Albania, tra i dannati dell'oro nero di Vincenzo Tessandori

Albania, tra i dannati dell'oro nero Il fiume Lapardhica è una lastra di greggio, proliferano tumori e malattie renali Albania, tra i dannati dell'oro nero Inquinamento e miseria intorno ai pozzi abbandonati ^ ' ''NOTAMI LA RICCHEZZA INUTILE KUCOVA DAL NOSTRO INVIATO Immobile. Forse è l'unico fiume al mondo, immobile. Con l'acqua che è una lastra nera sulla quale, c'è da scommettere, si riuscirebbe a camminare. «E' così da sempre», sospira Bashkim, e lui ha quarant'anni e ricorda quel rigagnolo come si ricorda un incubo. Lo chiamano Lapardhica e scende dal monte Tomor, che è un massiccio di 2416 metri che separa due mondi diversi, e lassù l'acqua è limpida. Ma in basso si impasta con l'oro nero che qui non dà ricchezza. L'aspetto di Kucpva è miserando, eppure è una città giovane, nata negli Anni Venti, fra tanti entusiasmi, quando furono gli italiani ad accorgersi che nel sottosuolo c'era il petrolio e scavarono i primi pozzi e affittarono la piana per cento anni. Oggi rimane una foresta di alberi arrugginiti e immobili, perché nessuno pompa più da mesi, da quando la gente ha preso le anni e ha cominciato il gioco più crudele. Quanti pozzi ci sono? «Questo è un segreto, un segreto di Stato. Circa seicento», risponde Gjergj che lavora all'Alba Petrol, la compagnia per metà statale e per metà privata e che si tenta di vendere tutta a qualche «sorella» ben disposta. Non sarà facile. Enver Hoxha pensava di poter fare a meno del mondo e contava molto su quei pozzi, ma dovette cederne lo sfruttamento ai sovietici e poi ai cinesi e nessuno si dimostrò partner generoso né abile. E' sempre stato un inferno, qua. Ci fu un incendio, nel 1981, un disastro di proporzioni straordinarie. Ricorda Riza Gazidede, primo capitano dei pompieri di Tirana, 43 anni: «Si incendiò un pozzo vicino a Fier, le fiamme uscivano dappertutto, come se ci fossero tanti vulcani. L'aria era satura di gas e morirono in quattro o cinque e molti rimasero intossicati perché le maschere erano scadute. Erano accorsi pompieri da tutta l'Albania e alla fine si vinse noi, con la dinamite. Dopo otto mesi». Quando anche in Albania è crollato il muro, sono state riaperte le assunzioni e ora ci sono 900 operai che, però, da due mesi non prendono lo stipendio: cento dollari mensili. E nessuno sorveglia più gli impianti, e così qualche pozzo continua a sputare petrolio che nessuno raccoglie e già 22 chilometri quadrati sono una bolgia nauseabonda nella quale s'avventurano mucche e pecore e anche la gente cammina in quella melma, senza preoccuparsi. «Ma non c'è da preoccuparsi! Non esistono problemi di salute, va tutto bene». Parola del dottor Lofe, un piccoletto rotondo con barba e occhiali a specchio ieri di guardia all'ospedale. E, invece, i problemi ci sono e sono seri, avvertono Bertilla, delle Sorelle Immacolate, Alda, francescana, e Norma, Maestra Pia dell'Addolorata. A Fier, che è la città più grande, a un'ora d'auto, perché tanto ci vuole per coprire 40 km si progetta l'apertura di un day hospital per la dialisi, perché molti son malati di reni. E molti sono morti, e muoiono, di tumore. Ma a chi importa? «L'importante è che paghino gli stipendi», dice Agim che guarda stanco i pozzi. E' gente senza speranza, il 70% dei 30 mila abitanti aveva portato il denaro a Gjallica, sicura di arricchire in breve e senza fatica. Ma Gjallica è crollata. E anche qui c'è stata la sommossa, e poi è tornata la vita di sempre. E sorella Norma sottolinea un paradosso: «Ora che sono tutti armati, forse, c'è più tranquillità». E ricorda come, nella notte di Pasqua, le tre suore siano uscite dalla casa al quarto piano in centro e con un pulmino abbiano raccolto venti che volevano il battesimo, e li abbiano portati nella chiesa da don Giuseppe Vaccarini, che è un prete di Rimini, uno col carattere forte, che non si scoraggia mai. Avrebbe potuto essere un triangolo d'oro, questo fra Berat, Fier e Kucova e invece è maledetto, la gente è disperata e c'è clù vende il figlio o chi cede la figlia, indifferente al destino che li aspetta: la strada. I ragazzi a chieder l'elemosina, le ragazze sui marciapiedi. Agim ha 12 anni ed è tornato da Salonicco, l'altro giorno. Sua madre lo aveva barattato un anno fa. Ma lui non è bravo a chieder l'elemosina e il padrone l'ha picchiato, poi lo ha scacciato. Sulla strada del ritorno si è trovato insieme a Entela, e neanche lei era stata brava a vendersi. Quando sono arrivati alla frontiera, la polizia li ha picchiati, perché da Agim voleva sapere tutto della ragazza e lui non sapeva niente. E quando è arrivato a casa, sua madre lo ha squadrato e gli ha chiesto: «Sei tornato?» e aveva l'aria di volersi sentir dire di no. A Berat c'è la base aerea, con i Mig che nessuno pilota, e ci sono i pozzi arrugginiti, e la gente fa razzie, l'ultima tre giorni fa, quando hanno prosciugato il deposito del carburante. Ed ò parso un segno, esser rimasti a secco, qui nel cuore della foresta arrugginita che un tempo produceva 3 milioni e 500 mila barili di greggio all'anno, poi 600 mila e ora, la produzione è a zero, anche se alcuni bilancieri seguitano a sputare il petrolio. Per questo è un inferno. Vincenzo Tessandori I

Persone citate: Bashkim, Berat, Enver Hoxha, Giuseppe Vaccarini, Riza Gazidede, Tomor

Luoghi citati: Albania, Fier, Rimini, Salonicco, Tirana