Valona, il giorno più lungo dei marò di Vincenzo Tessandori

La gente grida: «Benvenuti italiani». Ma l'incognita sono le milizie del bandito Zani La gente grida: «Benvenuti italiani». Ma l'incognita sono le milizie del bandito Zani Valona, il giorno più lungo dei marò Alle 9 lo sbarco fra i ribelli VALONA DAL NOSTRO INVIATO Si sbarca questa mattina alle 9 sulla spiaggia di Valona, la città ribelle. E forse finisce così la «Libera repubblica di Vlora. Laggiù dove c'è il mare, ieri solo una raffica di mitra, ma di gioia perché si è sposato Pietru, uno degli uomini di Zani Caushi, il predone più reclamizzato di Valona. Lo chiamano «uomo» ma è appena un ragazzo e sorride un po' a disagio nel vestito scuro, mentre la sposa, in quel suo abito di tulle bianco, ha il volto terreo e la sorreggono. La festa è all'albergo Bologna, e ci sono quelli col kalashnikov a sorvegliare. Lefter Caushi, fratelli di Zani, è allegro e ti offre il mitra con due caricatori: «Te lo regalo, è tuo». Nel salone a vetri imperversa un'orchestrina e Zani col giubbotto antiproiettile si muove come in gabbia. Oggi arrivano gli italiani e Lefter dice che saranno i benvenuti, che lui e i suoi andranno a riceverli sul ponte di Mifol, quello dove c'era il confine fra la «libera repubblica» e Tirana e dove ieri la polizia controllava le auto. Sì, dice Lefter, che è il più anziano ma non è il capo, sì, gli italiani sono i benvenuti. «Facciano il loro lavoro e noi facciamo il nostro», dice. E anche: «Ma non coprano le spalle alla polizia di Berisha, se no sarà la guerra e moriranno gli italiani e moriranno i greci e moriremo noi». Ma non è un giorno per far minacce, questo, e poi, no, non è possibile che gli italiani, «nostri fratelli», appoggino il presidente di Tirana. «E noi vogliamo le elezioni e faremo di tutto per averle. Ma abbiamo paura che la polizia segreta di Berisha, lo Shik, cerchi l'incidente». «Sì, nostri fratelli», ripete Lefter, e dice che in cinquanta minuti ti porta dall'altra parte e nessuno si accorgerà quando sbarchi. Pescano, lì sul mare placido. Non con la canna, con il tritolo. «Ma voi italiani, fratelli, siete nostri ospiti, dovete restare qui, alla festa», dice Lefter. E poi ricorda quel giorno in cui arrivò Romano Prodi e lui e suo fratello gli erano vicino vicino, con il kalashnikov, «perché lo coprivamo, perché lui era venuto per noi e non è come Bossi, quello del Nord che è uno come Berisha». E ride, e ripete che qui le cose andranno bene. Sì, ancora per un giorno Valona è terra di nessuno, o di tutti. Certo non è il feudo dei fratelli Caushi, loro, ti avverte qualcuno, «come sono apparsi, scompariranno». Il tenentecolonnello Milto Korva è il capo della polizia e quando parla soppesa ogni sillaba. «Zani? E' un ragazzo di qui, non è capo di una banda, ma di un gruppo che lotta per il popolo. Ma è meglio non stargli molto vicino». E forse vuol dire che ogni momento può essere quello buono perché qualcuno gli spari. Nelle strade non si vedono le divise, eppure dicono che ci siano cinquecento poliziotti, trecento dei quali arrivati nell'ultimo mese. E nell'ultimo mese son successe anche molte altre cose, qui a Valona. Sono scomparse le tre linee di difesa, quella schierata sul ponte di Mifol e le altre due, sulle colline, appena a ridosso della città. E non si vedono più le mitragliatrici pesanti sul tetto dell'ultima casa, in fondo al vialone, quella in mattoni, di quattro piani, dalla quale, proprio un mese fa, gettarono una bomba a mano contro l'auto del cronista. Ora sulle colline c'è l'esercito, una divisione d'artiglieria, che punta le bocche verso il mare, ma i cannoni non hanno il percussore. L'arrivo degli italiani dovrebbe garantire la ripresa della vita civile. Anche se il generale Guglielmo Giglio, comandante della Brigata meccanizzata Friuli, quello che diventerà un po' il «viceré» del Sud dell'Albania, sottolinea come oggi «non sarebbe stato il giorno giusto, secondo me». Non hanno ancora messo radici solide, i suoi che sono a Fier, a 34 chilometri, e dove ieri si è concentrato il grosso del corpo di spedizione italiano, sceso con due colonne di blindati per il trasporto dei soldati, e autoblindo, quelle con il cannone e le ruote grandi, che su queste strade dissestate corrono più della coupé Corvette che tenta di superare i militari: targata Ginevra, l'orse e frutto di un raid in lungorodano Turrettini. Ci sarà da lavorare sodo, a Valona, per dare una sistemazione decente ai soldati, e il colonnello Silvano Olivieri, 50 anni, ha già avuto più di un incontro con il prefetto e i rappresentanti del Consiglio comunale. Le caserme o le accademie mostrano un aspetto comatoso: non c'è un vetro, non c'è l'acqua, non c'è la luce. La rivolta, dicono, ma forse erano già così anche prima. Al comando di divisione, a Fior, i nostri lottano ogni giorno nel tentativo di ottenere un allacciamento all'acquedotto, ma per il momento devono accontentarsi del¬ le autobotti che arrivano una sola volta al giorno ed è inutile protestare. «I lavandini, quelli siamo riusciti a metterli, le docce purtroppo non ancora», sospira il col. Olivieri. Il posto di guardia, al comando, è albanese: la sentinella siede su un gradino, il mitra tra le gambe, alcuni compagni passeggiano tra le piante, la garitta e tale e quale rimasta dopo la razzia, senza vetri, senza la porta, con il pattume che copre il pavimento. Accanto, gli italiani hanno montato due tende, di quelle ad arcate gonfiabili, grandi 12 metri per 5: sembrano due mondi distanti secoli. Vincenzo Tessandori Un bambino punta una pistola giocattolo contro i carri armati italiani in una via di Durazzo (FOTO ANSA]

Luoghi citati: Albania, Bologna, Durazzo, Friuli, Ginevra, Tirana