«Se fallisco io, addio Ulivo» Lo sfogo di D'Alema ai parlamentari

«Se fallisco io, addio Ulivo» «Se fallisco io, addio Ulivo» Lo sfogo di D'Alema ai parlamentari L'APPELLO l>£L LEADER PDS CROMA ALA la notte sul vecchio palazzo di Montecitorio, si spengono le luci, funzionari e commessi tornano a casa, ma nell'auletta dei gruppi parlamentari il clima è bollente: Massimo D'Alema sta sondando gli umori dei suoi senatori e dei suoi deputati dopo quello strano 27 aprile, che ha inchiodato il pds ai «parenti serpenti» di Rifondazione. Per quattro ore, gli onorevoli della sinistra democratica si sfogano, si punzecchiano in attesa di ascoltale il Capo. Lui, D'Alema, segue i suoi, li scinta e non sempre riesce a trattenersi: «Ma perché insistete tanto sulla giustizia? Come se dovessimo occuparci anche dell'ora e del luogo in cui i magistrati possono fare pipì...». E per chi non avesse capito: «Non parliamo soltanto di giustizia, parliamo dell'Italia!». Certo, quella sulla diuresi dei magistrati vuole essere una battuta per allentare la tensione, ma è anche il sintomo di mi D'Alema macerato, inquieto sull'esito della Bicamerale. Un destino che lui stesso qualche giorno fa, interloquendo con Filippo Mancuso, ha sintetizzato così: «Il destino della Bicamerale è il mio destino...». E quello che si è mostrato ai suoi l'altra notte è stato un D'Alema «cattivo», duro, che si è sfogato con espressioni più taglienti del solito. Soprattutto un D'Alema che per la prima volta ha calato uno di quei vocaboli che, se non altro per scaramanzia, si usano con il contagocce: dimissioni. Eccolo D'Alema, pochi minuti prima di mezzanotte: «Se mi trovassi in difficoltà, nelle condizioni di dovermi dimettere, il giorno dopo il centro-sinistra non starebbe meglio...». In altre parole: se fallisco, fallite tutti voi. Dunque, quattro ore di dibattito intenso. Il copione prevede una relazione di apertura di Cesare Salvi sullo stato dei lavori nei quattro comitati della Bicamerale. Relazione dettagliata ma con chiosa: «Sulla giustizia è ancora difficile individuare punti di intesa con Forza Italia». ■. Petruccioli vuole più radicalità nella riforma della giustizia e poi tocca ad uno dei «colonnelli» del Capo: Pietro Folena. «Nel campo della giustizia è stata spiazzata l'ala radicale di Forza Italia - dice Folena - e per la maggioranza sarebbe sbagliato attestarsi su una linea conservatrice, pena l'isolamento». E poi il primo affondo contro i 59 parlamentatri che qualche giorno fa firmarono l'appello in difesa della magistratura: «Se si innesca il meccanismo degli appelli, nessu no potrà più fermarlo... Mi appello al senso di responsabilità di tutti...». E chiamato in causa, risponde subito uno dei 59, il presidente della commissione Esteri del Senato Gian Giacomo Migóne: «Folena è stato-garbato, ma il suo appello al senso di responsabilità mi sembra inopportuno, soprattutto da parte di chi fa continue dichiarazioni, spesso lontane dalla linea dell'Ulivo...». E ancora: «La Bicamerale non può sovvertire il verdetto elettorale, non può distrarre l'agenda governativa» e «ricordiamoci che De Gasperi ha firmato la Costitu¬ zione dopo aver cacciato le sinistre dal governo». E finalmente, dopo aver ascoltato, dice la sua D'Alema. La prima raffica è «contro» Migone: «E' un errore totale contrapporre l'esigenza della governabilità alle riforme: il fallimento della Bicamerale darebbe forza alla campagna di chi vuole dare una spallata plebiscitaria». E si materializzerebbe uno dei pericoli peggiori: «A quel punto la destra apparirebbe una forza riformatrice». Nel pieno del¬ la notte, D'Alema fa avanzare i suoi ragionamenti con la consueta scansione logica e i suoi lo ascoltano in silenzio. Un discorso importante, pieno di spunti inediti e con accenti di sincerità. Come quando D'Alema parla della «difficoltà della Bicamerale», stretta da una parte dai «ricatti sul governo per fare riforme minimaliste» (l'allusione è a Rifondazione) e dall'altra da chi vuole «usare le riforme per scardinare il governo». E D'Alema spiega anche il motivo per il quale ha ac¬ cettato di presiedere la Bicamerale: «Se non fosse decollata la commissione, sarebbe partita la campagna per l'assemblea costituente». Dunque, una scelta difensiva? No, insiste D'Alema, perché nei comitati della Bicamerale si sta lavorando bene, «l'impianto riformatore è di notevole rilievo». D'Alema ripete che «l'elezione diretta non spaventa», ma in un sistema frammentato come quello italiano «convivrebbe con trasformismo e instabilità di governo»; Giovanni Sartori ed Augusto Barbera? Li ha invitati D'Alema in Bicamerale, ma non gli devono essere piaciuti perché li bacchetta così: «Non spetta ai professori indicare mediazioni...», «tutti si improvvisano politici» e allora «vuol dire che noi faremo i costituzionalisti». L'appello dei 59? D'Alema è sferzante: «E' buffo e grottesco che parlamentari si rivolgano auto-appelli» e comunque «è stato vergognoso che sia stata alimentata una polemica che presentava noi come pronti al baratto con Berlusconi contro i poveri giudici che lottano contro la corruzione». E ancora: «Non ho letto documenti di solidarietà quando il presidente della Bi- camerale ha preso posizione rispetto al Csm». Il garantismo? «Io insiste D'Alema - lo ero ancora prima che Berlusconi entrasse in politica». E sul Csm, D'Alema fa una proposta a titolo personale: «La sezione disciplinare potrebbe essere sostituita da un Gran giurì formato da 5 magistrati a fine carriera nominati dal Capo dello Stato». Il Polo? «Sono nervosi, dunque vi raccomando di stare calmi...». Fabio Martin! «Se dovessi trovarmi in seria difficoltà, nelle condizioni di dover abbandonare il giorno seguente anche il centro-sinistra non starebbe meglio»

Luoghi citati: Italia, Rifondazione