«Ho manomesso il timone»
Confessione in aula dell'ex nostromo del traghetto: «Dopo l'incidente, per dare la colpa al comandante» Confessione in aula dell'ex nostromo del traghetto: «Dopo l'incidente, per dare la colpa al comandante» «Ho manomesso il limone» Svolta alprocesso per UMoby Prime LIVORNO. «L'ispettore della "Navarma", Pasquale D'Orsi, mi guardava fisso. Poi mi chiese di raccogliere ima spingarda e di picchiare sul pomello del timone. Picchia forte, mi diceva, e io non capivo cosa stavo facendo perché avevo negli occhi i cadaveri che c'erano intorno. Quando il pomello si è staccato, D'Orsi mi disse: "Vieni via". Devo togliermi questo peso dal cuore, perché non lo sopporto più». Ciro Di Lauro ammette di aver cercato di manomettere il timone del relitto del «Moby Prince», il traghetto della «Navarma» su cui morirono, il 10 aprile '91,140 persone. Una testimonianza che era attesa, quella di Di Lauro, coimputato nel processo davanti al pretore di Livorno con Pasquale D'Orsi per una tentata frode processuale. Dice che a chiederglielo fu l'ispettore della «Navarma» e che quando raccontò quello che aveva fatto all'avvocato della compagnia navigatrice Morace (ora deceduto), lui gli disse: «Se racconti a qualcuno questa storia, ti rovino». Parole che pesano come pietre. Come quelle dell'amica di Di Lauro, che raccolse la confessione del marittimo poco dopo l'episodio. «Di Lauro - racconta Debora Ferlizio - mi disse che un'alta personalità della "Navarma" gli aveva chiesto di manomettere 2 timone e che, in cambio, sarebbe stato assunto da una ditta di rimorchiatori». La donna aggiunge che Di Lauro sosteneva la necessità della «Navarma» di manomettere il timone per far ricadere la colpa «sul comandante del "Moby", Ugo Chessa», morto nel rogo. La sensazione è che nessuno possa o che nessuno voglia far luce sulla strage di sei anni fa, quando nella rada di Livorno un traghetto si schiantò contro una petroliera dell'Agip. E la sensazione è che il vero processo sia qui, davanti al pretore Paola Belsito e non più in quell'aula di tribunale disertata da tutti, dove siedono due imputati per disastro colposo, dove le parti civili si dividono, dove solo alcune vedove trovano la forza di assistere a un carosello di bugie. Nelle testimonianze di questo processo, che corre parallelo all'altro avviato da due anni in tribunale, si susseguono testi che non vogliono rispondere e che in qualche caso mentono. Dov'era Di Lauro quando il traghetto prese la rotta che ha portato quei 140 alla morte? «A Ercolano», dice lui. A Livorno, dicono gli altri. Dov'è la verità? Probabilmente la verità giace nella carcassa dell'Agip Abruzzo, dissequestrata dopo l'incidente e fatta affondare nel Pacifico. Intanto, si parla di esplosivo trovato nel locale delle eliche del traghetto e si discute se ci fosse quella notte nebbia o meno. Ma l'unico squarcio di verità comincia a vedersi adesso, nell'aula della procura. Si ricomincia da una parola sola: depistaggio. Il processo è aggiornato al 3 luglio prossimo, ma dietro l'angolo il rischio della prescrizione del reato. Chiara Carenili! I magistrati preoccupati per la fuga di notizie da Roma Un'immagine della Moby Prince e sopra l'ex nostromo Ciro Di Lauro
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