Riformare le pensioni per l'Europa di Stefano Lepri

«Riformare le pensioni per l'Europa L'Ocse al governo: dovete riequilibrare lo Stato sociale se volete rispettare Maastricht «Riformare le pensioni per l'Europa Allarme da Parigi: l'Italia fa progressi ma ci sono state troppe una tantum ROMA. Senza riforma delle pensioni niente Maastricht: è un coro, in questi giorni, che viene da tutte le istituzioni internazionali. L'Ocse di Parigi si è aggiunta ieri, formulando i suoi consigli in modo molto preciso, al Fondo monetario di Washington. Stesso discorso viene dalle due città dove si istruiranno le pratiche per l'ammissione dell'Italia alla moneta unica: Bruxelles (Commissione europea) e Francoforte (Istituto monetario europeo). La parola d'ordine è ovunque la stessa: modifiche strutturali ai meccanismi della spesa. Il nuovo «rapporto Paese» dell'Ocse sull'Italia, reso noto ieri, come anticipato valuta che per il '97 sia «sempre più a portata di mano» (nwell within reachn) il sospirato 3% di deficit pubblico. «Un paio d'anni fa questo sarebbe stato ritenuto impossibile» nota, tradendo un sincero stupore, Robert Price, direttore dell'Ocse per i rapporti Paese. Ma per entrare nella moneta unica il 3% deve essere mantenuto negli anni successivi, e qui non ci siamo, perché «a tutt'oggi le misure una tantum hanno giocato un ruolo importante». «Per evitare che i miglioramenti registrati subiscano un arresto a partire dal '98» occorrono quindi delle misure strutturali. D'altra parte, sostiene l'Ocse, lo Stato sociale va riformato perché «protegge troppo alcuni cittadini e troppo poco alcuni altri». Non che l'Italia sia l'unico Paese ad avere difficoltà politiche in questo campo: anche altrove si procede a rilento (è casomai sulle privatizzazioni e sulla riforma del sistema bancario che il ritardo italiano è in paragone più grave, afferma Price). L'Ocse, che è una specie di ufficio studi collettivo dei 29 Paesi più industrializzati del mondo, ha il compito di consigliare soluzioni. Per le pensioni ci sono molti punti di contatto con il rapporto della commissione Onofri. La riforma Dini del '95 non è stata affatto inutile, è stata invece secondo l'Ocse «un passo avanti importante». Ma alcuni gravi fattori di squilibrio rimangono: «Il periodo dì transizione è estremamente lungo», «il trattamento di favore assicurato ai lavoratori con oltre 18 anni di contributi implica una redistribuzione arbitraria tra generazioni», mentre non sono del tutto eliminati «i privilegi dei lavoratori autonomi». Nel complesso, i risparmi di spesa non saranno sensibili fino al 2030; occorre invece che lo diventino assai prima. La riforma della riforma Dini deve dunque, secondo l'Ocse, inci dere su quei punti delicati. Più presto del 2006-2008 devono scomparire le «pensioni di anzia nità» (il diritto di mettersi a riposo prima dei 57 anni o con meno di 40 anni di contributi). Il calcolo di tipo contributivo del trattamento pensionistico deve essere applicato d'ora in poi prò rata (opro quota che dir si voglia), anche ai lavo ratori che al momento della riforma Dini avevano oltre 18 anni di anzianità. E' inaccettabile che lavoratori autonomi abbiano la pensione calcolata sul 20% del reddito quando la loro aliquota contributiva è del 15%. Anche per la sanità l'Ocse ha molto da dire. Il suggerimento principale è di introdurre un limi te di spesa farmaceutica e specialistica, un «vincolo di bilancio» per i medici di famiglia. Con que sto espediente, sperimentato in Germania e in Francia, si cerca di non togliere nulla ai malati veri riducendo invece le prescrizioni superflue. Ci vuole poi più mercato, concorrenza più libera tra ospedali pubblici e ospedali priva ti, tra industrie farmaceutiche, tra farmacie. Nel campo dell'assi stenza, allo scandalo dei falsi invalidi si contrappone la mancanza di strumenti per soccorrere «l'emarginazione di importanti gruppi di popolazione». Rivedendo le vicende italiane degli ultimi anni, l'Ocse sottolinea comunque che una parte rilevante dei sacrifici per il risanamento sono stati sopportati dai lavoratori del settore privato. La dinamica del costo del lavoro è rallentata in modo davvero significativo. Tra i maggiori Paesi dell'Ocse, l'Italia è stata seconda solo all'Inghilterra per aumento di produttività, e prima nel calo delle retribuzioni in termini reali. Ciò nonostante la disoccupazione è a livelli mai raggiunti prima. Stefano Lepri

Persone citate: Dini, Onofri, Price, Robert Price