La natura? Distrutta dagli antichi

La natura? Distrutta dagli antichi discussiohe. Greci e Romani grandi imputati: classicisti a confronto da lunedì a Torino La natura? Distrutta dagli antichi Deforestazione, stragi di animali, apocalissi urbane ~~7\] TORINO I I UANDO entrò, l'uomo, in I I lotta con la natura? Con l'eI I ra industriale, dicono molti, Y ' pensando a fumose perife- V rie, petroliere squarciate e buchi nell'ozono. Errore. Il sonno ecologico è millenario, risale forse dando retta agli ambientalisti più radicali - a un attimo dopo la cacciata dal Paradiso terrestre: non ordinò forse la Bibbia: «Crescete e moltiplicatevi... la paura di voi e il terrore di voi siano in tutti gli animali selvatici e in tutti gli uccelli del cielo, come in ognuno che striscia sulla terra e in tutti i pesci del mare, essi sono dati in vostro potere»? Certo, spesso industria e tecnologie hanno accelerato lo sfruttamento irresponsabile della natura, mentre nell'antichità era l'ambiente a sovrastare l'uomo. Ma che dire di Petra, città abbandonata intorno al 900 a. C, per migliaia di anni città d'acque e centro carovaniero ricchissimo? I suoi abitanti trasformarono i giardini in sabbia, desertificando il territorio a furia di falciare dissennatamente la vegetazione con il metodo dello slash and bum, «taglia e brucia», un tipo di agricoltura ecologicamente micidiale adottato da moltissime popolazioni primitive. Le ferite all'ambiente proseguirono nei secoli successivi, come dimostrano le tre giornate su «L'uomo antico e la natura», da lunedì al Centro congressi dell'Unione Industriale, che faranno il punto sull'antichità classica: al convegno, organizzato dall'Associazione italiana di cultura classica, partecipano studiosi come Marcello Gigante (che con Francesco Adorno e Claudio Moreschini discuterà gli aspetti filosofici del tema) e Dario Del Corno, la cui relazione verterà sul mondo greco. Paolo Fedeli, dell'Università di Bari, parlerà di uomo e natura nella civiltà romana. Nonostante il grande debito dell'ecologia per i trattati zoologici di Aristotele, per quelli botanici di Teofrasto e per la Storia naturale di Plinio il Vecchio, l'antichità ha nei confronti della natura un atteggiamento contraddittorio, «che oscilla - spiega Dario Del Corno - tra il con- siderare l'ambiente un dato spontaneo della realtà o un'entità al servizio degli uomini». Platone denunciava nelle Leggi l'impoverimento delle foreste per costruire i tetti delle case nell'Attica, e Plutarco affermava che le bestie sono esseri razionali, anzi, possiedono virtù «in misura maggiore rispetto al più sapiente degli uomini»; ma Socrate giurava di imparare molto più dalla città che dalla campagna e dagli alberi. Sul rispetto degli antichi per l'ambiente non c'è dunque da scommettere. I primi dubbi fi aveva seminati un libro di qualche anno fa, intitolato Smog sull'Attica (Garzanti), nel quale lo storico tedesco Karl Weeber ricordava ad esempio l'«apocalissi urbana» descritta da Seneca e Giovenale, e i brulli pendii intorno a Roma, saccheggiati per alimentare le caldaie delle terme. Nell'antichità la natura non solo si considera raramente un'entità autonoma, ma spesso ci si chiede se vada usata o combattuta. «Due modi antitetici di pensarla - spiega Gianna Petrone dell'Università di Palermo - sono le categorie romane del "luogo ameno" e del "luogo orrido": il primo riflette un rapporto più armonico con l'ambiente, il secondo conflittuale». Per un Plinio che vanta di essere il solo «fra tutti i Romani» ad aver «descritto a lungo la natura, in tutte le sue manifestazioni armoniose», migliaia di cives trasformano la Spagna in un gniviera di cunicoli minerari, fanno strage di animali selvaggi per il circo, si affollano nella capitale e lasciano che l'acqua potabile scorra in velenose condutture di piombo. Perché l'Occidente faccia pace con la natura, dovranno passare molti secoli: ancora nel Medioevo, come spiega il recentissimo Lupi genti culture di Gherardo Ortalli (Einaudi), la vittoria del cristianesi- mo sul paganesimo consacrò, con il precetto della Bibbia, la separazione e la superiorità dell'uomo, cui solo Francesco d'Assisi cercò di opporre l'idea dell'eguaglianza fra tutte le creature. Per i Padri della Chiesa le bestie selvatiche impersonavano i pagani o i demoni e quanto allo studio della natura, se nasceva una controversia sul numero dei denti di un cavallo, si preferiva consultare i testi di Aristotele, anziché guardare in bocca ai quadrupedi. L'arroganza ambientale di oggi ha dunque radici profondissime nella nostra cultura: anzi, la «guerra contro-natura» è insita nella parola stessa: «cultus» significa disso¬ dare i campi, ricacciare indietro la natura «selvaggia» abbattendo alberi, uccidendo animali: la trasformazione violenta della natura come presupposto della civiltà. L'antitesi oggi non ha più senso, spiega Gigante, docente a Napoli, che al convegno parlerà della natura nell'epicureismo: «La physiologia epicurea ci ricorda che l'uomo si realizza solo se "comprende" la natura. La natura è simbolo di ciò che è autentico e resiste al contingente, ammonisce ad avere senso del limite, a rifiutare la ricchezza, ciò che è vano e superfluo, ciò che alla fine è dannoso. L'epicureismo invita a fidarsi della natura, a conoscerla con i sensi e a verificarla con il ragionamento. E' un appello all'intelligenza dell'uomo, affinché non si lasci travolgere dalla téchne, che non è necessariamente negativa ma che deve cooperare con la natura. Perché la natura non tradisce, il suo studio ci libera dalle ossessioni dell'umanità, primi fra tutti la paura della morte e i desideri illimitati. E il senso del limite non mi sembra la prima virtù della tecnica». Carlo Grande Socrate non si curava di alberi e campagna, ma Usuo allievo Platone denunciò i danni inflitti all'ambiente dell'Attica Gìgante: «Da Epicuro un invito a non lasciarsi travolgere dalla tecnica e a recuperare il senso del lìmite» La fauna marina in un mosaico di Pompei. Nelle foto, da sinistra, Dario Del Corno e Marcello Gigante

Luoghi citati: Assisi, Bari, Napoli, Pompei, Roma, Spagna, Torino