Un Clinton astuto a Downing Street

Un Clinton astuto a Downing Street Un Clinton astuto a Downing Street ALCUNI columnist di chiara fama, inviati a Londra dai maggiori quotidiani americani per seguire le ultime battute della campagna elettorale, hanno già stilato i loro verdetti e li hanno tradotti in termini comprensibili a chi legge. John Major ricorda molto da vicino George Bush nel 1992, con qualche tratto di Bob Dole nel 1996, e dunque ha le stimmate del perdente davanti al più giovane rivale. Tony Blair ce la farà, proprio come Clinton. Ma il suo problema, almeno con gli inviati da oltretlantico, è che ricorda troppo il presidente democratico, e lo ricorda nei suoi tratti più deludenti. «Almeno noi americani abbiamo l'opportunista originale», ha scritto Maureen Dowd sul New York Times, mentre gli inglesi saranno governati da un opportunista clone. Poiché l'ultimo sondaggio a poche ore dall'apertura dei seggi registra un vantaggio incolmabile per il «New Labour», almeno il primo verdetto sembra centrato. Non dovrebbe ripetersi quello che accadde cinque anni fa, quando i conservatori furono capaci di una impressionante rimonta proprio sul filo di lana. Quanto all'altro, toccherà ovviamente a Blair smentirlo, una volta insediato a Downing Street. E non è qualcosa che interessa solo gli inglesi, perché dalla capacità del «New Labour» di governare efficacemente coniugando flessibilità e convinzione, duttilità programmatica e fermezza sui valori, dipende non poco l'evoluzione stessa di partiti socialdemocratici o neo-socialdemocratici del continente, in cerca di un qualche modello di riferimento per uscire dalle secche di politiche e approcci datati senza smarrire del tutto il senso della propria identità politica e senza sradicarsi del tutto dalla base sociale tradizionale, che pure si è fatta troppo ristretta per vincere. Con Tony Blair, che compirà 44 anni fra pochi giorni, arriva pure alla testa di un governo europeo il primo «baby boomer», come vengono definiti quelli venuti alla luce nel corso della prolungata impennata demografica seguita alla fine del secondo conflitto mondiale. «Appartengo alla generazione del rock and roll, dei Beatles, della Tv a colori e di tutto il resto», dice di sé. E anche ad una generazione «cresciuta I senza le etichette delle facili I semplificazioni politiche di de¬ stra e sinistra». E poiché un cambio generazionale è nell'ordine delle cose un po' ovunque, come si comporterà Blair a Downing Street interessa anche sotto questo profilo. Perché quella generazione è attesa ad una prova di maturità che finora è sembrata mancare nel «baby boomer» per eccellenza, Bill Clinton, caposcuola dei piacioni e dei buonisti di tutto il mondo. Forse, nel giudizio severo dei columnist americani sullo sfidante di Major pesa l'immagine di un uomo che, accanto a indubbie qualità, sembra impersonare fin troppo bene alcuni apparenti tratti generazionali negativi: l'autoindulgenza, il narcisismo, la spregiudicatezza nella ricerca del potere fino al limite della amoralità, l'estrema disinvoltura nel cambiare posizione secondo convenienza. Certo, Tony Blair, non ha fatto mistero che il suo obbiettivo era vincere. Venne eletto deputato nel 1983, l'hanno della peggiore sconfitta laborista, e nella sua vita adulta ha conosciuto, come milioni di suoi connazionali, solo primi ministri conservatori. E, certo, con quell'obbiettivo in testa ha smantellato senza pietà i tabù del vecchio Labour, ha riorganizzato il partito, lo ha aperto a nuove adesioni, ne ha cambiato l'immagine e la percezione penalizzante che ne aveva l'elettorato. Egli stesso e la moglie, avvocato di successo, così diversi per estrazione sociale, formazione e stile di vita dalla tradizionale leadership laborista, sembrano l'impersonificazione stessa di questa mutazione. E' anche vero che si è appropriato di temi e approcci dei rivali, compresi gli impegni di bilancio dei conservatori, lasciando intatti gli elementi qualificanti della rivoluzione thatcheriana, per il resto tenendosi sul vago. E poiché ha condotto una campagna molto all'americana, molto alla Clinton, la conclusione degli osservatori di oltreatlantico probabilmente non poteva essere diversa. Eppure si ferma alla superficie. Forse sfugge quanto sia diverso crescere politicamente e affermarsi in partiti strutturati come quelli europei, quale sia il peso delle culture politiche di appartenenza, pur se ridefinite. E soprattutto sfugge quanto sia diverso governare in un sistema parlamentare. Rodolfo Brancoli

Luoghi citati: Londra