«Ecco la nave che causò la strage»
«Ecco la nave che causo la strage» E' sotto sequestro a Reggio Calabria: ma del naufragio non sono state trovate tracce «Ecco la nave che causo la strage» Avrebbe fatto affondare un cargo con 200 clandestini REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE In qualche punto del Canale di Sicilia, in fondo al mare, c'è forse una bara di ferro, dove un pugno di disperati della Terra ha visto concludersi, nel dramma, l'illusione di una vita migliore. E il dubitativo sembra esser d'obbligo in una storia che è ancora lontana dalla verità e dove il solo dato certo è il frutto del lavoro degli investigatori della questura e della Guardia di Finanza di Reggio Calabria che hanno identificato nella nave bloccata il 28 febbraio scorso, al largo delle coste calabresi, priva di denominazione e numeri d'identificazione, la «Yiohan»: una «carretta», iscritta in qualche registro navale dell'Honduras e che, secondo le polizie di Grecia e Malta, sarebbe quella che la notte di Natale dello scorso anno ne speronò un'altra, la «Friendship», carica di centinaia di pakistani e indiani che avevano un solo sogno, e l'avevano anche a portata di mano: entrare, sia pure da clandestini, in un Paese certo più ricco del loro. La «Friendship» - un nome che suona ora come una tragica beffa - non sarebbe arrivata da nessuna parte perché un'altra nave la speronò, lacerandone la fiancata. La «Friendship» imbarcò acqua troppo rapidamente perché tutti i passeggeri si potessero salvare. Quei pochi che riuscirono a salire a bordo delle scialuppe di salvataggio o ad aggrapparvisi, furono raccolti da alcune navi che avevano sentito il «may day» e furono poi sbarcati a Malta e in Grecia. Di questo dramma, però, non v'è ancora una traccia certa, né il mare ha mai restituito un cadavere. Di quanto accaduto nel Canale di Sicilia hanno parlato i superstiti della «Friendship», dicendo che a ferire la fiancata della loro era stata una nave che forse si chiama «Johan» o qualcosa di simile. Uno di loro, Ahmad Shahab, aveva raccontato di aver visto il fratello morire nel naufragio: «La gente urlava disperatamente in cerca di aiuto e io ho visto mio fratello cadere in acqua. Ho gridato "Non sa nuotare", ma quelli che si trovavano nella nave più grande si sono limitati a guardare. Poi la nostra imbarcazione è colata a picco». E un altro superstite, Raja Moses, aveva detto che nel naufragio era morto il nipote Reni, che aveva pagato 13 milioni di lire a un'«agenzia» dello Sri Lanka per raggiungere la Sicilia. Sulla base di queste e altre testimonianze gli investigatori greci e maltesi hanno costruito un dossier, poi spedito alla polizia dei Paesi del Mediterraneo. In febbraio l'altro capitolo di questa vicenda, quando, a poche miglia dalle coste calabresi, fu intercettata una nave con a bordo 150 cingalesi. Dell'equipag¬ gio - probabilmente greco o libanese - nessuna traccia. Il sospetto è che si sia allontanato dalla nave a bordo di un «tender» per raggiungere forse un altro natante, se non addirittura una base che l'organizzazione avrebbe lungo le coste calabresi. La nave non aveva né nomi né numeri identificativi, fatti sparire con pennellate sulle fiancate. Ma sul lato sinistro, quasi vicino alla prua, la vernice non aveva potuto cancellare i segni di un colpo che, visto l'avvallamento nella fiancata, non poteva che essere stato provocato da un violento urto contro qualcosa. Quel «qualcosa», dicono gli investigatori di Reggio Calabria, era un'altra nave, la «Friendship». E a confermare che la nave tuttora sotto sequestro nel porto di Reggio Calabria sia veramente la «Yiohan», anche le frasi, scritte sulle pareti delle stanzette ricavate nelle stive, dove i clandestini, per giorni, hanno coltivato le loro speranze affidando ad esse le illusioni o la nostalgia per chi avevano lasciato a casa. Diego Minuti La «Yiohan», la nave dell'Honduras che avrebbe causato la strage di Natale
Persone citate: Ahmad Shahab, Diego Minuti, Raja Moses, Reni
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