Il Vittorio Veneto riconquista la libertà di Pierangelo Sapegno

Il Vittorio Veneto riconquista la libertà Il generale Forlani ha assunto il comando dell'operazione, il contingente italiano a Scutari Il Vittorio Veneto riconquista la libertà Disincagliato dal fondale, aperta una inchiesta VALONA DAL NOSTRO INVIATO Visto da sotto, da questa carretta arrugginita che gli caracolla appresso sul filo del mare, il Vittorio Veneto è una maestà. Bello, grande, forte. Ferito. Sul peschereccio, puntano le telecamere, levano in alto i taccuini per saluto. Tutti i marinai accorrono in coperta, rispondono, si sbracciano. Anche gli ufficiali si affacciano sul ponte di molo. Immobili. Come statue di sale marino. L'incrociatore è salvo, disincagliato, può prendere il mare, ma forse può anche prendere a bordo una decina di cronisti che lo inseguono disperatamente su questa carretta traballante con i fori dei kalashnikov e la prua che beccheggia sulle onde. Il Vittorio Veneto è come fermo, adesso, nella sua possenza. Ma appena Adest gli porta sotto il peschereccio, masticando la sua cicca di sigaretta e chiudendo gli occhi al sole, è come se l'incrociatore avesse un gesto di ribellione, di lesa maestà. E a quel punto il Vittorio Veneto attacca le macchine a tutta forza, e schiuma da poppa, una grande panna, con la prua verso l'uscita della baia e gli ufficiali impettiti che guardano dall'alto questa carriola del mare che comincia a ballare fra le onde. I cronisti abbassano i taccuini. Solo Adest, lo scafista, ride e urla di gioia e perde pure la sigaretta dalle labbra: «Ho messo in fuga la grande nave da guerra!». Purtroppo, questa storia è destinata a passare così, come una comica. I cronisti lo sapevano bene che non li avrebbero fatti sabre. Avevano chiamato Roma, e qualcuno negli ambienti della Marina aveva spiegato che «era già partita un'inchiesta amministrativa interna, per accertare le responsabilità: per questo non possono proprio prendervi a bordo». Loro ci avevano provato lo stesso, nonostante anche il generale Giglio, comandante in capo della Brigata Friuli e responsabile del contingente italiano nel Sud dell'Albania, avesse tentato di dissuaderli. Il generale, al cerchio di cronisti che lo stringeva, illustrava la situazione militare nel suo complesso. Un gruppo di soldati italiani sono già arrivati ad Argirocastro per preparare l'arrivo dei 400 romeni. E da Tirana annunciano che altre pattuglie italiane sono salite a Scutari. Adesso verranno pure scortati gli aiuti umanitari. A Valona, invece, vediamo di sistemarci e di capire bene la situazione, dice Gigho: «Un esempio? Stiamo ancora aspettando gli ospedali da campo per i civili». Poi c'è il problema delle bande, della violenza diffusa. Su quello politico, è intervenuto il generale Luciano Forlani, comandante in capo della missione: «Nessun contatto fra la forza i multinazionale e i comitati locali. I nostri interlocutori sono le autorità del governo sia centrale che periferiche». Come dire che non sembra tirare aria troppo buona per i comitati del Sud, che proprio domani si riuniranno in assemblea a Valona. Oggi, invece, nella città della rivolta occupata dagli italiani, scenderà il re Leka per una visita voluta dal sindaco Xhalili Medin, ma poco gradita al Comitato. «Un incontro inopportuno», lo definisce Dashmir Bejo, il vice presidente. Quelli che si annunciano sembrano giorni strani come se tutti stessero studiandosi. Qualcosa pare già cambiato. All'hotel Bologna c'è un'aria diversa, con le truppe sempre più vicine e le visite notturne dei para carabinieri. Stamattina, poi, è finita anche la figuraccia del Vittorio Veneto. «Abbiamo lavorato tutta la not¬ te», racconteranno poi dal rimorchiatore Teodoro Barretta. Pensare che il giorno s'era aperto con una gran paura. C'era stato un tuono che aveva fatto più fragore di una bomba e aveva svegliato tutti, a Valona, anche il generale Giglio, quasi sbalzato giù dalla brandina: «Mio Dio, è esploso il Vittorio Veneto». Era corso a guardare, il mare calmo e la nave sempre li, in mezzo alla baia. Qualche minuto dopo, dal porto, l'hanno visto cambiare posizione. Lentamente, ha rivolto la prua verso la spiaggia. Erano le 6 del mattino, o qualcosa dopo, ce l'avevano fatta, il Vittorio Veneto era stato finalmente disincagliato un giorno esatto dopo la figuraccia, i cinque rimorchiatori addosso, gli ufficiali che ti- ravano un sospiro di sollievo. E' rimasto ancora in rada, hanno spiegato, «perché i sommozzatori continuavano a lavorare sotto per controllare l'elica». Il responso, alla fine, non è brutto, almeno quello: nessun danno. Solo alcuni segni sulla fiancata destra, di sporco, precisano, «lasciati forse dai cavi dei rimorchiatori». Dal porto, quei segni si vedono bene, sulle mura di dritta, e sembrano macchie d'onta, paiono ferite vere. I cronisti corrono nella baia di Triport per cercare di raggiungere il Vittorio Veneto e salirci sopra. Lì intorno c'è un relitto industriale che incupisce sul mare. Due Mercedes nuove fiammanti. Quattro pescherecci sgangherati al molo. Adest, il pilota del Kreshnik, accetta di portare i cronisti. Questa carretta di ruggine si avvia verso la poppa del Vittorio Veneto. Fa una grande curva, ridendo: «Vedi i fondali qui? Se non stai attento fai la fine della nave da guerra». Poi la sua barca taglia la baia, passa tra i cinque rimorchiatori. Adest smanetta sulla radio per parlare con il Vittorio Veneto. Quando arriva sotto alle mura di dritta scoppia a ridere. Per gli scafisti dev'essere stata una festa questo incidente. Lui schizza dentro la cabina di pilotaggio. Urla alla radio: «Nave da guerra, nave da guerra, come ti senti?», che importa se non lo sentono. Pierangelo Sapegno L'incrociatore Vittorio Veneto finalmente disincagliato ! segni sono stati lasciati dai rimorchiatori

Persone citate: Bejo, Forlani, Giglio, Kreshnik, Leka, Luciano Forlani, Teodoro Barretta, Xhalili Medin