A Valona uno sbarco da applausi

A Valonq uno sbarco da applausi Il capobanda Zani si presenta, chiede di incontrare i comandanti ma viene ignorato A Valonq uno sbarco da applausi Fiori e una folla festante per il contingente italiano VALONA DAL NOSTRO INVIATO E alla fine sono arrivati i nostri. Alle 6 del grigio mattino il colonnello Abisso misurava la banchina e puntava con il dito le tre navi apparse in rada, Vittorio Veneto, Grecale e San Giusto. E alle 6 e 30 Septim Xhafa scuoteva la mucca bianca in mezzo alla strada e la batteva dietro con il Kalashnikov mandando urla al mondo, perché in fondo alla curva nei campi avanzava il primo blindato delia colonna con la bandierina italiana che spuntava dietro il dosso e il rombo dei carri che si faceva sempre più vicino, e chissà se quelli si sarebbero mai fermati per la sua Carolina. Sono arrivati i nostri, beli', alti, puliti, con i loro mitra a tracolla, i rayban a goccia, le tute mimetiche perfette, gli anfibi lucidati di fresco, sono arrivati a Valona, forti, moderni, equipaggiati di tutto punto, persino con le tre biro nei taschini e i guanti di pelle, tutti educati, gentili, impassibili come statue anche di fronte all'unico albanese ubriaco che sta aggrappato ai cancelli e ripete come un ossesso «pezzi di merda, pezzi di merda...». L'unico, però. Perché i bambini impazziscono di gioia con gli occhi spalancati e corrono dietro ai carri e alle camionette, perché la folla ritma in coro «i-talia-ni, i-ta-lia-ni», perché la gente insegue i militari con fiori e urla «grazie! Grazie Italia» mentre applaude. Perché se entri in un bar e prendi qualcosa, ti dicono «pagato clienti, oggi per italiani tutto gratis», e perché poi la processione davanti al molo di fianco all'hotel Bologna, dove si sono attestati i nostri, continua per tutto il giorno e sempre con lo stesso incredibile stupore, e con le bandierine del Milan e della Juve che salutano come se fossero tricolori. Sono arrivati i nostri, nella terra degli Apaches, forse rozzi e un po' selvaggi. Alle 8 e mezzo si fa vivo Zani Caushi con il suo Kalashnikov impolverato e scheggiato, in jeans e scarpe da ginnastica, con 5 dei suoi attorno a guardare il cielo con le loro lance e le loro frecce, tutti piazzati davanti al cancello, dietro al filo spinato, dove gli incursori del Col Moschin hanno segnato il limite muitare oltre il quale non si può passare. Dev'essere solo una scena dimostrativa, un numero da indiani della frontiera, mentre Zani leva in alto il mitra e dice «siamo amici, viva italiani». Gli indiani salgono sui cancelli, elemosinano un bossolo, magari anche solo il laccio di un anfibio e poi gridano «viva Prodi» e «viva Juve» come se fosse la stessa cosa. Vanno a gremire piazza delle bandiere e ascoltano quelli del Comitato di salvezza che parlano dal palco, e ascoltano Luftar Petroshati che dice come se fosse un capo Sioux: «Un giorno si sono riuniti tutti gli animali della foresta e ognuno ha espresso il suo dm/te desiderio. Bisogna ricostruire tutto, dissero. Poi uscirono le api e cominciarono a far le punture. Altri animali si ribellarono. Così niente fu ricostruito». Allora, Dash Bejo, il vicepresidente del Comitato, dice che sono arrivati gli italiani: «Dobbiamo andare tutti al porto per vederli con i nostri occhi e far vedere a loro come li aspetta il popolo di Valona». Applaudono tutti, Italia Italia gridano, e Berisha giù, con il pollice a terra, Berisha giù. Poi andiamo a vedere i nostri là, al porto, e si muovono come per una passeggiata della domenica, sparpagliandosi lungo le strade fra le carcasse vuote delle macchine. I pellerossa d'Europa non faranno certo la fine di quelli d'America, ma sembrano come loro spuntare da un tempo diverso, lontano, antichissimo. E adesso che i nostri marines sono arrivati nella città sfasciata, il sindaco Xhalili Medi può finalmente tirare fuori i conti e dire che sì, la situazione è migliorata rispetto a 15 giorni fa, ma che in un mese e mezzo ci sono stati addirittura 137 morti e 504 feriti, «ai quali bisogna aggiungere quelli del traghetto di Otranto». E' in questo Far West che sono arrivati i nostri, che un maresciallo dei marò, pizzetto biondo e occhi chiari, ha messo piede sulla terra ferma scendendo per primo oltre il portellone aperto, alle 8,40 di questo fresco e grigio mattino. Dietro di lui, il sottotenente di vascello Alessandro Pausone, 27 anni, «da Mondovì provincia di Cuneo» come recita velocemente: «Posso andare?». Certo. Entrate, entrate. Benvenuti a Valona, città di frontiera, 120 mila abitanti e chissà quanti pellerossa. Uno di loro, Zani Caushi, comincia a farsi scuro in volto davanti al cancello. Ha chiesto di parlare con gli ufficiali italiani. Ma non se lo fila nessuno. Anzi. E pensare che il colonnello Nardi aveva appena imito di scherzare: «Mi sento un po' come Andreotti, a forza di tutti questi baci». Ma si riferiva agli uomini del Comitato, magari. Perché Zani invece, il colonnello se lo guarda, e dice: «Mai visto. E' la prima volta, parola d'onore». Solo che il brigante se la prende a male, sta impetri¬ to come un capo indiano davanti al cancello, poi decide che è meglio prendere e andare da un'altra parte. Se ne va dai greci, che sono aìlAccadomia della Marina. E lì lo ricevono persino gli ufficiali. I greci è dall'inizio della mattina che ce l'hanno con noi. «Ci sono molti problemi operativi», accusano. Chiedono «maggior cooperazione per rendere più efficace la missione». Lo fanno anche da Atene, con dichiarazioni polemiche del ministro della Difesa. A Strasburgo protesta il presidente Stefonopulos: «Il mandato della missione non è molto chiaro». Tutti questi, però, saranno problemi da affrontare nei prossimi giorni, ribattono da Roma. Oggi è ancora bello vedere i nostri a gambe larghe e mitra imbracciato, fermi sulla spiaggia e sul molo fra gli applausi. Oggi, può persino succedere al cronista che ha fretta di sorpassare in curva di venire bloccato al posto di blocco dal poliziotto albanase. «Italian Gazetari», dice. Allora va bene: «Ah, tu faccia simpatica, lo 32 anni, tu quanti? Posso stringere mano?». E prima di andare via, «viva Italia», sorride ancora il poliziotto sventolando la paletta. Sarà semplicemente che i soldati venuti dal mare con il tricolore hanno fai.t.o una bella figura. Anche Xhafa con la sua mucca, guardava allibito dal ciglio della strada i cani passare: «Forte Italia. Forte». Pierangelo Sapegno Assalti a convogli e a magazzini E le scuole restano ancora chiuse I greci contestano il comando italiano «Vogliamo esserci anche noi» le tre biro pelle, tutssibili cote all'unie sta agpete come rda, pezzi rò. Perché o di gioia e corrono mionette, oro «i-tahé la con ie ItaPerché mato resso alona aia di lcano enuto tiera, mentre Zani leva in alto il mitra e dice «siamo amici, viva italiani». Gli indiani salgono sui cancelli, elemosinano un bossolo, magari anche solo il laccio di un dm/te desiderio. Bisogna ricostruire tutti, Italia Italia gridano, e Berisha giù, con il pollice a terra, Berisha giù. Poi andiamo a vedere i nostri là, al porto, e si muovono come per una passeggiata della domenica, sparpagliandosi lungo le e dire che sì, la situazione è migliorata rispetto a 15 giorni fa, ma che in un mese e mezzo ci sono stati addirittura baci». Ma si riferdel Comitato, maginvece, il colonneldice: «Mai visto. Eparola d'onore». Ste se la prende a mnvogli gazzini estano chiuse Sotto, un carro armato Italiano all'Ingresso del porto di Valona mentre migliaia di persone si accalcano per dare il benvenuto li primo gommone trascinato a riva dagli italiani