«Non toccate gli informatori»

la beffa dei dossier del Viminale «Non toccate gli informatori» Frattini: senza di loro la polizia si ferma IL PRESIDENTE DEL COMITATO E1 ROMA solo l'ultimissimo scandalo italiano di Spie & dossier, questo ripescare l'Ufficio affari riservati e scoprire che i vecchi metodi funzionavano ancora alle soglie del 1994. Ma il canovaccio è quello di sempre. Uno che negli ultimi mesi s'è fatto una cultura al riguardo è Franco Frattini, presidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. «Incredibile a dirsi - commenta - il sistema non cambia mai. Attenzione al sensazionalismo, però. Quando sento il vicepresidente del Consiglio Veltroni paragonare una bomba dimostrativa alla strage di piazza Fontana, mi chiedo: se non è allarmismo, questo, e per di più sotto elezioni!». Frattini, il Comitato parlamentare sapeva di questi archivi scoperti al Viminale? «Qualcosa avevamo intuito. Nel febbraio scorso avevamo inviato una lettera riservata al ministro Napolitano, chiedendo esattamente cosa c'era nell'archivio della polizia di prevenzione. Al Comitato stavamo accertando proprio che esisteva una struttura di sicurezza e di informazione al Viminale, che molti erroneamente assimilano alla persona del prefetto D'Amato. Ma con questa assimilazione, tra capo e uf¬ ficio medesimo, si rischia solo il sensazionalismo». I magistrati indagano su fatti gravissimi... «Vero. Ma avverto il rischio che si tenda ad allargare un'indagine giudiziaria fino a un rincorrersi nell'apertura degli archivi degli organi di informazione. E dico: attenzione, non sono archivi che di per sé possono avere rilevanza penale. Se fossero utili per chiarire le stragi, figuriamoci... Ma quando sento che questo è il primo passo per rendere noti gli informatori di quaranta anni, allora mi preoccupo. Perché esponiamo la polizia a un grave rischio di delegittimazione». Difende la figura dell'informatore? «Eccome. Nessuna polizia o servizio segreto al mondo può farne a meno. E guardi che il legislatore ha appunto previsto delle norme a tutela degli informatori. Se si tratta di servizi, sulle fonti c'è il segreto di Stato. Se è polizia, c'è il codice di procedura che permette di negare i nomi anche al giudice. Guardi che mi giungono notizie preoccupanti, questa storia può diventare un boomerang. Gli informatori sono in allarme. Se poi questi nomi verranno fuori, come è già successo per Gladio, chi collaborerà più? Finirà che resteremo senza intelligence e nelle mani dei pentiti. E non ò un bene. Ma c'è di peggio; chi dà informazioni a pagamento contro la mafia, o l'ha latto contro il terrorismo, rischia la pelle. Se si sospetta che qualcuno abbia un ruolo nelle stragi, lo si persegua per tradimento. Perché anziché aiutare lo Stato taceva il doppio gioco. Ma rivelare i nomi degli informatori è un'altra cosa». Ma certi sistemi servivano soprattutto a mettere il naso in faccende private e poi ricattare, non è vero? «Lo so bene. Era un intero sistema che cercava e archiviava spazzatura. Il prefetto D'Amato faceva parte di quel sistema. Ma questo è l'equivoco: pensare che tutti gli informatori dell'Ufficio affari riservati, che effettivamente aveva compiti da servizio segreto, facessero dello spionaggio-spazzatura. 0 peggio che rispondessero solo al prefetto D'Amato. E considerando quest'ultimo come un isolato burattinaio, e "normale" che tutte le sue fonti sia- no burattini da sbugiardare». Invece la prassi è più estesa? «Si. Quel sistema, che raccoglieva notizie su vita privata, incontri, contatti con ambienti equivoci, perversioni sessuali, degli uomini politici, ma non solo, funzionava prima del prefetto D'Amato. E ha funzionato dopo di lui». Fino a ieri? «Più o meno. Da quanto abbiamo capito, il sistema ha funzionato dal '48 agli Anni 90. E dentro c'è di tutto, cose serie e spazzatura, carte mescolate di vari servizi. L'ha scoperto questo Comitato, alla fine della scorsa legislatura. Dini assicurò, e poi Prodi ha garantito a noi, che quel sistema è stato abbandonato. Perché era il modo migliore per un uso ricattatorio dei dossier. Ha perfettamente ragione quel consulente del giudice Salvini a temere la manomissione degli archivi. Allora dico: per girare pagina bruciamo i dossier, non le fonti». Francesco Grignetti soppressione di atti negli archivi; e un po' perché c'è il timore di un gran polverone che dal punto di vista investigativo potrebbe portare più danni che vantaggi. Se l'elenco degli informatori dovesse diventare di pubblico dominio - sostengono gli inquirenti della capitale - si danneggerebbe l'immagine di un Paese che comunque conserva degli apparati di sicurezza i quali, naturalmente, lavorano anche con gli informatori: la ri- «NoFra Franco Frattini presiede il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti

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