La mela avvelenata di Bibi di Fiamma Nirenstein

La mela avvelenata di Bibi Una conclusione: con i partiti ultra è impossibile far politica Una conclusione: con i partiti ultra è impossibile far politica La mela avvelenata di Bibi ATEL AVIV NCORA la fine non è chiara, ma nonostante Bibi Netanyahu mostri, nel suo stile, un volto da duro, da eroe western, la botta ricevuta è grande e stupefacente la nemesi. Il sospetto che in queste ore incombe sul suo capo (cioè di aver fatto mercato della carica di Avvocato dello Stato) e che può portare alle dimissioni sue e del governo, e a elezioni anticipate, sconvolge alle fondamenta alcuni credo basilari della mitologia israeliana: per esempio, che la giustizia, costruita rigorosamente su un modello anglosassone, sia una sfera intoccabile e quasi direttamente in contatto con la sacralità stessa, con l'eticità di cui Israele si pavesa. Per esempio, tante volte, quando i palestinesi hanno incontrato soltanto rifiuti da parte del mondo politico, hanno invece ricevuto soddisfazione dalla Corte Suprema. Che Netanyahu, se l'ha fatto, abbia messo in gioco la carica più alta della piramide giuridica, ha un che di blasfemo, di antisionista, che lede, come tutta la sua ascesa e la sua gente, il credo aristocrati- co ashkenazita, i suoi intoccabili tabù. La sconfitta di Netanyahu su questo terreno corrisponderebbe al diniego di una laurea, a una bocciatura totale a lui e alla sua classe dirigente, un vero sprofondare nel biasimo della storia patria. L'altro dato che ha qualcosa di epocale è rappresentato dalla catena che ha trascinato in basso il primo ministro israeliano. Sembra infatti che sia stato l'avvocato di Arieh Deri (a sua volta sotto processo), il leader dello Shas, il partito religioso sefardita, a spiattellare tutta la vicenda prima ai media e poi alla polizia semplicemente perché Deri aveva proposto a Netanyahu un Avvocato dello Stato che non era lui. Netanyahu aveva accettato e aveva voluto in cambio i voti di Shas per liberare Hebron. Deri, dunque, voleva fare un astuto patto con Netanyahu offrendogli (sempre secondo l'accusa) i voti dì un partito per cui Hebron era sacra in cambio di giustizia comprata. Invece gli ha soltanto porto la mela avvelenata: nerovestito, col suo alto cappello duro da religioso, è persino un po' penoso immaginarlo mentre crede di far politica con il bel leader israeliano adorato dalla Cnn. I due invece hanno solo combinato un arcaico pasticcio. I voti poco convinti, anzi, comprati dei religiosi per sgombe¬ rare Hebron hanno di fatto trascinato Bibi nel baratro. Con i partiti religiosi è ancora difficile, quasi impossibile, fare una politica che non sia la loro. Netanyahu aveva a disposizione la sua vitalità, il suo trasformismo; ma la destra israeliana è controversa e pasticciona, e non riesce in realtà a mettere la testa fuori dalla dominazione degli ashkenaziti, che per quanto ideologici, sanno perseguire diritti la loro strada. Adesso, il governo di coalizione sparisce dall'orizzonte; anche Perez non vuol più saperne nulla di un alleato che dovrebbe piuttosto scansarsi e lasciargli libero il posto. Netanyahu dunque da qui a lunedì, quando la Procura Generale deciderà se incriminarlo, certo disegna diversi scenari. Dice di non volersene andare; ma anche se lui non volesse dimettersi la Corte Suprema in caso di verdetto negativo potrebbe costringerlo. Quindi è chiaro che Bibi in questo caso, in queste ore, pensa alle elezioni anticipate che possano restituirgli il consenso. Bisogna infatti capire che la sua gente sente nella brutta avventura del capo anche una ingiusta pressione internazionale contro un primo ministro democraticamente eletto; e pensa che dopo tutto il «deal» era stato fatto per sgomberare Hebron, ovvero per quella pace in nome della quale la sini¬ stra in queste ore lo insulta e lo sbeffeggia. E soprattutto la base del Likud dà la colpa all'odio collettivo e totale dei media, compresa la tv di Stato che ha denunciato lo scandalo. Dunque il popolo di Netanyahu può di nuovo esaltarlo e sceglierlo; e il suo diretto antagonista in questa fase sarebbe Perez, l'uomo che contro di lui ha già perso una volta. E Bibi, per piacere ai suoi, già in queste ore si fa vittima e proclama una linea sempre più dura. Chissà cosa direbbe in caso di elezioni anticipate. Israele dunque è di fronte a una corrida cruenta, dimentico ormai del processo di pace; è di nuovo concentrato sul suo fondamentale conflitto interno fra una destra e una sinistra ormai sempre più accanite nella loro lotta non soltanto per il potere, ma anche per affermare due diversissimi modi di pensare e di governare. Non è detto che nel tempo breve questa situazione porti a un miglioramento dei rapporti con il suo partner-antagonista palestinese. Fiamma Nirenstein

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