Bosnia, nel covo segreto dei guerrieri di Allah

Bosnia, nel covo segreto dei guerrieri di Allah Bosnia, nel covo segreto dei guerrieri di Allah Un angolo di Medio Oriente sciita sulle montagne dei Balcani L'EREDITA' DELLA GUERRA BOCINJE DAL NOSTRO INVIATO Il segnale stradale è di pericolo, indica un pericolo generico, quello che si corre attraversando qualsiasi incrocio stradale. Se però lo guardi meglio noti che in basso, un po' scolorita, è l'indicazione di un rischio più specifico. Di un progetto forse: a pennarello, è scritta la parola «Jihad». «Dobbiamo svoltare di qua», dice l'uomo che fa da guida. La strada che da Maglaj conduce verso Zavidovici era tormentata da buche e tornanti, questo è poco più di un trattura. Una pista semiasfaltata che pare arrampicarsi verso il nulla. «D'ora in avanti seguimi e taci», è l'ultima raccomandazione dell'accompagnatore. Ancora un tornante, ed il «nulla» appare. Benvenuti, signori, nella prima comunità sciita d'Europa: siamo a Bocinje, trecento anime, covo dei «mujaheddin» che si sono impiantati al centro dei Balcani. Li noti subito, non appena l'auto comincia ad attraversare l'abitato. Camminano a gruppi di due o tre, barbe corte, pelli scure ed occhi di carbone, portano pantaloni o giacche mimetiche, mai la divisa completa. Si stanno muovendo tutti dal centro verso l'esterno del villaggio, dove le case in cemento si fanno più rare e cominciano a cedere il passo alle baite. Era un villaggio di serbi, questo, viverci doveva essere duro anche prima della guerra. Adesso della chiesa ortodossa rimangono solo macerie e non uno degli antichi abitanti è rimasto. Un anno e mezzo è bastato a trasformare questa grassa terra di contadini in un angolo di Medio Oriente. L'odore, anzitutto. Non c'è sentore di stallatico qui, né di cucina o erba tagliata: nulla di quel che in genere accompagna la vita di un villaggio balcanico. Piuttosto, quel miscuglio dolciastro e speziato che ricopre come cortina invisibile tutti gli insediamenti mediorientali. Il colpo d'occhio, poi: solo nel Kurdistan mi era accaduto di attraversare simili scorci. Case squarciate dai cannoni o fatte saltare con la dinamite, interi pezzi di comunità lasciati marcire mentre a pochi passi altre case rimaste in piedi accolgono una vita intuibile da qualche segno usuale (tende pesanti alle finestre, un filo di fumo, qualche straccio steso ad asciugare) e da altri molto più sorprendenti. I cumuli d'immondizie, per esempio. Qui non esiste nettezza urbana, ma le case dei mujaheddin si distinguono anche da questo. I poveri resti di una vita di povertà sono sparsi in- torno alle case come se questa fosse una sede provvisoria. Non in senso geografico: per un vero soldato d'Allah tutto è provvisorio, in attesa di raggiungere il paradiso col sacrificio in battaglia. «Guardali, stanno tornando dalla preghiera», spiega la guida. Non esiste ancora una moschea, nel povero centro di Bocinje. Hanno trasformato una vecchia aula scolastica in «mehjid», luogo di preghiera, e tre volte al giorno s'incontrano lì. Poi si ritirano nelle povere case, si rinchiudono con le loro donne, evitano contatti perfino coi bosniaci del villaggio. «Se qualcuno prova a parlargli non rispondono. Se insiste, lo guardano in faccia, e di solito quello smette». Ma le donne, dove le hanno trovate? Il lento giro nell'auto lungo il villaggio sta proseguendo, gli sguardi cominciano a farsi sospet¬ tosi. La guida si affaccia dal finestrino, finge di chiedere informa zioni ad un gruppetto di uomini torvi e scuri. Quelli osservano per un attimo poi girano le spalle e proseguono, come se nulla fosse stato. «Eccole, le loro donne...». Da ima baita per metà crollata, dove il letto di paglia si sta disfacendo, stanno uscendo due figure interamente coperte di nero. Da qui non s'intravedono nemmeno gli occhi. Arabe an¬ che loro? «No, bosniache. Qualcuna era vedova di uno "shshid", un martire di guerra, altre erano ragazze dei dintorni. Soprattutto di Orasac, Tesanj, Iconjc, Guca Gora...». Sta tracciando una mappa della guerra, la nostra guida. Un elenco dei villaggi intorno ai quali più a lungo la «Muslimanska Brigada» ha combattuto. Qui sono i luoghi intorno ai quali la guerra è stata più lunga, sorda, feroce. Una guerra di montagna, senza cronisti e televisioni, dove ai mujaheddin - tenuti in disparte dagli stessi bosniaci veniva chiesto solo di resistere, tenere le posizioni, rispondere coi loro coltelli alla campagna del terrore seminata dai cannoni serbi. «In quei villaggi c'era gente arretratissima. Si sa per certo che quando non trovavano vedove, i guerriglieri hanno comperato le ragazze». Comperato, in senso islamico: il «risarcimento» versato alle famiglie per ragazze di quindici o sedici anni era di tre, quattromila marchi. Quelle che hanno accettato, adesso vivono ricoperte di veli neri nelle case di questa «enclave» sciita, silenziose come i loro mariti, insigniti del «giglio d'argento». Eroi dell'esercito bosniaco ma da tenere nascosti, lontani dagli occhi dell'Occidente. Dinanzi alle catapecchie sciite si nota qualche auto: vecchissime •<Zastava» prive di targa, una fiammante Volkswagen con registrazione svizzera che potrebbe inalberare la scritta: «Sono stata rubata». Nessuno se ne occupa: quella sorta di anarchia che durante la guerra riguardava i veicoli qui si è perpetuata. Il libero territorio di Bocinje è luogo in cui agli arabi con giglio d'argento è permesso tutto. Non ne hanno mai approfittato, giura il proprietario dell'unico negozio del paese. Una drogheria alla cui insegna qualcuno ha sovrapposto una scritta in caratteri arabi. Sono poco più di trecento, oggi, gli abitanti del villaggio, i mujaheddin una sessantina, cento con le proprie mogli. Qualcosa però sono riusciti a imporlo, anche solo attravereo il silenzio. Solo adesso, dopo i suggerimenti del negoziante, il visitatore ci fa caso. In tutto il paese non si vede una donna. Non una ragazza che vada a fare compere, una vecchia che parli con la vicina Non ima sola figura femminile fuori dalle case. «Non c'è bisogno di essere sciiti, per adeguarsi - spiega ancora uno dei poliziotti - il fatio è che loro non apprezzano che una donna si faccia vedere in strada». Silenziosamente, il resto del paese si è adeguato. In teoria, gli agenti posseggono una lista coi nomi degli eroici ospiti. Una lunga serie di Karrade, Tallai, Modonja, Mowahdi, Hassan, Dar Khalifah. Nazionalità varie (afghana, algerina, giordana, pakistana) ma passaporti improbabili. Soprattutto, gli eroi hanno cambiato nome, come un mujaheddin è uso fare quando si avvicina la battaglia. «Arrivi recenti? No, questi sono qui da più di un anno. Qualcuno piuttosto se n'è andato: due mujaheddin hanno lasciato qui le loro mogli e pare siano finiti in Cecenia». Uno indica le case in cui abitano. Altre misteriose figure ricoperte di nero che in quest'angolo di Bosnia nascosto al mondo hanno accettato il proprio destino e adesso aspettano, come in una sospensione della storia, che i loro padroni senti tornino a casa In Europa. Giuseppe Zaccaria Sessanta mujaheddin in un villaggio di trecento anime trasformato in terra di nessuno Hanno combattuto in segreto. Le loro donne sono vedove bosniache: portano il velo come in Iran Zenica, 10 dicembre 1995: una «Brigata musulmana» sfila in una parata ufficiale dell'esercito bosniaco

Persone citate: Benvenuti, Brigada, Giuseppe Zaccaria, Gora, Khalifah

Luoghi citati: Bosnia, Cecenia, Europa, Iran, Kurdistan, Medio Oriente