e nei colori in faccia alla luce. Là sotto c'è lo smeraldo del lago, appena un po' increspato. Forse ha ragione il giornalista del Tg2, che avanza camminando ai bordi della piscina, punta quel palmo di prato che scende fra le siepi. «Sa che succederà, Altezza? Che lei rientra in Italia, si guarda intorno, fa un bel giro e poi ritorna qui e non si muove più». Vittorio Emanuele si mette a ridere, chiama l'avvocato Morbilli che s'attarda dietro con un altro cronista, venga, venga qui. «Vede, io la amo l'Italia», fa lui, e l'avvocato ora assente e gli trotterella appresso. Il cameraman svizzero dice «Monsieur, va bene quii», e il principe risponde che sì, a lui va bene. «Monsieur», proprio come diceva l'architetto Suzanne Vartan da Annecy, sdraiata sulla poltroncina bianca nel prato della Tornelle, chiamando il cameriere, lì, dall'altra parte della me Hermans, dove la villa del Principe è solo un muro spesso accarezzato dall'edera e un cancello di legno sempre chiuso. Noi magari dovremmo abituarci. Però è anche vero che qui dove sono tutti uguali un esilio può far ridere, sembrare senza senso. Invece, per quest'esilio che può finire noi siamo tutti qui, in processione. E adesso che il sole scivola sulla piscina, il giornalista del Tg2 gli si siede di fronte, Altezza, e gli prova il microfono, prima di cominciare: ma a lei non sembra di avere un'idea dell'Italia un po' come gli albanesi che se la sognano in tivù? «Oh, guardi. Io purtroppo non sono mai stato in Albania e non conosco gli albanesi. Ma non credo». Il cameraman non stacca il suo occhio dalla telecamera, l'avvocato Morbilli osserva attento. Un cronista in piedi prende appunti. E' dall'altro giorno che la villa di me Hermans è sotto assedio. Da mercoledì, alle 14,30, quando è squillato il cellulare di Marina Doria. Il primo era stato un giornalista del Messaggero. «E' stato lui a darmi la notizia. Noi eravamo al ristorante». Ultima portata. La frutta. Il ristorante Le Marronier è a pochi chilometri da casa. Poi sono arrivate tutte le altre telefonate. Sergio Boschiero: «Era il più emozionato di tutti. Calma, gli ho detto, calma. Siamo già stati bruciati troppe volte». Gli amici. I giornalisti, tutti i giornalisti. Un mucchio di gente sconosciuta. «E a tutti ripetevo di stare calmi», dice Vittorio Emanuele. Ma perché mai tanta cautela? Risposta: «La cautela è una cosa che arriva dalla storia d'Italia, da cmquant'anni e 53 governi». Suo figlio, invece, Emanuele Filiberto, la notizia l'ha saputa alla sera, guardando la tivù in casa di amici. C'era la sua immagine sullo schermo e allora s'è fermato ad ascoltare quello che dicevano. Adesso, se ne sta anche lui in un angolo della sala circondato dai giornalisti. Dice: «Voglio ringraziare il presidente Prodi per quello che ha detto. E' un atto di grande coraggio, molto forte, molto democratico». Poi dice che è rimasto piacevolmente sorpreso da come l'hanno presa i giornali «e anche questo mi ha stupito parecchio, non me l'aspettavo». Gli chiedono: la politica italiana le interessa? «Non molto. Mi interessa perché è il mio Paese. Ma se mi chiede se voglio far politica, le rispondo di no». Ma lei per chi avrebbe votato alle elezioni? «Ci crede? Non lo so». Sa almeno chi non avrebbe votato? «Un'idea sì, ce l'ho». Quale? «Guardi, sono lontano da tutte queste cose. Diciamo che voterei per persone che voteranno il nostro rientro». Poi dice che lui era emozionato, sì, ma che la più emozionata di tutti era la sua fidanzata argentina, Alessandra. Dice che chiamerà Idris, che gli è piaciuto il suo telegramma. E le polemiche di Rifondazione? «Io mi rendo conto che una persona che vuole governare deve soprattutto guardare il futuro, non il passato. Questa gente invece è capace solo di guardare il passato». La fa arrabbiare Bertinotti? «No. Mi rattrista. E basta». Attorno, si accendono e si spengono le luci, guano le telecamere, ci si inciampa nei cavi. La villa di me Hermans sembra sotto assedio. C'è anche il tempo per aprire mia botti¬ glia di champagne, per offrire del salame tartufato, per ricordare di quella volta che Peitini disse «il re può venire a morire in Italia», e che Vittorio Emanuele partì per Cascais e andò a prendere il vestito e il bastone, quello che suo padre portava sempre. Il bastone è ancora qui. Il vestito è in naftalina. Peitini cambiò idea quando gli scrissero chiamandolo senatore: «Fu un errore, ma io non ne sapevo niente», dice Vittorio Emanuele. Oggi, fa un po' meno male ricordare. Il sole, il prato, le luci. Il lago, ora che è tramonto. Ma questo è il primo giorno o l'ultimo? Forse, ha ragione Emanuele Filiberto, forse è solo il primo: «Perché credo ci siano ancora molte cose da fare. Spero che alla fine di questo primo giorno, ne vengano altri più importanti e arrivi anche l'ultimo dell'esilio. Ma questo è il primo. Il primo di una lunga camminata». Pierangelo Sapegno Marina Dona. moglie di Vittorio Emanuele

Luoghi citati: Albania, Ginevra, Italia, San Marino