La tv italiana fa bancarotta alla City di Massimo Gramellini
La tv italiana fa bancarotta alla City * Dalla «finta bionda» Venier ai «noiosi talk-show», il Financial Times stronca tutta la programmazione La tv italiana fa bancarotta alla City WHO is Mara Venier?». Ieri mattina alla City di Londra non si parlava d'altro. E non perché dopo il suo contratto con Berlusconi la signora abbia finalmente deciso di quotarsi in Borsa. A suscitare la curiosità dei feroci finanzieri in bombetta era l'articolo a sette colonne che il «Financial Times», scusate, «l'autorevole Financial Times» ha dedicato alla televisione italiana e alla sua matrona, trattandole entrambe come noi di solito trattiamo gli albanesi: un passaggio intermedio nel percorso evolutivo dell'umanità. Senza neanche un po' di rispetto per i recenti meriti acquisiti al cospetto della nazione quizzarola, Mara Venier viene descritta come «una presentatrice rumorosa e di un biondo sospetto» (suspiciously blonde), «parte di una nuova brigata di finte bionde della tv», di cui ci vengono risparmiati i nomi. Eloquente invece il giudizio sulle capacità di conduzione di sora Mara: «Il suo è uno stile da pescivendola» (fisherwoman style). Un'opinione fieramente contestata nei corridoi della Rai, dove l'amata soubrette viene chiamata «Mucca Pazza» (Crazy Cow). La prosa caustica di Paul Betts, ex corrispondente del «Financial» da Roma, sottopone il palinsesto delle nostre giornate a un sereno e scientifico sterminio. Da Lassie a Santoro, nessuno viene risparmiato. Le uniche citazioni benevole se le aggiudicano il Gattopardo e la nipote di Mussolini: i nostri modelli da esportazione, sarti a parte. Per il resto, un massacro. Un attacco violento al «consumismo dilagante» della tv italiana da parte di un giornale che è il simbolo del consumismo mondiale. Contraddizione solo apparente: il «Financial Times» è l'organo della destra internazionale e raffinata che detesta la volgarità dei conservatori italiani e del loro manifesto culturale: il modello televisivo brevettato negli Anni Ottanta da Berlusconi. «Un minestrone di volgarità e cattivo gusto». Morale a uso degli inglesi che si lamentano di avere solo quattro canali tv: guardate che cosa è capitato a quegli albanesi degli italiani, irretiti a tutte le ore da «chiacchiere stupide, tribune politiche e televendite di lenzuola». La proliferazione delle reti si paga con l'abbassamento della qualità. Il «Financial» parte subito con un colpo basso, sparando fin dalla prima riga sulla Croce Rossa e cioè su Branco, l'innocuo mago barbuto degli oroscopi di Raiuno che assomiglia al bolscevico Bakunin e, spostandosi più a sinistra, all'ulivista Beppe Giulietti. Si accanisce poi sul sorriso pieno di vuoto di Melba Ruffo (nessuna pietà neanche per gli immigrati) e ne trae spunto per alcune simpatiche osservazioni sulla tv italiana, «una combinazione di giochini senza fine e talk show rumorosi e terribilmente noiosi che si chiamano Pinocchio, Moby Dick, Porta a Porta e Maastricht-Italia, un programma nato più per confondere che per informare». L'allusione al salotto economico di Alan Friedman (ancora uno straniero, dopo Lassie e Melba) ha l'aria di una questione interna al giornalismo anglosassone. Il resto invece è tutto per noi, per i nostri «strani documentari» (Piero Angela e i suoi viaggi nel cosmo alla scoperta del figlio?), le interviste ai calciatori negli spogliatoi, l'assenza di musica e teatro, la passione per i quiz truccati e più in generale «for the imbroglio». Prima che Storace si precipiti a dichiarare guerra alla perfida Albione, è meglio ricordare che «imbroglio» in inglese non significa imbroglio ma «inciucio». E allora bisogna chinare la testa, purtroppo. Fra tanta spazzatura, ci vengono almeno risparmiate le soap-operas che infestano la tv d'Oltremanica. Per forza, infierisce il giornale, dato che «tutta la tv italiana è una soap opera». E qui non siamo più d'accordo. Si tratta di una visione parziale: perché solo «la tv italiana»? Quasi che la nostra politica e la nostra finanza non fossero una «soap» anche loro. Massimo Gramellini Sopra Melba Ruffo. A destra l'articolo del «Financial Times»
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