«Blair ora rischia di bissare Prodi»

«Blair ora rischia di bissare Prodi» «Blair ora rischia di bissare Prodi» ROMA O, non ho ancora sentito Margaret Thatcher. Ma la vittoria schiacciante dei laboristi era prevedibile». Antonio Martino, che a suo tempo firmò il manifesto degli europessimisti propugnato dalla Lady dei tories, è in Guatemala, dove l'università Francisco Maroquin, una specie di Luiss latino-americana, gli conferirà la laurea honoris causa, «come già ad Hayek e a Friedman», si compiace l'ex ministro degli Esteri. Sondaggi a parte, perché dice «prevedibile»? «I sondaggi non sono poca cosa, ed erano tutti concordi, costanti nell'indicare uno scarto molto elevato. Per i tories si tratta della sconfitta più clamorosa degli ultimi 160 anni. Non bisogna stupirsi se in un Paese democratico, dopo 18 anni dello stesso governo, questo non possa fare più affidamento sulle simpatie dell'elettorato. Infine, il sistema maggioritario uninominale esaspera i risultati: porta a vittorie 0 a sconfitte netto. E Major, che ha condotto con grande dignità questa battaglia, ha dovuto fare 1 conti con un partito che si è spaccato in modo scoperto, dando luogo a polemiche pubbliche: cosa che ha ulteriormente indebolito i conservatori». Blair ha detto di considerarsi «l'erede naturalo della Thatcher». Questo lo ha avvantaggiato? «Questa è la cosa più significativa di queste elezioni. Se confrontiamo i termini del dibattito politico prima della Thatcher con quelli di oggi, ci rendiamo conto che la Thatcher ha spostato il puiìto focale dell'attenzione verso l'economia di mercato. Il programma di Blair, nel 1979, sarebbe stato considerato moderato non solo dai laboristi, ma persino dai conservatori più tradizionali. La tendenza è sempre quella: tra qualche anno, la Thatcher e Reagan verranno considerati dei moderati». Questa tesi lei l'ha espressa più volte. Ha anche scritto, sul Diario, il settimanale dell'Unità, che è come se gli animai spirits della politica la trascinassero inevitabilmente verso il liberismo... «Sì, ma oggi supererei quel punto di vista. Ovvero: è stata la Thatcher a trascinare la politica in quella direzione, o e stata la realtà, fenomeni storici di grande rilevanza che hanno convin¬ to tutti dell'inadeguatezza delle cosiddette politiche di sinistra? Credo abbiano giocato tutti e due i fattori». Come si spiega allora il plebiscito che Blair ha ricevuto? «L'economia inglese adesso va bene, l'inflazione è al 2,7 per cento, la disoccupazione al 6,1, meno della metà di quella tedesca. E si partiva dagli Ami Settanta, gli anni del male inglese, con il quale si indicavano tutte le economie in crisi terminale, con ristagno, alta disoccupazione, inflazione elevatissima. Oggi, il tasso di sviluppo previsto in Gran Bretagna è il doppio degli altri Paesi europei. Dunque, l'economia va bene, grazie ai conservatori, ma vincono i laboristi. E' fisiologico, dopo 18 anni, in un sistema uninominale. E Blair è riuscito a porsi in condizione di vincere: ha messo in minoranza i radicali del suo partito, ha sganciato il Labour party dalle Trade Unions, i sindacati, ha presentato un programma liberal-conservatore. E aveva come avversario un partito logorato, e litigioso. Certo, Blair ha una percezione molto corretta degli umori dell'elettorato». Che politica farà adesso Blair? «Questo è il punto. Perche potrebbe tornare a far condizionare la propria politica dall'ala più estrema del partito. Speriamo che non faccia come Prodi, che ha vinto le elezioni con un programma di centrosinistra, e poi è ostaggio di Rii'ondazione». Vedremo l'Inghilterra di Blair nell'Unione europea? «Difficile a dirsi. In campagna elettorale sia Blair che Major hanno glissato su questo tema. Per Major è stato un fattore che ha esasperato la sua sconfitta. Blair non ha cavalcato la tigre del consenso a Maastricht. Anche su questo punto, l'Europa, la posizione tra labour e tory ò indistinguibile. Tutti e due i paniti, sotto elezioni, hanno detto di voler proporre su questo punto un referendum. [a. ra.l Antonio Martino, ex ministro degli Esteri del governo Berlusconi, economista formatosi negli Usa, è considerato il punto di riferimento dell'ala liberista di Forza Italia

Luoghi citati: Europa, Gran Bretagna, Guatemala, Inghilterra, Roma, Usa