A DOPPIO TAGLIO di Massimo Giannini
A DOPPIO TAGLIO A DOPPIO TAGLIO me l'unico erede degno di Adenauer; ne fa fede soprattutto l'avviata riforma del celebrato modello di «economia sociale di mercato», imperniata su una proposta della commissione del ministto del Lavoro Norbert Bluem: ridurre la copertura della pensione dal 70 al 64% delfultimo stipendio, per chi ha maturato l'età pensionabile (65 anni, con 40 anni di contributi). 1 francesi fanno altrettanto, con una manovra aggiuntiva da 12 mila miliardi e con le elezioni anticipate, già annunciate da Chirac per «blindare» la politica nazionale di qui alla primavera del '98, scadenza decisiva per l'Uem. L'Italia, virtuosa solo in questi ultimi sei anni, deve farsi perdonare un passato di allegra e incosciente dissipazione, oggi materializzato in un debito pari al 123% del Pil. E dunque non può non mettere qualcosa di altrettanto «pesante» sul piatto della bilancia di Maastricht, se vuole farla pendere a suo favore quando si deciderà chi fa o no parte della moneta unica. Di questo si è finalmente reso conto anche il Capo dello Stato a Berlino. E su questo - col monito a far presto interventi «strutturali» sulla previdenza - ha voluto allertare i politici di casa nostra, ridondanti nella dialettica del giorno per giorno, ma sterili ed evasivi nell'azione riformista di lungo periodo. Le reazioni del Palazzo sono parse per lo più entusiastiche: da Veltroni a Prodi che con la sua strategia dell'«adagio, adagio» la verifica sul Welfarc State l'ha elusa per mesi, da Bassanini a Dini che la riforma strutturale e definitiva delle pensioni poteva farla quand'era a Palazzo Chigi ma invece ne preferì una versione assai edulcorata per ingraziarsi il consenso sindacale, poi ovviamente «falchi» polisti da Fini a Casini, i verdi come Manconi, persino sindacalisti, «ex» come Altiero Grandi o in pieno servizio come Sergio Cofferati, che pur tra mille tentennamenti apre qualche spiraglio alla trattativa. Uomini che parlano da tempo linguaggi di versi, e che oggi sembrano tutti d'accordo col Colle, a dimostra zione di quanto sia stato fin qui generico e demagogico il dibattito sullo Stato sociale. I soli a non essere ambigui ma piuttosto irri- tati sono i «combattenti» di Rifondazione comunista, che invitano Scalfaro a tacere. E così - alla stessa stregua di quanto era accaduto un mese fa col discusso monito sull'occupazione - la mossa del Quirinale si rivela ancora una volta a doppio taglio. Da un lato rida ossigeno a Prodi e gli spiana la strada per l'affondo definitivo sulle pensioni, che deve partire subito e sfociare prima dell'estate in una seria riforma da convogliare nella Finanziaria "98, pena l'esclusione della lira dall'Euro. Ma dall'altro lato espone il governo, per gli stessi motivi, al rischio più esttemo: la sopravvivenza. Cilecche ne dica Asor Rosa, ridurre i costi di un sistema previdenziale che resta il più generoso d'Europa - per la Sinistra italiana che ha contribuito a crearlo e l'ha strenuamente difeso - oggi equivale davvero ad espugnare il «Palazzo d'Inverno». E' una sfida che, metaforicamente e politicamente, può fare morti e feriti, tra un pds ancora non compatto sulla linea brandtiana o blairiana del suo leader, un partito come Rifondazione che si fregia di togliere ai «ricchi» per dare ai poveri, e un sindacato come la Cgil che ha nei pensionati - oggi il 50% degli iscritti, contro il 7% del 1950 - il suo zoccolo duro. Da ieri, dopo l'«ultimo avviso» lanciato da Scalfaro, sappiano tutti che quel Palazzo va espugnato per forza: sia per piegare la struttura delle tutele sociali dalla parte dei giovani, sia per tentare l'ultima carta per l'ingresso in Europa. Da ieri sappiano tutti che quella carta è proprio uno Stato sociale più giusto e meno costoso, e non la pur importantissima riduzione dei tassi di interesse che la Banca d'Italia potrà accordare in presenza di un'inflazione calata in aprile all'1,8%, cioè ai livelli del '69. Per uno scherzo del destino, proprio l'anno in cui, tra autunni caldi e primi governi dorotei di Rumor, cominciò l'assalto alla diligenza del Welfare e uno sciopero generale fruttò a Cgil-Cisl-Uil l'aumento al 74% del salario pensionabile e l'introduzione della scala mobile sulle pensioni. Quasi 30 anni dopo, proprio la Sinistra e il «suo» governo devono rimediare a quei guasti. Corrano il rischio, e ne paghino il costo politico. Altrimenti a pagare sarà il Paese: fiaccato dalle Eurotasse e, nonostante questo, relegato nell'anticameta di Maastricht. Massimo Giannini
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