Torna a sbocciare il garofano di Filippo Ceccarelli
Ma più che una «resurrezione» pare un risveglio della nostalgia Ma più che una «resurrezione» pare un risveglio della nostalgia Torna a sbocciare il garofano ADESSO non per inchiodarli al passato, che oltretutto non c'è niente di male, ma una ventina di anni fa il giovane Villetti (che ieri ha affondato la manovrina) era il capo del giovanissimo Boselli (che aveva preannunciato l'affondamento a Prodi), nella spensierata Federazione giovanile socialista, che aveva sede all'ultimo piano di via del Corso, circondata da uno stupendo balcone con vista su Trinità dei Monti. Sul terrazzo di sotto Craxi aveva piantato un ombrellone (Martelli, anni dopo, un ombrello medio). Per quanto senza ombrelli di alcun tipo, Villetti (che era stato fanfaniano) e Boselli (di derivazione anarchica, pensa tu) erano rigidamente lombardiani, per quanto sostanzialmente signoriliani, e quindi con una spiccatissima vocazione allo sconquasso, seppure temperata da successivi, inesorabili accomodamenti. Ugo Intini, invece, già craxianissimo, faceva il giornalista all'Avariti! di Milano. Anche Ugo Intini lui, ieri, ha esaltato l'affondamento della manovrina, annunciando in una congiunta e trionfale dichiarazione che «il movimento socialista rinasce nell'autonomia». Il che è senz'altro vero, almeno dal punto di vista del movimento, ma lascia un po' il tempo che trova, essendo semmai la vera questione il destino di questa benedetta manovra. Su cui il governo non solo porrà il voto di fiducia, ma lo farà con il preventivo assenso di Villetti, Boselli e forse di tutto il rinato movimento socialista di Intini, del quale, oltre alla personale onestà e cortesia, resta agli atti un'impegnativa constatazione di un paio d'anni fa: «I socialisti sono come gli ebrei, vittime di una diaspora. Qualcuno, per sopravvivere, s'è fatto musulmano, qualcu¬ no cristiano, altri sono entrati nella clandestinità». Ora, con una premessa del genere, il fatto che per una volta il governo sia rimasto vittima di una impuntatu ra socialista appare un sicuro progresso, e ancora di più se si considera che fino a ieri i socialisti di Boselli (Si) erano fieri nemici dei socialisti di Intini (Non mollare, poi Movimento liberal-socialista, poi partito socialista) e che tutti e due risultano nemici sia del gruppo «tunisino» («Giovine Italia» di Josi, più cerchia intima d'Hammamet) che dei «laburisti» di Spini (nell'Ulivo a tutti gli effetti). E però, detto con molta franchezza e senza nessun razzismo partitico, questa storia di micro bizze parlamentari post-socialiste, questo voto decisivo nelle mani di Villetti, e che subito Boselli e Intini si giocano come il segno sfolgorante di una risurrezione «di cui l'Italia ha bisogno», insomma, questo bisogno di socialisti che si fanno eleggere nella legione straniera di Dini (e poi ci litigano), o che ancora non si rassegnano ai propri errori, è veramente tutto da dimostrare. Se proprio di ritorno si tratta, sembra un ritorno un po' ambiguo, furbetto, o casuale. Suona piuttosto come uno scherzo della memoria, della nostalgia o dell'eterna, obbligata ripetizione che propina la politica italiana. Anche i socialisti stavolta, viene da pensare con qualche (lieve) smarrimento per la parodia di questi improvvisati Ghini di Tacco, e il quadretto è completo. Così completo da azzerare il tempo che invece è passato, anzi che è perduto, e non ritornerà più, a meno di non entusiasmarsi per qualche 2 o 3 per cento. Filippo Ceccarelli Ugo Intini
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