Pompei, i cancelli dell'impossibile

Pompei, i cancelli dell'impossibile Slalom fra divieti, strade sbarrate da assi, muri che si stanno sbriciolando sotto la pioggia Pompei, i cancelli dell'impossibile «Qui i turisti hanno l'impressione di vagare nel nulla» TESORI ALLO SFASCIO POMPEI DAL NOSTRO INVIATO Si inginocchia Sheila, ventenne australiana, e guarda assorta il «Cave Canem». Il vento solleva folate di polvere e fa saltellare le lattine lungo i solchi dei carri di 18 secoli fa. Il mosaico in bianco e nero si stempera nella terra che si incolla ai vestiti. Il cane-simbolo di Pompei è sporco e ringhia dietro una grata grigiastra. Oltre si intravede l'atrio della Casa del Poeta Tragico. La semioscurità fa indovinare colonne e pareti. Ci sono un portico e una sala del triclinio, racconta la guida a pagina 40, e Sheila pensa con malinconia alle migliaia di miglia che si è sorbita e al cancello che adesso non le lascia speranze. Non vedrà mai «Teseo che abbandona Arianna» e «Marsia e Olimpo». Fissa le foto degli affreschi sul libretto, poi rialza la testa a contemplare il vuoto. C'è la Pompei dei volumi d'arte e degli opuscoli da quattro soldi, brillante, stupefacente, meravigliosa, e c'è la Pompei vera. Non si vede, a volte si intuisce, come ima dea riottosa. Ci si deve affacciare alle travi, bisogna schiacciare la faccia contro i portoni o appendersi ai cancelletti e desiderare l'impossibile. Dove non arriva l'occhio si sostituisce l'immaginazione. Vorresti passeggiare nella suggestione degli stucchi del Tempio d'Iside, ma la serratura è chiusa a doppia mandata, vorresti scoprire Teseo e il Minotauro, ma la Casa del Labirinto è inaccessibile, vorresti aggirarti per il più scenografico dei peristili decorati, ma la Casa degli Amorini Dorati è bloccata, vorresti fermarti negli spazi delle Terme centrali, ma non c'è verso d'entrare, vorresti osservare la scena mitologica della Morte di Laocoonte, ma la Casa di Menandro è «off limits», vorresti esplorare i portici della Palestra, ma si è respinti, vorresti divertirti con l'affresco naif di Venere, ma la Casa della Conchiglia, anche quella, è vietata. La polvere attenua i celebri sfondi porpora delle ville patrizie e Ito, dirigente di Osaka, si lascia distrarrò dai cartelli che penzolano dagli sbarramenti. Sugli omini neri campeggia il rosso del simbolo «vietato». Da lì non si passa e nemmeno di qui e di lì. Inoltrandosi lungo la Via dell'Abbondanza, ha notato con fastidio le strade sbarrate con le più fantasiose composizioni di assi. Le hanno messe a sfigurare anche il Teatro Grande: bloccano gli accessi alla cavea. Ito e i suoi 30 colleghi hanno dovuto accontentarsi di un giretto sul muro perirne trale, finché un avviso, l'ennesimo, li ha bloccati con un inquietante «Pericolo». «E di che cosa?», ha chiesto. E il «group leader» gli ha risposto imbarazzato che a Pompei tutto è fragilissimo. Basta un colpo d'occhio per accorgersi che molti muri delle «insulae» si stanno sbriciolando. A segnalare i crolli mucchietti di pietre e frammenti di malta. «E' la devastazione delle piogge», si incupisce il direttore degli scavi, Antonio D'Ambrosio, sotto il cielo che minaccia tempesta. «La pioggia la odio». L'acqua scorre tra le crepe e fa scoppiare le pareti, cola sulle pitture, staccandole. Quanto terranno ancora le travi del vicolo di Narciso punteggiato di fazzoletti di carta? I cipressi che si agitano al vento rendono le improvvisate architetture di sostegno anche più sinistre del solito e Jacques e Michclle, cinquantenni di Tolosa, provano un brivido quando un cane randagio li sfiora. Non avrebbero dovuto tirare fuori dallo zainetto i biscotti alla crema. «Qui i turisti hanno la sensazione di vagare nel nulla», si dispera il di- rettore della British School di Roma, Andrew Wallace-Hadrill, che sta portando alla luce un tassello di Pompei I, quella arcaica, di 7 secoli preesistente alla catastrofe del 79 d. C. I nomi in italiano e latino di vie ed edifici sono l'unico lusso concesso dalle 12 mila del biglietto d'ingresso. Non esistono spiegazioni nemmeno nella Villa dei Misteri (miracolosamente aperta). Accanto agli indecifrabili riti di baccanti campeggia solo una minaccia: «Attenzione, non avvicinarsi. Allarme elettronico». E Sileno tace beffardo. Nei loro santuari anche Apollo e Venere si sono zittiti, sgangherate divinità alla Borges. Se gli spaesati allievi della III B di Avellino volessero farsi un'idea di com'era la Pompei di Tito, non avrebbero altra scelta che comprare nell'in- golfato bar-ristorante-bookshop dietro al Foro «Monumenti di Ieri e Oggi» dell'ex soprintendente Alfonso De Franciscis, in cui ai principali scorci della città si sovrappone un trasparente che ne ricostruisce l'aspetto originario. Tutta la virtualità disponibile è questa, di cartoncino e plastica. Casereccia, ma almeno rassicurante. Di certo più piacevole degli spie- goni aggressivi delle guide patentate dalla Regione Campania che s'aggirano come rapaci all'ingresso di Porta Marina: «Dottò, serve un giro?». «E chi li conosce quelli?», si lamenta il soprintendente Piero Guzzo. «Per legge non possiamo controllarli. Così la gente contratta il cachet come al bazar e si sorbisce chissà che cosa». E tanti visitatori, abbandonati a se stessi, si vendica¬ no con piccoli e grandi vandalismi: incidono i bordi delle taverne con «Massimo ama Laura», buttano le cicche dove capita, staccano le tessere dei pavimenti, passano le mani sudate sugli affreschi, abbattono a calci i passaggi sbarrati. «Con 40 guardiani per turno tenere d'occhio quasi 4 milioni di piedi l'anno è un rompicapo», ammette Guzzo, manager dimezzato che non ha uomini né mezzi. «I 5 miliardi del nostro budget impediscono qualunque manutenzione: non riusciamo a garantire neanche il comune senso del pudore archeologico». La maggior parte dei puntelli, infatti, risale all'emergenza post-terremoto dell'80 e da allora l'area chiusa al pubblico ha continuato a estendersi, fino a coprire i 2 terzi dei 44 ettari scavati in 250 anni. «Mentre il ministro Walter Veltroni promette il piano di salvataggio "Pompei 2000", assistiamo a una degenerazione che non sarebbe consentita in nessun altro luogo d'Occidente», accusa Wallace-Hadrill e D'Ambrosio sottolinea che alla catastrofe si può opporre qualche restauro isolato, al limite dell'eroismo. «Lavoriamo al Macellimi e alla Casa di Diomede e stiamo per finire il consolidamento di quella di Caio Giulio Polibio», dice, indicando le coperture in cotto che hanno salvato le nature morte e i mascheroni dei fregi. Sulla via un gruppetto di scalmanati fissa senza capire un graffito classico: «Nulla al mondo dura in eterno». Gabriele Beccaria (Fine) Dominano vandalismi e sporcizia Il «bazar» delle visite guidate Adesso sono chiusi al pubblico i due terzi dell'area archeologica E i 40 guardiani sono insufficienti I responsabili: «I cinque miliardi del nostro budget impediscono qualsiasi manutenzione» Adesso i due teE i 40 guI respondel nostqualsias