«Contenti ma preoccupati» di Francesco La Licata

Paciotti: hanno compreso la nostra linea «Contenti ma preoccupati» Paciotti: hanno compreso la nostra linea «TOGHE» A CONFRONTO GROMA LI ultimi eventi - in primo luogo il ripensamento del pds affidato all'intervento del più autorevole dei rappresentanti del partito di maggioranza - hanno contribuito molto a cambiare il destino di questo happening di magistrati, mobilitati per respingere la temuta «normalizzazione per mano della Bicamerale». Il convegno dell'Associazione nazionale magistrati - seppure annunciato e pensato «in tempi non sospetti», come ripete a tutti Elena Paciotti - nell'immaginario collettivo della politica era diventato persino una «manifestazione di piazza». Forse per merito degli «eventi» non è stato così. E soprattutto: i magistrati, presenti tutti i big attorniati dalle rispettive scorte, da Caselli a Italo Ghitti a Marcello Maddalena, da Vigna a Piercamillo Davigo, hanno rifiutato i panni di contestatori di piazza - così almeno suggerisce l'umore della platea - ma si sono guardati bene dall'indossare quelli dei vincitori, dei trionfatori nei confronti della «politica sotto schiaffo». Non c'è stato nessuno, neppure a pagarlo, che abbia commesso l'errore di abbandonarsi a dichiarazioni di giubilo. Savoir faire? Prudenza? Probabilmente entrambe le cose. Tanto, i giudici lo sanno benissimo, o almeno non ne fanno mistero. La partita non è chiusa, la strada è «ancora lunga e irta di pericoli, di trappole». Lo sa un uomo di esperienza come Nino Abbate, ex presidente dell'Anni: «Certo, fa piacere constatare che si può anche cercare di superare le barriere di pregiudizio per scegliere la via della discussione e del ragionamento. Anche se...». Anche se? «Non credo che sia tutto finito. Voglio vedere che succede adesso». Diffidente? «Nessun pregiudizio, ma credo che la partita si possa riaprire sulla questione della sezione disciplinare del Csm, o anche sul problema della separazione delle carriere. La proposta di Folena non è che mi convinca molto. Ritengo che non sia il caso di abbassare la guardia perché i guai della giustizia sono ancora tutti sul tappeto». Eppure il clima che agita il «Residence di Ripetta», sede del convegno, è - come dire - effervescente. Un risultato è stato ottenuto e la proposta Boato è tramontata. Tanto che un magistrato cauto come Edmondo Bruti Liberati, leader di Md, può concedersi una battuta sull'odiata bozza: «Alcune cose erano persino ridicole, un insulto per i magistrati. Per esempio, specificare per iscritto che il magistrato deve ispirarsi ai criteri di correttezza e di riservatezza. Capisco la riservatezza, coi limiti imposti dalla complessità del termine, ma la correttezza... Sarebbe come scrivere nella Costituzione che i deputati devono essere onesti». Poi, riferendosi ancora a Boato, ha criticato il fatto che non fosse intervenuto ed avesse parlato coi giornalisti. «Questo atteggiamento - dice, col sorriso, Liberati - nel Parlamento inglese forse non sarebbe stato accettabile». Ci pensa Elena Paciotti, presidente dell'Anm, con la sua solita calma serafica ma determinata, a smorzare ancora gli angoli. Evita accuratamente di definire «ripensamento», quello del pds, per gioire del fatto che «la nostra posizione sia stata compresa». «Sono molto lieta, davvero molto lieta». Più guardingo il procuratore aggiunto di Torino, Marcello Maddalena: «Staremo a vedere. Penso sia bene aspettare e vedere quel che succede». L'apertura di D'Alema? «Sicuramente è una notizia non negativa». Fine della guerra coi politici? E' ancora Bruti Liberati a rispondere: «Nessuna guerra, quindi ncssu- na tregua. Noi non l'abbiamo mai dichiarata. C'è qualcuno che ce l'ha fatta dichiarare ed oggi ci fa fare la pace». Qualcuno chi? «Questo lo dovete dire voi giornalisti». Mario Cicala, che ò stato presidente dell'Anni, ò moderatamente soddisfatto, ma avverte che non bisogna distrarsi. E spiega, perché i cronisti capiscano bene, le ragioni dell'opposizione alla separazione delle carriere e della difesa dell'obbligatorietà dell'azione penale. Se cadesse quest'ultimo principio? «Con I il nuovo sistema - dice - nul¬ la vieterebbe ad un procuratore della Repubblica di affermare che non sussiste l'interesse pubblico a perseguire il correo di un omicida che accusi il complice. Chiaro?». E la separazione delle carriere? «Se il pm fosse stato dipendente dalla politica, si sarebbero mai aperti i processi contro la corruzione?». E non mancano le autocritiche, come vuole, d'obbligo, il «clima di fattiva collaborazione». Umberto Marconi, ex consigliere del Csm, esalta «l'ampiezza di vedute di Massimo D'Alema», pur lasciando intendere che all'interno della magistratura qualcosa non è andato per il verso giusto. E allude al pool di Milano e a Di Pietro. «La magistratura - suggerisce - non può rubare il mestiere alla politica. Qualcuno ha coltivato l'illusione che bastasse il consenso popolare, non considerando che - proprio il consenso - per il magistrato può trasformarsi in un boomerang». Allude all'avviso di garanzia a Berlusconi? «Forse in quella circostanza non c'era dolo. Era solo un gesto "colposo"». Ma - secondo Marconi - «fa ancora male e può bastare per rendere comprensibili i timori di un D'Alema o del mondo politico più in generale». Francesco La Licata A sinistra il procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli Nella foto sotto Marco Boato

Luoghi citati: Milano, Torino