«La nostra casa contro la droga» A raduno i duemila ex di don Gelmini di Liliana Madeo

«La nostra casa contro la droga» «Quando siamo usciti dalla Comunità avevamo paura del mondo» «La nostra casa contro la droga» A raduno i duemila ex di don Gelmini REPORTAGE RITORNO AL PASSATO AMELIA DAL NOSTRO INVIATO Il futuro gli si para davanti come un buco nero carico di incognite. E per l'insicurezza, per il senso di perdita di sé nel lasciare quella che è diventata la loro casa, la loro famiglia, si ingigantiscono le ombre sul momento del ritorno a casa, dell'inizio di una vita diversa da quella di prima e tutta da costruire. Duemila degli ex tossicodipendenti che hanno lasciato negli anni scorsi la Comunità Incontro si sono dati appuntamento nell'ex Molino Siila, il primo dei 152 centri in Italia e dei 60 all'estero che - a partire dal '79 - don Gelmini ha aperto. Quelli ancora in terapia - che dura in media due-tre anni - assistono agli abbracci, i ricordi, le feste che si fanno quanti sono venuti a questa sorta di «rimpatriata», molti insieme con i mariti o le mogli e i figli, alcuni con i genitori. Le loro storie e emozioni prospettano una speranza, ma ciascuno porta in cuore la sua pena. Carlo è qui da un anno: ha 36 anni, un figlio di 11, una ex moglie. «Sto vivendo l'esperienza della normalità, il gusto delle cose semplici - racconta. - E scopro le debolezze che mi hanno portato alla droga. Ma ancora non basta. Ho incominciato con lo spinello a scuola: una cosa alternativa, sembrava. Dall'84 sono stato in Mozambico, responsabile di un progetto della cooperazione internazionale che costava miliardi. Non ho saputo gestire il tutto. Ho voluto bruciare le tappe. Questo ora è il mio "stand by"». Aveva tanti privilegi, eppure è entrato nella zona della non-vita. Come tanti altri. Ma diversamente da Attilio, 42 anni, pugliese vissuto a Torino, che uscirà a dicembre e che ammette: «Non ho mai lavorato, non ho studiato. Mi sono fatto per vent'anni. Sarò capace di ricucire la rete degli affetti familiari? Troverò un lavoro? Avrò pazienza, quando una porta e poi altre ancora mi si chiuderanno in faccia? I miei precedenti sono neri e il lavoro per me è tutto». Maria Teresa e Doris sono uscite nel '92. Una è di Genova, una della provincia. La prima, 29 anni, dice: «Sono stata fortunata. I miei mi hanno sempre seguita e incoraggiata. A me e mia sorella avevano comprato un forno, ma negli anni in cui mi drogavo non mi facevano neppure entrare. Quando sono uscita, avevo una casa e un lavoro. Il vecchio gruppo lo vedo sempre, ma non so neanche cosa dirgli: quello che ci univa non era l'amicizia, era la roba». Doris, 36 anni, aria spavalda, treccine verdi e arancione, non voleva neanche uscire dalla comunità: «Il mondo mi metteva paura. Nel primo anno volevo solo ritornare. Questa era la mia casa. Mi sono fatta per 11 anni. In paese tutti mi conoscevano. Ora lavoro come donna delle pulizie. Se tiro su un milio¬ ne al mese, è tanto. Ma non mi lamento. La gente mi rispetta, capisce lo sforzo che ho fatto. E io non mi nascondo. Rifarei tutto. Non mi vergogno di niente». Il suo crescere faticoso è stato anche quello di Enzo e Anna. Hanno un bambino di due anni. Sono di Brescia. Frequentavano lo stesso giro, ma niente di più. Poi sono stati in comunità insieme, fino al '93, e sono usciti qua- si contemporaneamente. Lei ha ritrovato la sua famiglia. Lui un matrimonio andato in pezzi e genitori completamente assenti. Dopo sei mesi ha ricominciato a drogarsi. E' tornato in comunità e quando è uscito sono andati a vivere insieme. Lui fa il carpentiere. Sono febei e commossi. Questo è il luogo della loro rinascita. Lei dice: «Il "gruppo di appoggio" l'ho frequentato, ma non voglio parlare sempre di droga, parlare sempre con persone che hanno in famiglia il dramma della droga. Ho voglia di fare e dire anche cose frivole». Ricominciare daccapo è un progetto che richiede tenacia, come testimoniano Olga e Simona. Vivono a Perugia da quando sono uscite, nel dicembre '96. La prima è croata, ha 24 anni, si faceva da quando ne aveva 18. Ora si è iscritta all'U¬ niversità per stranieri. «L'Italia mi ha salvato. Qui voglio vivere» dichiara. Simona di anni ne ha 34. Si è drogata per 16 anni. Le mani le sono rimaste rosse e gonfie. «Pazienza - si consola. - Mi sono rimessa a studiare. A luglio darò gli esami da ragioniera. Amicizie nuove? Piano piano. Tante persone vivono una vita senza significato. Bisogna sapersi scegliere». Tante storie di sofferenza e di solitudine. Che don Gelmini sembra conoscere una ad una. Come conosce le parole per parlare con Livia Turco, l'ex ministro De Lorenzo, gli onorevoli Meluzzi e Gasparri. Su ogni comunità convergono le tematiche e i personaggi più eterogenei. «Ma questo, oggi, mi sembra un campo di battagha» sussurra Soad, somala bellissima e con tre bambini, due dei quali per anni sono stati qui con lei. Ed elenca tutti quelli che mancano all'appuntamento. Morti. Per overdose, per Aids, ima volta usciti. La prima è stata sua sorella. Liliana Madeo «Ma qui adesso sembra un campo di battaglia Sono troppi i morti tra chi è andato via» A sinistra don Gelmini con i ragazzi della sua comunità. A destra Livia Turco

Persone citate: De Lorenzo, Gasparri, Gelmini, Livia Turco, Maria Teresa, Meluzzi

Luoghi citati: Amelia, Brescia, Genova, Italia, Perugia, Torino