«Se qualcuno ci attacca sapremo difenderci» di Pierangelo Sapegno
in totale sfacelo «Se qualcuno ci attacca sapremo difenderci» ^ ASPETTANDO L'ORA X VALONA DAL NOSTRO INVIATO Le camionette fanno in fretta a svuotarsi. Scendono i soldati e gli ufficiali, tute mimetiche, tasche e cinturoni, elmetti, anfibi, radio, armi, qualche sorriso, perché il poliziotto non sa che fare, con le sue scarpe bucate, i sui calzoni inzaccherati, il suo kalashnikov appiccicato con l'adesivo. Il cortile di ghiaia gira attorno alle aiuole, davanti alle case sfasciate. Sono le 17,45. I primi a gridare sono i bambini, ce n'è uno che corre sventolando la bandiera della Juve, un altro che s'è infilato la maglietta nuova del Milan. E' il loro modo di far festa. A Valona sono arrivati gli italiani, gridano, «sono arrivati, sono arrivati». Questa volta sbagliano di poco. Fa freddo, a Valona, tutte le sere, anche questa che è l'ultima prima dello sbarco, anche questa notte che aspetta gli italiani. Tira un vento di tramontana, «sta per arrivare brutto tempo», dice il generale. Adesso bisogna fare in fretta, ad arrivare a Valona. Così, lo sbarco sarà questa mattina, alle 9.1 cento fucilieri di Marina del Battaglione San Marco metteranno piede sulla spiaggia lunga, come hanno chiamato questa striscia di terra, sotto il promontorio. Alla stessa ora, i 640 uomini delle forze di pace entreranno a Valona, i cinquecento del 18° più i greci. Quelli che sono qui adesso, in quello che fu il campo dei pionieri di Enver Hoxha, e poi la caserma dove stavano le forze speciali fino al giorno della rivolta, sono le prime avanguardie dell'esercito che sta per arrivare. C'è il generale Giglio, che comanda la brigata meccanizzata Friuli, c'è il colonnello Vincenzo Lops, che comanda la 18a, e poi c'è un grappolo di ufficiali di fronte alle quinte un po' sbrecciate delle casette bianche, devastate dalla rivolta e dall'incuria. Qui dovranno starci i 180 carabinieri della Tuscania e gli uomini del Col Moschin, e dovrà starci pure il Comando della Brigata. Avranno una grande nostalgia di Sarajevo, da queste finestre vuote affacciate sul mare, sul promontorio spazzato dal vento. Nell'altro posto, su alla scuola dell'Aeronautica, i bersaglieri e i greci. Adesso, è sceso il sole, Valona si ingrigisce ancora di più. Ogni tanto raffiche in lon- tananza. Beh, dice il generale Giglio, «io qualche cosina dalle bande me l'aspetto, perché se uno è abituato a fare tutto quello che vuole mal sopporta il ritorno dell'ordine. Ci difenderemo se attaccano, ma sarà solo autodifesa». E in città, nella scuola sfasciata dove s'era attestato il Comitato di salvezza della città, anche Albert Shyti dice che qualche rischio forse può esserci, «ma ci stiamo organizzando già da tempo, non solo da oggi. E faremo di tutto per evitare qualsiasi piccolo incidente». Questa mattina, quando i soldati scenderanno da Fier lungo la strada che sorpassa Levan, sale sulla collina fra i pini e gli ulivi e poi ritor- na giù verso il mare, sul ponte di Mifor troveranno ad aspettarli gli uomini del Comitato. Gli altri saranno sul mare, «a far festa», dice Shyti, «perché questo sarà un grande giorno di festa in Albania». Sul ponte in ogni caso la situazione è già cambiata oggi, nella domenica che aspetta il D-day. Fino all'altro giorno c'erano ancora i soldati di Zani Caushi, posti di blocco selvaggi per evitare che «gli uomini di Berisha entrino nella città», come ripeteva lui ai giornalisti che si avvicinavano. Oggi, invece, non c'è nessuno, nemmeno un cane, e persino la torretta di fianco con la postazione per la mitragliatrice è stata abbandonata. Prima di arrivare qui, anche la strada sembrava diversa, presidiata dopo Fier da qualche camionetta dei paracadutisti dei carabinieri, e prima di Fier percorsa da questa colonna interminabile che cominciava a Durazzo e che si allungava fra i campi e le curve, nel traffico polveroso di una domenica albanese, con i pullman riempiti di contadini e di galline e tutte le macchine lavate di fresco, ma proprio tutte, anche quelle da rottamare. Sulla strada, sono venuti sui bordi con le maglie delle squadre di calcio, e persino quelle del Torino sono riuscite a trovare, quelle del Perugia, e pure della Lazio. E poi il vecchietto Selman Xhafa spuntava dal sentiero con la pipa e il suo copricapo musulmano. «Italiani brava gente», diceva, «anche gli italiani che vennero qui con il fascismo erano brava gente». Andando avanti non si vedono più i bambini che ti guardano passare tenendo un mitra in mano, e non si vede nemmeno più la sentinella che spara in aria e al cielo per salutarti. Pierangelo Sapegno Deserte le linee di difesa degli insorti Ma resta la minaccdei Kalashnikov I bersaglieri si sono insediati nelle caserme in totale sfacelo \ Bersaglieri del 18° reggimento della brigata Garibaldi a Durazzo [FOTO ANSA]
Persone citate: Albert Shyti, Berisha, Enver Hoxha, Giglio, Moschin, Vincenzo Lops, Xhafa, Zani
Luoghi citati: Albania, Durazzo, Friuli, Lazio, Sarajevo, Tuscania, Valona
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