L'anima? E' un robot sognatore

L'anima? E' un robot sognatore A Milano Daniel C. Dennett, capofila americano della «scienze cognitive» L'anima? E' un robot sognatore Un filosofo tra neurologia, informatica e linguistica MILANO un filosofo, ma di tipo un po' particolare, abbastanza diffuso negli Usa, molto poco da noi: Daniel Clement Dennett - un uomo alto di 55 anni dalla potente barba grigia, direttore del Centro di scienze cognitive alla Tufts University, a Nord di Boston - si muove tra neurologia, informatica e linguistica per osservare che cos'è e come funziona.il nostro cervello. E siccome il cervello, cioè la mente, per lui è anche coscienza e anima, egli si definisce filosofo proprio perché riflette su questi temi eterni, gravati ancor oggi ai suoi occhi da una pesantissima eredità metafisica. Le battaglie più accanite le ha rivolte perciò contro Cartesio, colui che alle porte dell'età mo¬ derna ha tagliato l'uomo in due, da una parte il corpo, dall'altra l'anima: «Mai vista la cartesiana ghiandola pineale, questa specie di goccia al centro della testa, quest'ordigno che assicurerebbe i collegamenti fra mente e corpo - ironizza Dennett -. E' un fantasma nella macchina che siamo». I ringraziamenti invece per la formazione che gli hanno dato li rivolge a Hume, Darwin e Alan Turing, il matematico inglese all'origine dei computer. Quattro anni fa Dennett ha pubblicato Coscienza, seicento pagine su queste sue idee (Rizzoli). Polemiche irose sono seguite; e proprio per rispondere a tanti attacchi, per chiarire ed estendere le sue analisi, Dennett ha scritto questo veloce La mente e le menti (Biblioteca scientifica Sansoni): sempre con linguaggio accessibile ai non devoti delle scienze cognitive, sempre ricorrendo a esempi d'espe- rienza comune. Ne parla lui stesso, in una pausa delle sue «Lezioni italiane», conferenze organizzate dalla Fondazione Sigma Tau e dagli Editori Laterza alla Facoltà di psicologia del San Raffaele. «Qui non tratto più solo la mente dell'uomo, ma anche le diverse menti, le menti degli altri esseri viventi, degli animali», spiega Dennett. E ancora una volta la mente è un sistema di chissà quanti neuroni, sistema che via via che si sale nella scala biologica diventa sempre più complesso finché nell'uomo diviene consapevolezza di sé, dei- le proprie capacità e volontà, diventa insomma coscienza. Che non è dunque qualcosa di esterno, e neanche una scintilla interna che dà origine a un fuoco alto e ignoto, ma semplicemente e meravigliosamente materia. L'anima è un robot. Questa non è una prospettiva bassa, deludente, cieca. Per Dennett c'è una bellezza diversa da apprezzare: «Non sono un vandalo intellettuale. L'uomo non è un essere né soltanto biologico né soltanto culturale, ma tutt'e due le cose insieme». Il filosofo-scienziato racconta che noi riceviamo dall'ambiente delle entità culturali che un altro studioso, il controverso Richard Dawkins, ha chiamato nemes, parola strana che evoca d'un sol colpo la memoria, il provenire da un tempo passato, e l'identità, la capacità di ripetersi che queste unità formative hanno, ora variando ora no. Per Dennett «ognuno è i suoi memes, e la morale è un sistema di memes: una convenzione culturale, certo, ma questo non vuol dire mancanza di obiettività». I filosofi si arrabattano da sempre sul gran tema della libertà: se lo pone mai Dennett? Se ognuno è determinato dai geni e da questi memes, si può ancora parlare di libertà? La risposta è netta: poiché io sono il mio cervello e i miei memes, la libertà coincide con la necessità; però si tratta di una necessità che perde i soliti connotati di durezza, di un potere che mi sovrasta, mi sospinge e mi annienta, e diviene piuttosto espressio¬ ne di me, di ciò che appunto io sono, geni e memes. E il gesto che qualcuno ha indicato come espressione suprema di libertà, il suicidio? Implacabile Dennett: «Anche in questo caso ubbidisco ai miei memes». Tale visione scientifica o scientistica dell'uomo non negherebbe Dio. Dennett non considera certo il Dio di una religione tradizionale. Neppure pensa che Dio sia un'idea di cui l'uomo ha bisogno: «Non sarebbe più Dio che ci ha fatti, ma siamo noi che facciamo lui». S'apre invece a una sorta di contemplazione deU'Universo: «Mi dà timore, sentimento del sacro. Avverto gratitudine, ma non so a chi dire grazie. Resta l'Universo, e se lo merita». Claudio AHarocca Daniel Dennett

Luoghi citati: Boston, Milano, San Raffaele, Usa