Gli inglesi hanno voluto soprattutto chiudere un'era troppo lunga di Mario Ciriello

Gli inglesi hanno voluto soprattutto chiudere un'era troppo lunga Gli inglesi hanno voluto soprattutto chiudere un'era troppo lunga Il regicidio dei sudditi Tory E • divenuto uno stanco cliché, il bellissimo titolo del libro di Gabriel Garcia Màrquez, «Cronaca di una morte annunciata», un'espressione banalizzata da un uso troppo facile e prodigo. Oggi però vi si può ricorrere senza perplessità. La metafora è giustificata. E' difficile immaginare una morte più «annunciata» di quella subita dal partito conservatore, per mano del New Labour di Tony Blair. Da settimane, da mesi anzi, la sconfitta di John Major era data per certa, vaticinata da tutti i sondaggi: e giovedì è giunta, puntuale e letale. Con una sorpresa, però. Non è stata una sconfitta, ma un eccidio, un massacro. Il Tory Party è stato distrutto. Rinascerà. Ma sarà un viaggio lungo e doloroso. Tony Blair è l'eroe del giorno, ma sarebbe un errore vedere in lui il solo artefice, il demiuigo, di questa rivoluzione politica, e attribuire al suo seducente stile, al suo giovanile slancio, il merito del trionfo laborista. In Inghilterra, come in molte robuste democrazie, l'esito di una elezione è determinato più dai No che dai Sì, più dai voti contrari che dai favorevoli; in altre parole, non sono tanto le opposizioni a vincere quanto i governi a perdere. In parole ancora più povere (e qui si possono usare quelle dell'«Economist») un'elezione permette a milioni di cittadini «di buttar fuori un gruppo di farabutti e di mettere alla prova un altro gruppo». Un esempio: chi batté nel '45 Winston Churchill? Fu Clement Attlee, un uomo grigio, un'aria da travet, un nano rispetto al colosso che era allora Winnie. Ma trionfò. Gli inglesi volevano liberarsi dei Tories. La votazione di giovedì è stata pertanto una superprotesta, così traducibile in linguaggio quotidiano: «Basta. Andatevene. Prima con Margaret Thatcher, poi con John Major, siete al potere da 18 anni. Troppi, per qualsiasi partito. Nessuno vuole negare la furia innovatrice di Maggie, i benefici effetti di alcune delle sue rivoluzionarie strategie, ma da allora è passata un'eternità, il Conservative Party è marcio, molti dei suoi leaders non hanno più a cuore gli interessi del Paese ma i propri, hanno perso ogni credibilità e non soltanto a causa dei conflitti sull'Europa. Come può l'Inghilterra affidare il proprio futuro a parlamentari corrotti? A ministri sempre pronti a mentire, a funzionari incompetenti?». Si spiega così l'apparente contraddizione che ha dominato questa campagna elettorale e che ha lasciato stupefatti gli osservatori stranieri. John Major pensava di avere in pugno una carta irresistibile, la crescente prosperità economica dell'Inghilterra, una prosperità giunta in tempo, dopo mesi e mesi di snervante attesa. Il premier è sceso in campo con un vessillo su cui riluceva lo slogan «Britain is booming», uno slogan eccessivo, parziale, ma non del tutto menzognero. E la gente vi credeva, un sondag¬ gio ha rivelato che 5 votanti su 10 erano «convinti che il governo avesse costruito una solida base per una ripresa dell'economia britannica». Allo stesso tempo, meno del venti per cento dell'elettorato giudicava che i Tories meritassero di vincere. Tony Blair ha compreso perfettamente il mood, ha capito che gli inglesi non ne potevano più dei Tories, ormai disprezzati e vituperati, ma che non necessariamente condannavano molte delle innovazioni volute da Margaret Thatcher, e che comunque non avrebbero mai accettato un ritorno alle ideologie - Labour o Tory - pre 1°79. Tony Blair ha subito spiegato che la vittoria non è un voto per anacronistici dogmi. «Dobbiamo applicare i valori del buon senso, dell'immaginazione, dell'onestà, della compassione ai problemi del nostro Paese». Sono le medesime parole che avrebbero usato i leaders conservatori pre Margaret Thatcher, statisti come Churchill, come MacMillan, tutti coloro che concepivano l'Inghilterra non soltanto come un'entità economica, ma una società i cui membri più deboli, più sfortunati non potevano essere abbandonati al loro destino. «Il New Labour vincerà perché non è il partito conservatore e perché non è molto diverso dal partito conservatore», ha detto nei giorni passati Ross McKibbon, un storico di Oxford. Mario Ciriello

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