«Affonda il centro dell'Ulivo» di Maria Grazia Bruzzone

«Affonda il centro dell'Ulivo» «Affonda il centro dell'Ulivo» ROMA. «Non toccherebbe dirlo a me, che sono un uomo di destra, ma fossi in loro, nei moderati di destra e sinistra, domani stesso darei vita a una bella federazione di centro. Sarebbe una scelta logica e avrebbe il mio pieno consenso. Perché sono convinto che il centro-destra debba saper parlare ai moderati del centro-sinistra che ormai sono dei satelliti». Nel suo studio di via della Scrofa, Gianfranco Fini riflette sul dopovoto e a un certo pimto se ne esce con questa proposta. Rivolta a Berlusconi, a Casini, ma anche a Lamberto Dini, i cui risultati non sono stati certo entusiasmanti. E Fini mette il dito sulla piaga. «Dini ha avuto un consenso infinitesimale, il che dimostra come gli elettori che lo avevano scelto pensando che potesse condizionare dal centro lo squilibrio esistente a favore della sinistra più estrema si siano rosi conto della realtà e abbiano votato per altri movimenti alternativi». Il leader di An è convinto che molti voti di centro siano già ritornati al Polo. Dice: «Rinnovamento italiano non esiste. Il ppi ha subito mia battuta d'arresto. Ormai non ci sono più mi centrosinistra e un centro-destra, ma un centro-destra e una coalizione di sinistra, dove cresce il peso di Rifondazione». E se avessero invece votato direttamente pds? «Non si spiegherebbe la nostra buona riuscita», è la pronta risposta. Non li avrà presi alla Lega? Fini ammette di aver raccolto i voti leglùsti a Torino. E spara su Bossi («bisogna mettergli la camicia di forza e basta»). Ma non è questo che gli interessa. Soddisfatto per la buona riuscita del Polo un po' ovunque, per il successo di Raffaele Costa a Torino, candidato scelto da An, e ancor più per l'affermazione di An a Trieste e in roccaforti rosse come Grosseto, Orbetello, Terni e in altri centri del Lazio (come Cerveteri e Grottaferratal dove An vince senza Forza Italia, Fini butta lì una battuta: ((Adesso sfido a dire ancora che la destra è impresentabile». Non vuole strafare, ma punge, Fini. «Se cambierà qualcosa nel Polo? Assolutamente no. Il centro-destra ha comunque una sua omogeneità. Noi siamo cresciuti per il nostro forte radicamento locale. Ma anche per la nostra fermezza nel dialogo col centrosinistra. Un dialogo che comunque non è mai stato il duetto Berlusconi-D'Alema che e stato descritto», puntualizza. Dice e non dice. Fini, soprattutto sui suoi alleati. Ma altro lascia trapelare parlando di larghe intese, di riforme, di Bicamerale. «Le larghe intese le vedo sepolte, ma lo erano già prima del voto». Urbani in tv ha proposto un patto su punti chiave come Europa e Welfare: «Questo è un altro discorso». Le riforme le vede più vicine o più lontane? «Più che a me, andrebbe chiesto a D'Alema, che sulla Bicamerale ha puntato molto. Non è che oggi noi ci mettiamo a dire che voghamo il presidenzialismo all'americana. Diciamo; si discuta il modello Sartori, mentre non siamo disposti ad accettare la proposta Barbera. Ma certo oggi il cammino della Bicamerale è più in salita di ieri. A meno che Bertinotti non dica, "siccome conto più di ieri, accetto il semipresidenzialismo alla francese". E non mi pare il caso». Ritorna il leit-motiv dell'analisi finiana: lo spostamento a sinistra dell'Ulivo, il ruolo determinante di Rifondazione. «Il governo non potrà non tenerne conto, e almeno questo sarà un elemento di chiarezza. Ma oggi mi pare più in difficoltà D'Alema che Prodi». Il governo le sembra più forte? «Non è detto. La disperazione provoca a volte comportamenti imprevisti», risponde Fini, come sempre pacato e vagamente enigmatico, alludendo a Dini e a Marini. L'opposizione sarà più intransigente? «Sarà quella che è stata. Certo non dobbiamo stare con le mani in mano, ma la politica ha i suoi tempi». Maria Grazia Bruzzone