le euroastuzie di Blair di Fabio Galvano

le euroastuzie di Blair le euroastuzie di Blair / laboristi pronti a imitare i Tory LA BATTAGLIA DI LONDRA QLONDRA UANDO si farà il processo alla sconfitta elettorale dei conservatori, probabilmente, si scoprirà che la buccia di banana decisiva è stata la spaccatura del partito - e dello stesso governo - sull'Europa. Meglio: su ogni aspetto dell'Unione europea, dalla moneta unica all'integrazione politica, che hanno fatto naufragare fra mille polemiche la formale unità faticosamente cucita al congresso dell'ottobre scorso a Bournemouth. Quelle lotte sono state la salvezza di Blair, perché hanno finito per gettare ombra su una spaccatura «europea» fra i laboristi che forse non è altrettanto esplicita ma non per questo meno pericolosa; e che potrebbe emergere già nei prossimi giorni, se la presidenza olandese di turno confermerà per il 23 maggio un vertice straordinario destinato formalmente a fare il punto della Conferenza Intergovernativa su Maastricht-2, avviata l'anno scorso a Torino, in realtà a far «conoscere» Blair ai 14 partner europei. Chi si aspettasse un drammatico voltafaccia laborista in tema di politica comunitaria, rispetto alla posizione assunta in questi ultimi anni da Major, sarebbe profondamente deluso. Perché è ben vero che su molti punti - il controverso «capitolo sociale», per esempio - Blair e il New Labour sono aperti e ben disposti, ma su molti altri - la politica estera e di difesa comuni, la ri- nuncia al veto su temi come fisco, difesa, sicurezza interna, immigrazione, insomma tutto ciò che può sapere di cedimento della sovranità nazionale a un federalismo anatema non solo per i conservatori ma per l'intera nazione - i loro no resteranno implacabili. Tanto per cominciare, ci saranno i distinguo - in chiave di rigoroso rispetto delle condizioni - sulla moneta unica, per la quale Blair ha promesso (come Major) un referendum. «E' avvilente perii nostro Paese - diceva Blair meno di un anno fa - essere ridotto ai margini dell'influenza europea, trascinato querulo dietro la visione e la spinta di altri. La Gran Bretagna deve occupare il posto che le compete fra i leader europei». Possono essere stati tacitati, per il bene comune e con il miraggio di una vittoria elettorale dopo 18 anni, personaggi come Peter Hain e Roger Berry, vessilliferi dell'ala sinistra sconfitta dal nuovo corso e contrari all'euro visto come complotto monetario destinato a portare deflazione e disoccupazione. Ma nulla ha po¬ tuto fare Blair per far tacere Robin Cook, scomodo grillo parlante del partito, che nel governo laborista sarà ministro degli Esteri e che non ha esitato a portare all'aperto - e in contrasto con Gordon Brown, futuro cancelliere dello Scacchiere e anima gemella di Blair - un dibattito fino ad allora tenuto sottocute. Oltre a respingere l'idea di un super-Stato europeo, che fa fremere il Labour quanto i Tories, Cook ha praticamente escluso che Londra possa aderire alla moneta unica nella prossima legislatura. Il suo ragionamento è lineare: difficilmente il Paese sarà disposto o in grado di farlo per la prevista data d'inizio, il 1° gennaio 1999; ed è «molto difficile che il governo, dopo avere deciso che il Paese non sia pronto nel 1999, possa decidere che sia pronto l'anno seguente o due anni dopo». Invano è intervenuto Brown, cercando di spiegare che la politica laborista non era cambiata, che Cook intendeva soltanto sottolineare come, se tutti i partner decidessero un rinvio, sarebbe difficile ricucire i pezzi a breve scadenza. La frattura ormai era stata registrata. E' difficile dire come Blair intenda far deporre le armi ai contendenti: soprattutto dopo una vittoria elettorale, giovedì, che facesse venir meno la prudenza di queste settimane di campagna. Anche perché i conservatori, già sconfitti, non hanno tardato a definire il vertice straordinario del 23 maggio «il summit della svendita», cioè del cedimento laborista su tutta la linea europea, costringendo un portavoce laborista a dichiarare: «Quel vertice noi non lo vogliamo. Non ce n'è bisogno perché chiariremo la nostra posizione al regolare vertice europeo di Amsterdam, a giugno». Tuttavia ci si domanda quanto durerà l'ovatta sotto i colpi degli euroscettici di casa laborista. Anche perché, storicamente, il Labour è tutt'altro che europeista. La Cee, cui furono i conservatori di Ted Heath ad aderire nel 1973, era vista come un «club delle multinazionali»: i laboristi sostennero il no al referendum del 1975, alle elezioni del 1983 proposero addirittura un ritiro. Il voltafaccia venne attraverso le nuove proposte sociali volute da Delors e il suo conflitto degli Anni Ottanta con la Thatcher, che ne fecero automaticamente un alleato. Ma anche se oggi i sindacati e il partito sposano il «capitolo sociale» di Maastricht, molti restano i punti controversi, talora accentuati proprio per non dare ossigeno alle accuse tory che fanno del Labour «il cagnolino di Bruxelles». Nel suo spostamento al centro Blair si è adeguato a quello che dicono gli elettori. Niente Europa federale, quindi; e perciò niente difesa e politica estera comuni, no alle geometrie variabili dell'allargamento a Est, cautela nell'estensione del voto a maggioranza. E soprattutto piedi di piombo al primo appuntamento, quello della moneta unica: per non contrariare gli scettici dentro il partito e fuori. Potranno cambiare, rispetto a Major, modi e tattiche; molto meno la sostanza. Fabio Galvano Niente politica estera e difesa comuni La moneta unica al rallentatore

Persone citate: Brown, Cook, Delors, Gordon Brown, Peter Hain, Robin Cook, Roger Berry, Ted Heath, Thatcher

Luoghi citati: Amsterdam, Bruxelles, Europa, Gran Bretagna, Londra, Torino