La rabbia del pool: polemiche assurde

La rabbia del pool: polemiche assurde Paciotti (Anm) : meglio una cattiva legge votata dal Parlamento che una ottima imposta dai magistrati La rabbia del pool: polemiche assurde E Borrelli allontana i giornalisti con i carabinieri MILANO. Dottoressa Paciotti, ma come giudica questa ennesima polemica? E' legittimo che un magistrato polemizzi cosi duramente con un leader politico, un deputato eletto dal popolo? Tocca a lei, Elena Paciotti, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, intervenire sull'ultimo aspro duello tra il capo dei pm milanesi, Francesco Saverio Borrelli, e Silvio Berlusconi. E non è un compito facile. «L'ho detto nel '96 - sospira il presidente -, l'ho ribadito l'altro ieri dal palco e lo ripeto adesso: da cittadina di uno Stato democratico debbo preferire una cattiva legge varata da un libero Parlamento che un'ottima legge imposta dai magistrati». La presa di posizione è netta: la polemica andava evitata e rischia di far passare in secondo piano, complici i media a caccia da sensazioni, i risultati dell'assemblea. Stavolta, insomma, la parola d'ordine è spegner la polemica sul nascere. Borrelli, pensano anche i magistrati a lui più vicini, si è spinto su un terreno minato, insidioso. Basti il parere di Edmondo Bniti Liberati, sostituto procuratore generale a Milano, già segretario nazionale dell'Anni: «Penso che così come i politici debbano esser giudicati per le leggi che fanno, cosi i magistrati, al di là delle battute, vadano giudicati per l'attività che svolgono nel loro ufficio». Come dire: il carisma e l'autorevolezza di Borrelli non sono in discussione, ma questa polemica a margine dell'assemblea romana dei magistrati è una sorta di autogol, che, tra l'altro, ha messo sui giornali in secondo piano i contenuti dell'incontro, così come commenta, con una punta di dispiacere, la stessa Paciotti. «Mi dispiace - dice - che ancora una volta sui giornali uno scambio di battute polemiche prevalga sul dibattito nel merito dei problemi...». «Purtroppo - aggiunge ancora - il sistema dell'informazione privilegia le battute e non consente così di far comprendere all'opinione pubblica la reale natura delle questioni trattate». «Ma a Roma - sottolinea Bruti Liberati - c'erano circa mille magistrati su 8400 in servizio. Credo che nessuna categoria abbia mai radunato una percentuale così rappresentativa. E non erano, con tutta evidenza, solo pm». Guai, quindi, a trascurare le posizioni emerse nell'assemblea o far credere che rappresentino solo un pensiero di minoranza. Oppure, peggio, limitarsi a dar notizia solo di un intervento polemico, a margine dei lavori, di un solo, pur importantissimo magistrato. Ma il pool? Come reagisce alle obiezioni degli amici e alle accuse dei nemici? Ieri mattina il china, alla procura milanese, non era dei più distesi. Il procuratore capo Borrelli si è recato in mattinata in ufficio ma, quando ha saputo che nel palazzo si aggiravano due giornalisti, si è limitato a farli allontanare dai carabinieri accampando «motivi di sicurezza. Il sostituto Pier Camillo Davigo, intercettato in tribunale, si è limitato a scuotere il capo davan¬ ti ai titoli dei quotidiani. Una lettura esagerata dei fatti? Esasperazioni per commenti normali, già noti? «Lo scriva lei - replica secco il pm - io non intendo parlare...». Tanta secchezza (e tanto nervosismo) lasciano intendere un certo disagio: sembrava che la stagione del muro contro muro avesse lasciato spazio ad uno spirito di collaborazione, adesso sembra di rivivere situazioni del passato. «Io credo - incalza a questo punto Bruti Liberati - che il Paese e i politici debbano una qualche riconoscenza alla gestione dell'ufficio della procura milanese...». E su questo punto la compattezza tra i magistrati non è di sicuro in discussione. Ma lo stesso Bruti Liberati aggiunge: «I magistrati che intervengono sono privati cittadini il cui titolo per parlare è la competenza tecnica. E basta. E debbono quindi portare, anche nel momento in cui li criticano, il massimo rispetto ai parlamentari che hanno legittimazione popolare». «Questa vicenda - conclude Elena Paciotti - è una conferma, tra l'altro, alle nostre preoccupazioni sulla proposta di modifiche alla commissione disciplinare del Csm. Se c'è im tale eccesso di reattività in ordine al comportamento anche solo verbale di un magistrato, figuriamoci quali rischi può comportare, in futuro, riservare l'azione disciplinare al ministro e il giudizio a un organo non totalmente indipendente». [u. b.l

Luoghi citati: Milano, Roma