Addio al ministro di Umberto

Falcone Lucifero è morto ieri sera a Roma: aveva 99 anni Falcone Lucifero è morto ieri sera a Roma: aveva 99 anni Addio al ministro di Umberto Da giovane militò nei socialisti riformisti Ha rappresentato il re di maggio in Italia ROMA. A salutare i Savoia, se davvero torneranno in Italia dopo mezzo secolo e oltre d'esilio, non ci sarà. Falcone Lucifero è morto ieri sera a 99 anni: era l'uomo-simbolo degli ultimi bagliori della dinastia, ministro della Real Casa dal 1944 fino alla scomparsa di Umberto II, nel 1983. «E' un dolore che mi ha colto di sorpresa. Era una persona alla quale ero molto legato, che aveva fatto tanto per la mia famiglia e per me», ha dichiarato Vittorio Emanuele. «Aveva seguito mio padre durante i momenti più importanti e gli era stato vicino fino alla fine. Gli affidava sempre le questioni più delicate. E' una parte importante della nostra vita. Ci sentivamo spesso e continuavamo a scriverci);. Lui, Falcone Lucifero, aveva conosciuto Umberto nel '44, quando era ministro dell'Agricoltura del governo Badoglio: era andato dall'allora principe ereditario per una visita di cortesia, ma dopo qualche giorno ricevette un invito e si sentì proporre l'incarico di ministro della Real Casa. «Le chiedo di aiutarmi. Ci aspettano ore molte dure», disse in tono grave il futuro re di maggio. Fu il debutto di un sodalizio durato quasi un quarantennio. Strano destino, il suo. Monarchico per caso, come sottolineò più volte con civetteria, visto che a 12 anni era stato elettrizzato dal socialismo. Si convertì al verbo rivoluzionario - dice la leggenda - dopo aver visto le scene orribili del lazzaretto della sua città, Crotone. Una scelta - spiegò - dettata prima di tutto dal sentimento e poi alimentata con le letture e i comizi di Turati e Treves. Una scelta che si rafforzò negli anni della Prima guerra mondiale, quando si trasferì a Torino per studiare legge e fece mille mestieri per mantenersi (anche la «maschera» nei cinema), da¬ to che rifiutava i soldi di famiglia. Il fascino per la rivoluzione non lo abbandonò neanche quando diventò prefetto di Catanzaro: il primo atto, nell'aprile 1944, fu quello - clamoroso - di affacciarsi nella cella del carcere di Turi dov'era stato rinchiuso Antonio Gramsci e di deporre un mazzo di fiori. «Da parte del re d'Italia. Un atto doveroso per una vittima del fascismo», spiegò in quel momento. «Di Gramsci ero stato compagno a Torino nel partito socialista. Eravamo amici», ricordò poi. E quel legame restò sempre, anche quando il caso volle che il socialista e l'avvocato si trasformassero in un fedele servitore dei Savoia. Furono due ufficiali alleati - un americano e un inglese - a proporgli di diventare prefetto (lo consideravano l'unica personalità presentabile della zona) e poi, con altrettanta rapidità, diventò ministro dell'Agricoltura e della Real Casa. Infilato in una «Topolino» «per non dare nell'occhio», portò spesso Umberto per le borgate di Roma, «dove il re sperava di poter rimediare a un po' delle ingiustizie della guerra», ed era al suo fianco il 13 giugno '46, quando l'ex re partì per Cascais. «Ma non pensavamo - dirà poi - che l'esilio durasse per sempre». Da quel momento rappresentò gli interessi dei Savoia in Italia e si dimise dopo 39 anni, 39 anni passati a sognare un impossibile ritorno. Se ne andò per i suoi dissidi con Vittorio Emanuele, in un momento in cui l'Unione monarchica si divideva tra il «partito» del principe e quello di Amedeo d'Aosta. «Nella vita mi sono dimesso molte volte - dichiarò nell'84 - e stavolta qualcuno ha accettato. Un tempo mi chiedevano di usare fogli con su scritto "il ministro della Real Casa". Ora dovrò cambiare carta». Gabriele Beccaria Vittorio Emanuele «A lui mio padre affidava le questioni più delicate» Il ministro della Real Casa Falcone Lucifero Qui a fianco Amedeo d'Aosta