Dialisi, una truffa d'oro di Fulvio Milone
Dialisi, una truffa d'oro Favorivano le cliniche private. Rischi di contagio fra i pazienti Dialisi, una truffa d'oro Napoli, indagati primari e infermieri NAPOLI. Centri clinici allestiti in scantinati, macchine che funzionano a ritmo ridotto, pazienti affetti da epatite tenuti a contatto di gomito con quelli sani durante i trattamenti. Ma soprattutto c'è un sospetto sconvolgente: a Napoli i trapianti di reni si conterebbero sulle dita di una mano (e le sofferenze degli ammalati sarebbero prolungate) perché un gruppo di medici ha interesse a incrementare il business della dialisi. L'inchiesta della procura della Repubblica è solo alle prime battute, ma promette sviluppi inquietanti. Per ora si sa che sul registro degli indagati sono stati annotati i nomi di cinquanta fra primari, aiuti, tecnici e semplici infermieri e responsabili di centri privati coinvolti in un losco affare a nove zeri. I reati ipotizzati dal magistrato sono numerosi e gravi: truffa, abuso d'ufficio, corruzione, concussione. Ma nel fascicolo in possesso del pm vi sarebbero anche le denunce di otto familiari di pazienti morti prima del trapianto di reni: secondo i parenti, gli interventi chirurgici sarebbero stati rinviati per non sottrarre clienti ai centri privati che prosperano in tutta la provincia. Tutto questo perché i medici indagati, come sospettano gli inquirenti, hanno consistenti partecipazioni nelle società che gestiscono quelle strutture. L'inchiesta si articola su due filoni. Il primo riguarda cinque ospedali napoletani dotati di attrezzature per la dialisi. Si tratta del Cotugno, del Cardarelli, dei Vecchio Pellegrini e dei due Policlinici universitari. Il secondo mette a nudo l'attività che per anni è stata svolta in 24 centri privati per nefropatici. Durante una serie di ispezioni nelle cinque strutture pubbliche, i carabinieri hanno riscontrato una serie di violazioni delle norme igienico-sanitarie. In alcuni casi, inoltre, sarebbe stata rilevata la mancanza del rene artificiale. Non basta: in un deposito del centro dialisi di uno dei due Policlinici è stato trovato del materiale radioattivo in cattivo stato di conservazione. I centri pubblici, sostiene l'accusa, avrebbero funzionato a scartamento ridotto per non pregiudicare gli affari dei privati, che per ogni seduta ottengono un rimborso di 250 mila lire da parte della Regione Campania. Nemmeno qui, però, i dializzati avrebbero avuto vita facile. Nelle denunce presentate dagli ammalati e dai loro familiari emerge un quadro deso¬ lante nelle ventiquattro strutture gestite dalle società finite nel mirino del magistrato: si parla di attrezzature custodite in scantinati, di pazienti costretti a sottoporsi alle sedute senza alcun rispetto per la privacy e per le norme igieniche più elementari. Un nefropatico affetto da epatite B sarebbe stato dializzato accanto ad altri pazienti con gravi rischi per quanto riguarda il possibile contagio. L'ultimo capitolo, quello più complesso, è intitolato ai trapianti di reni. Anzi, all'assenza dei trapianti. I magistrati vogliono capire perché a Napoli, nel '96, sono stati eseguiti solo 8 interventi. Pochi, pochissimi se si considera che in Lombardia e in Veneto, nello stesso periodo, i pazienti operati sono stati rispettivamente 273 e 183. A chi imputare un numero così basso di trapianti a Napoli? Secondo i responsabili dell'Aned, l'associazione nazionale degli emodializzati, la Campania è agli ultimi posti nella graduatoria perché gli ospedali versano in pessime condizioni e i centri di rianimazione non sono sempre in grado di mantenere gli organi in buone condizioni. Il magistrato, però, non esclude altre responsabilità. Fulvio Milone
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