FERMARE L'APOCALISSE di Igor Man

FERMARE L'APOCALISSE FERMARE L'APOCALISSE monda, dice. «Barbari, bestemmiatori della vita e dunque di Dio». Ma chi ha dato la notizia del macello alla tv, osserva, è lo stesso primo ministro che ancora in novembre definiva il terrorismo «residuale». Il fatto è che l'attuale regime non vuole ammettere la realtà, cioè la guerra e prima o poi si troverà di fronte al peggio: al Già. Il regime ha accettato tutto: il multipartitismo, il referendum, le elezioni, ma ha scartato l'unico strumento capace (forse ancora per poco) di salvare l'Algeria e cioè il dialogo «senza esclusioni». Insomma, sinché il Fronte Islamico della Salvezza, cioè l'islamismo militante ma moderato, non verrà rilegittimato, il popolo, l'Algeria profonda non potrà esprimersi chiaramente. Ma il regime sa benissimo che rilegittimare il Fis significherebbe perdere il potere nell'arco di neanche due anni. Sicché «preferisce» pensare soltanto alla «Algeria che conta», trascurando l'Algeria autentica, quella dei miserabili. L'esercito coi suoi cannoni, con il napalm, coi carri armati difende i pozzi di petrolio e di gas, gli innumerevoli uffici di import-export. «Difende i ricchi, trascura i poveri». Mai dal 1962 ad oggi, l'Algeria ha avute tante e così copiose riserve di valuta, grazie all'aumento del prezzo del greggio. Un'economia di mercato che Ben Bella non esita a definire selvaggia, ha arricchito la nomenklatura. «Ci sono empori in Algeri che sembrano la grotta di Ali Babà», ha scritto Le Monde. L'Algeria, all'infuori del petrolio e del gas, non produce più nulla praticamente. Importa dalla verdura al chiodo (come l'Iran dello scià). Ma il regime non vuol spendere un soldo dei tanti che ha per combattere veramente il terrorismo islamista. I cavalieri dell'Apocalisse se i villaggi fossero difesi sul serio, anziché appaltati all'improbabile difesa privatizzata delle milizie rurali, non oserebbero andare a cavallo contro i carri armati. L'immane disastro sanguinoso è, dunque, «il risultato di una politica cinica, miope, antipatriottica». Noi occidentali, noi Europa, noi Italia ci indigniamo nell'apprendere notizie terribili come quelle che oramai da quattro mesi ci arrivano dall'Algeria. L'ulti¬ ma strage, la strage di mezzanotte, coincide con l'arrivo di una delegazione dell'Ue ad Algeri. E allora a chi si domanda «che fare» per metter fine alla tragedia corrusca di un Paese amico, bello e triste, dove perenne è la fioritura del gelsomino, occorre rispondere: prima di firmare trattati di associazione all'Europa, invece di discutere in astratto, come se l'Algeria fosse l'Olanda, si dovrà (o dovrebbe) parlar chiaro al Potere. L'Algeria ufficiale non può negare un giorno il terrorismo per denunciarlo il giorno appresso autocommiserandosi per giunta. Se l'Algeria dei generali non postulerà una proposta seria, razionale che consenta il ritorno alla normalità; se non produrrà uno sforzo importante, verificabile, per stroncare l'assassinio elevato a sistema, per restituire al popolo algerino pace e benessere, dall'Europa non verranno aiuti, nulla. Non si tratta di adottare questa o quella «piattaforma». Facciano loro, i signori dell'Algeria «che conta». Nessuno vuol peccare di ingerenza. Facciano i generali. Ma facciano presto: c'è il rischio che il mostro della violenza blasfema alla fine li stronchi. E sarà il caos nel Mediterraneo. Igor Man