E Fujimori conquistò il terzo mandato

E Fujimori conquistò il terzo mandato E Fujimori conquistò il terzo mandato // blitz deciso dopo il tracollo del leader nei sondaggi LA RISCOSSA PEL «CHlll®» !.; u- , ANDAVA come Cesare tra i suoi legionari, l'altro pomeriggio a Lima, il presidente Fujimori, che nel giardino dell'ambasciatore Aoki riceveva i canti di vittoria delle sue teste di cuoio. I soldati, la faccia nera di fumacci, alzavano il pugno in aria, esultanti; lo stesso faceva il Presidente, difeso dal giubbotto antiproiettili, anche lui con il pugno in aria. Diciassette corpi erano per terra. Ma 10 stile non è una prerogativa obbligatoria dei condottieri. «Volevamo dare un esempio al mondo», avrebbe detto più tardi il Cesare peruviano, ormai travolto dal successo. L'orgoglio fuori misura di un piccolo presidente di un piccolo Paese poteva comunque trovare una sua legittimazione nel risultato dei fatti; e questo, all'eroico mandatario bastava. Perché, ora la storia era cambiata. Lunedì mattino, quando gli avevano portato la rassegna stampa sul tavolo da lavoro, nell'antico palazzo di Plaza de Armas, Alberto Fujimori non si era trattenuto da un rabbioso gesto di reazione; e con una manata violenta aveva spazzato via tutti i giornali limeni. La notizia che veniva pubblicata in prima pagina era davvero una brutta sorpresa: un sondaggio d'opinione, svolto nella settimana, rivelava che la popolarità del Presidente ormai non sfiorava nemmeno il 35%; e questa percentuale era quasi la metà degli standard ai quali Fujimori si era ben abituato da quando, nel '90, aveva guadagnato il primo mandato, sconfiggendo a sorpresa un cavallo vincente come lo scrittore Mario Vargas Llosa. In quel tempo febee era poi venuto il suo golpe bianco del '92, e poi ancora la rielezione con una maggioranza che sembrava un plebiscito. I viaggiatori d'America Latina avevano allora cominciato a parlare di neocaudillismo, e dietro Fujimori ora venivano schierati in linea l'argentino Menem, il venezuelano Caldera, il boliviano Sànchez de Losada, tutti capi di Stato per i quali la sospensione delle garanzie costituzionali - o comunque la riforma autoritaria della legge costituzionale - era stato uno degli atti fondanti del potere, e sempre con un credibile appoggio popolare. Questo 35% era ora un segnale molto serio, per il primo dei neocaudillos, anche perché diventava 11 punto di caduta di un trend che ormai, dalla presa degli ostaggi nella villa di Aoki, si era mostrato pressoché inarrestabile. Andava fatto qualcosa. E sicuramente non c'era nulla di meglio di un colpo spettacolare nella residenza giapponese che dimostrasse come fi pugno di Fujimori sia sempre d'ac- ciaio. E come il suo vecchio principio - che la guerriglia, prima la si batte e poi se ne discute - valesse ancora oggi, quando le incertezze su un terzo mandato sono l'unica, vera, preoccupazione che turbi il presidente «chino» e i suoi ambiziosi progetti di padre della patria. Sul terzo mandato, dopo fi golpe alla villa degli ostaggi, nessuno riesce più ad avere dubbi. Il successo strepitoso dell'operazione militare spazza via gli scetticismi che montavano; e anche se ancora c'è qualche testardo che parla di deriva pericolosa del sistema politico, e di una «democradura» che si avvia a diventare sempre più una «dieta- blanda», se non una vera e propria «dictadura», comunque la grande maggioranza dell'opinione pubblica peruviana torna a schierarsi compatta con il suo Presidente. Che potrà tornare a leggere con gusto i giornali della capitale, sul suo tavolo di Plaza de Armas. Altrettanto soddisfatti di lui sono, naturalmente, i militari, che formano gli alleati naturali, e il più robusto sostegno, del progetto autoritario di Fujimori. La beffa che gli avevano fatto ingoiare i Tupac Amaru - che avevano avuto l'improntitudine di prendere in ostaggio ben 25 tra generali e generabili, compresi i capi del servizio spionaggio e dell'antiterrorismo -, quella beffa non era mai andata giù al vecchio potere castrense, autorizzato da Fujimori a mettere da parte codici e leggi pur di farla finita con le guerriglie che insanguinavano il Perù. Gli uomini in divisa preparavano nel silenzio la loro rivincita, realizzando a tappe il programma: la disinformazione, prima, poi l'impianto progressivo della logistica d'attacco, poi l'irrigidimento del negoziato, infine l'attesa del D-Day. La lotta di questi 126 giorni non era più per la libertà dei 72 prigionieri e per il ruolo politico da assegnare potenzialmente all'Mrta, ma per un «esempio da dare al mondo», e con due solide ragioni: rispondere alle pressioni nordamericane (il Dipartùnento di Stato era molto preoccupato che si scatenasse un effetto d'imitazione in America Latina), ma soprattutto offrire al Perù la conferma di una leadership che ha una concezione strumentale della democrazia. E del rispetto dei diritti umani. Però l'America Latina di oggi è quella che si è vista sullo schermo della tv, con il piccolo Presidente che alza il pugno e le teste di cuoio che gli fanno da guardia d'onore. Il nuovo populismo riesce ad accoppiare liberismo e caucLillismo, for¬ mando una miscela politica dove le formule tradizionali stentano a trovare una qualsiasi collocazione. Appena due mesi fa, in Ecuador un golpe è stato consumato stiracchiando le leggi fino a farle diventare un chewing-gum, e senza procurare troppo scandalo in giro. Tira aria brutta, insomma, a Sud del Rio Bravo. E sono problemi che riguardano anche le nostre democrazie, tentate sempre dalle scorciatoie che evitino il fastidioso rispetto dei diritti umani quando sono in gioco altri interessi (Usa e Cina sono lì a darcene un esempio). Mimmo Candito Venti minuti di vuoto tra l'irruzione e l'esultanza Voci sul sostegno di servizi segreti di Paesi stranieri 1 li Durata 50 minuti Liberati dopo 126 giorni di prigionia 71 dei 72 ostaggi catturati il 17 dicembre 1996 da un commando del movimento rivoluzionario tupac amaru (Mrta). .Bilancio: 17 morti (14 guerriglieri, due agenti militari ed un ostaqgiof e 25 feriti, di cui due abbastanza gravi (il ministro degli Esteri peruviano Francisco Tudela e il membro della corte suprema Luis Serpa). L'unico ostaggio deceduto è il membro della corte suprema, Carlos Giusti. I gruppo di élite dell'Aviazione e 4- /■ della Marina, '» di 140 uomini, è entrato in azione all'improvviso, nel pomeriggio (le 15,25 locali e le 22,25 italiane). Sono stali utilizzati bazooka e fucili mitragliatori. iIMWiJMIMIB Alcuni dei membri de1 ^B^Pp^™ «commando» del Mrta tttr sono stati uccisi da ^« un'esplosione avvenuta sotto il pavimento del salone, mentre stavano giocando la partita quotidiana di calcetto. Poi c'è stata una sparatoria durata circa 25 minuti. Quasi tutti i guerriglieri sono stati colti di sorpresa ma uno è riuscito a lanciare una bomba che ha ucciso due soldati Per arrivare nella residenza è stalo scavato un tunnel sotterraneo lungo circa 200 metri, l'apertura aveva un diametro di circa un metro. L'assalto finale è avvenuto attraverso porta posteriore della villa e il letto. Nel frattempo soldati provenienti dall'esterno hanno occupalo i punti . ^ strategici della „ residenza. Un gruppo di ostaggi esce dalla ambasciata giapponese poco dopo l'assalto che il presidente Fujimori ha definito «un esempio per il mondo»

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