La beffa dei dossier del Viminale

«Non toccate gli informatori» Guerra fra le procure di Roma e Brescia. Spariti alcuni fascicoli, sarà difficile risalire agli argomenti trattati dai collaboratori dell'Ufficio affari riservati la beffa dei dossier del Viminale Trovati i nomi in codice, ma mancano i fascicoli ROMA. I fascicoli sui magistrati sono incompleti, qualcosa è stato «asportato» prima che gli inquirenti romani li scoprissero, tre mesi fa. L'archivio di Silvano Russomanno, il vice di Federico Umberto D'Amato, non si trova: lui non si ricorda, altri testimoni giurano che c'era, ma ancora non è saltato fuori. Mancano, inoltre, alcuni «metri lineari» di fascicoli con le relazioni degli informatori, che gli archivisti avevano individuato nel 1993 ma poi non hanno visto più: dove sono finiti? E' ancora buio fitto sulle «carte del Viminale», che dal novembre scorso agitano i sonni dei vertici del ministero dell'Interno e occupano le giornate di un buon numero di magistrati di almeno quattro uffici giudiziari d'Italia: Roma, Milano, Venezia e Brescia. Nemmeno i fascicoli trovati la scorsa settimana in una cassaforte negli uffici della polizia di prevenzione - lo schedario degli informatori di D'Amato -, hanno risolto il problema. Lì dentro ci sono per lo più nomi di copertura (come Mario, Franco, Giuseppe), a volte con a fianco l'indicazione delle cifre pagate (non più di cento, centocinquantamila lire), gli aggiornamenti da un anno all'altro che coprono il periodo fra i Sessanta e i Settanta. In tutto qualche centinaio di nomi, che letti da soli non significano granché, visto che mancano le informative e pure gli argomenti sui quali le «fonti» avrebbero riferito. Bisognerà indagare, e questo compito se l'è preso, per quello che interessa la sua indagine sull'abbattimento dell'aereo Argo 16, il giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni. I fascicoli trovati nella cassa¬ forte adesso sono nelle sue mani, ai colleghi di Roma e Milano che l'altro ieri li hanno guardati è rimasta la copia del «verbale di apertura», con l'indicazione puntigliosa di quello che c'è dentro: se ne avranno bisogno, chiederanno copie dei documenti a Venezia. Anche perché di carte su cui lavorare, a Roma come a Milano, ne hanno già abbastanza. Forse è per questo che gli inquirenti della capitale non si sono entusiasmati più di tanto per l'«operazione informatori» avviata da Mastelloni. Un po' perché la loro indagine non riguarda chi soffiava le notizie all'Ufficio Affari Riservati del Viminale, ma solo l'ipotetica soppressione di atti negli archivi; e un po' perché c'è il timore di un gran polverone che dal punto di vista investigativo potrebbe portare più danni che vantaggi. Se l'elenco degli informatori dovesse diventare di pubblico dominio - sostengono gli inquirenti della capitale - si danneggerebbe l'immagine di un Paese che comunque conserva degli apparati di sicurezza i quali, naturalmente, lavorano anche con gli informatori: la ri- sensatezza, in questo campo, è un requisito fondamentale. Ai romani interessa ricostruire gli archivi per accertarne la legittimità, e per questo vanno avanti con perizie e interrogatori. E poi indagano sulla manomissione degli archivi, di cui c'è più di una traccia certa. Un testimone, ad esempio, ha riferito di aver consultato, tra i fascicoli sui giudici «schedati», quello sull'ex giudice istruttore di Roma Antonio Alibrandi, noto per le sue simpatie di destra ed entrato in politica nelle file del msi; quel fascicolo oggi non c'è più. Ma c'è anche un altro aspetto che preoccupa qualche magistrato romano: l'attesa giudicata eccessiva che s'è creata intorno agli archivi del Viminale, l'idea diffusa che li dentro ci possa essere la soluzione ai misteri d'Italia. Ancora ieri un gruppo di deputati di An ha sostenuto che negli armadi dell'ex Ucigos ci sarebbe la chiave per risolvere il mistero del covo brigatista di via Gradoli, tornato d'attualità con la deposizione di Andreotti alla commissione stragi. Ma da quello che i pm Ionta, Salvi e Saviotti hanno potuto esaminare finora, carte su quell'argomento non ce ne sono. Di tutt'altro avviso sembra invece Mastelloni, visibilmente soddisfatto per la scoperta dello schedario di Federico Umberto D'Amato, per il quale le sue indagini potrebbero finalmente far luce, per la prima volta, sul reale funzionamento di quella specie di servizio segreto parallelo costituito all'interno del Vi- Giovanni Bianconi minale. Frizioni in vista ci sono anche tra le Procura di Roma e quella di Brescia, che ha avuto in visione alcuni documenti per l'indagine sulla strage di piazza della Loggia del 1974: l'accordo, a gennaio, era che in pochi giorni avrebbero dovuto restituire tutto a Roma, ma a quattro mesi di distanza quelle carte non sono ancora rientrate. attati dai collaboratori dell'Ufficio affari riservati Ionta, Salvi e Saviotti hanno potuto esaminare finora, carte su quell'argomento non ce ne sominale. Frizioni in vista ci sono anche tra le Procura di Roma e quella