Ma l'esame di storia facciamolo ai politici di Lorenzo Mondo

Ma Vesame di storia facciamolo ai politici PANEALPANE Ma Vesame di storia facciamolo ai politici ENSAZIONE, e risate, per i risultati di un test sottoposto, in forma di quiz, a 527 matricole delle Università di Cagliari, Milano Cattolica, Siena e Urbino. Le domande vertevano sulla storia contemporanea, il corso di studi a cui sono iscritti. Così abbiamo appreso che, in percentuali variabili ma comunque significative, Kruscev risultava autore del romanzo «Anna Karenina» e Ferruccio Parri, leader della Resistenza, un gerarca fascista che, nelle more della politica, aveva scritto «Gli indifferenti» (ignorati di conseguenza i nomi di Tolstoi e di Moravia, con la presumibile scusante che appartenevano ad altra materia). Decisamente comunista era ritenuto il filosofo liberale Benedetto Croce, mentre Antonio Gramsci figurava tra i fondatori del Partito popolare accanto a don Sturzo. Fermiamoci qui, per chiederci quale misteriosa spinta abbia indotto tanti giovani vocati allo studio a scegliere proprio quell'indirizzo universitario: non vorremmo, Dio ce ne scampi, che lo considerassero propedeutico alla carriera politica. E torniamo a riflettere se sia giusto che la macchina così costosa, improduttiva e alla fine frustrante dell'Università debba aprirsi a tutti senza una minima, ragionevole selezione. I fautori di un egualitarismo spinto, arrampicato sulle nuvole, obbietteranno che, proprio perché non sanno niente di storia contemporanea, i nostri studenti si sono iscritti a quel corso, come se l'Università dovesse ribaltarsi in scuola media o addirittura materna. Il ministro Berlinguer troverà invece incentivo a difendere il suo discusso decreto sui programmi liceali, destinati a «tagliare» robustamente la storia antica e medioevale a vantaggio di quella moderna. Tutto si tiene allora? Si tiene un corno. Vien da rilevare sommessamente che, fatta salva la pari dignità della storia contemporanea, sugli avvenimenti degli ultimi decenni è possibile, per chi ne abbia talento, documentarsi attraverso un'ampia pubblicistica che va dai I giornali ai libri di attualità, I molti di notevole spessore. Rammentando poi che è più facile comprendere Che Guevara attraverso lo studio di Tocqueville che non l'inverso. Osservazioni ovvie per chi non assegni agli studi superiori un nozionismo manualistico o la disamina di testi politicamente corretti. Ma qualche indulgenza va pure espressa nei confronti degli ignari studenti. Perché l'esempio, come si suol dire, viene dall'alto. Non abbiamo sentito in questi giorni fior di politici anche acculturati contendersi l'eredità di Gramsci? Piace, com'è giusto, al passatista Bertinotti, piace a D'Alema in versione socialdemocratica e perfino ai giovani di Alleanza nazionale, i cuccioli di Fini. Nel gioco delle furbesche e ingenue estrapolazioni, sulle spoglie del fondatore di «Ordine Nuovo» si consuma la solita operazione trasformistica. Quando, al di là della strenua coerenza morale e dell'afflato utopico, la figura di Gramsci non è separabile dall'orizzonte del leninismo e del comunismo. E a proposito di comunismo (si veda la polemica innescata lucidamente da Galli della Loggia sul «Corriere della Sera») non se ne fa cenno nella «bolla» del ministro Berlinguer che invita a riflettere sui devastanti totalitarismi del secolo. Si parla di nazismo, sì, e di stalinismo, come se fosse una categoria separata del demonismo contemporaneo, senza alcun rapporto con il comunismo di cui rappresenta la storica e legittima incarnazione. E se i quiz li proponessimo allora ai nostri politici e politologi? Ne sentiremmo delle belle, in fatto di distorsioni, salti della quaglia, arrière-pensées. Alla faccia della storia contemporanea e dei suoi pochi, incontrovertibili accertamenti. Lorenzo Mondo |

Luoghi citati: Cagliari, Milano, Siena, Urbino