Un giorno nello Tortuga del Sud

Un giorno nello Torlugg del Sud Un giorno nello Torlugg del Sud Valona, al ristorante sotto il fuoco incrociato VALONA DAL NOSTRO INVIATO La situazione è tesissima. Alle 23,15 tornano gli assalitori, saltano i vetri delle finestre per i colpi di kalashnikov. Abbiamo la sensazione di essere al centro di un gioco che mira a creare un «incidente» - con noi nel mirinoproprio nel giorno in cui sono sbarcati i primi soldati della missione a Durazzo. Poi verso mezzanotte arrivano le due autoblindo. Questa è la Valona in cui devono venire gli uomini del contingente italiano. Che sia un posto caldo lo capisci arrivando al ponte, unica via d'accesso alla città. Vladimir stava dicendo che ci siamo quasi, «quello è il ponte per entrare a Valona», diceva. Venti chilometri dalla città, sul fiume che fa un'ansa, larga come se fosse uno stagno. Vladimir diceva qualcosa, quando ci siamo trovati in mezzo al fuoco, fra i colpi incrociati dei kalashnikov, e diceva che questa è l'unica via dove potrà passare l'esercito delle forze di pace per andare a Valona. La prima mitragliata ha svegliato uno dei cronisti come in un sogno. «Mica sparano a noi?», ha chiesto. Nessuno ha risposto. Il ponte Milfor sul fiume Vijosa l'hanno occupato gli uomini di Zani, quello che stamattina Zeri Populit ha fotografato a tutta pagina mentre fa la guardia a Prodi, con il suo giubbotto antiproiettile, con il suo kalashnikov stretto nel pugno destro e un largo sorriso sopra di lui. Vladimir ha bestemmiato sottovoce, «brutta Albania in questi giorni», accostando la macchina sul ciglio, all'ombra dei platani. Stava andando tutto bene, fino a quel momento. Erano le due e un quarto del pomeriggio, si arrivava da Durazzo, dallo sbarco senza festa, senza gente sulle strade, ma anche senza guai. Valona, invece, è un'altra cosa. La Bmw di Vladimir non aveva fatto in tempo a girare, quando ci aveva sorpassato un'Opel Astra bianca che sgommava, sbandava, urlava addirittura, con il suo motore tutto squassato, spinto al massimo. Ora, Vladimir sta imprecando mentre l'Opel si pianta in mezzo alla strada di traverso, spalanca le portiere e appaiono in due a sventagliare mitragliate sopra il tettuccio verso il ponte sul fiume Vijosa, laggiù Vladimir accosta, l'Opel fa retromarcia, gira, ci sfila di fianco a 100 all'ora, in senso inverso. Sono in quattro, due stanno fuori dai finestrini a sparare con i mitra verso quelli che corrono sulla strada. Uno con la tuta larga e sudicia va sulla massicciata del treno, si corica sui binari e si mette a sparare. Un altro si nasconde dietro al dosso e fa fuoco anche lui. Noi ci tiriamo giù, dentro la macchina. «Che facciamo Vladimir?», chiediamo. Aspetta, fa lui, quelli lassù sul ponte sono gli uomini di Zani Parte una Toyota dal grappolo di I soldati, 4 uomini sopra con i mi¬ tra fuori dal finestrino, per mseguire l'Opel bianca. Adesso, le mitragliate sono finite. I due sulla massicciata della ferrovia si levano in piedi, ci puntano i mitra, ci fanno segno di muoverci verso il ponte, «via, via» urlano. All'imbocco del ponte, ci sono grandi pietre quadrate per il posto di blocco. I soldati in jeans, tute e kalashnikov guardano la targa della macchina e ci strepitano di proseguire. C'è Zani lì in mezzo. Riconosce i cronisti che l'hanno intervistato due giorni fa. «Italian Gazetari», sorride: bussa al finestrino con il mitra. «Voi siete co¬ me i lupi. Ma ci siete sempre». Ci fa scendere. Il ponte è occupato. Abbiamo contato 22 soldati vestiti di stracci da questa parte, e ce ne sono ancora altri all'uscita. Zani vuole spiegare, si allontana dal gruppo assieme a noi. «Quelli sono i servi di Sali Berisha, sono gli spioni, i nemici del popolo», dice. Più in là i suoi uomini fermano tutte le macchine. Ci sono «Luciano il cattolico», Tony di Valona, Freddy di Hammed, Barjan Skerdian, e tutti gli altri. «Noi siamo qui sul ponte per aspettare i soldati italiani. Siamo d'accordo con la polizia di Valona, per aiu¬ tarli nei posti di blocco. I servi di Berisha vogliono fare azioni di terrorismo e questo è l'unico modo per impedirglielo». Poi spiega che i militari dovranno seguire loro per entrare a Valona, prima gli uomini di Zani, davanti all'esercito e solo in coda la polizia. «Garantiremo noi la sicurezza degli italiani». Cosi, i cronisti restano due ore e mezzo su quel ponte, ad assistere alle operazioni di controllo, ancora qualche mitragliata al cielo e al fiume, gente che piange e che strilla, paura, tensione, tutto come in una sequenza strana, anti- ca e irreale insieme. E restiamo li, su quel ponte, accanto all'unico poliziotto, più irreale e antico ancora di tutta questa scena, l'agente Lirim Selim, l'unico senza un'arma, proprio come noi, con la sua divisa logora e impolverata, un gesso alla mano destra e il berretto calato sugli occhi. L'agente guarda, allarga le braccia, sorride, «non capisco» dice. Forse, non è il solo a non capire. I controlli sono duri, a volte violenti, poi improvvisamente teneri, e di nuovo duri, terribili. Uno viene preso, pestato a sangue, e ci è difficile I guardare, urlano è un assassino, urlano è un servo di Berisha, sanguina il naso, la bocca, «voi tranquilli», dice Toni, «voi niente paura». Sì, noi tranquilli, ma come facciamo a guardare immobili? «Voi fratelli. Quello è un assassino, amico degli assassini». Lui piange, è biondo, capelli lisci, piange, piegato in due, un'ultima legnata tenibile, e lo caricano dentro il bagagliaio della Mercedes. Ma che fate?, chiediamo. «Lo portiamo all'interrogatorio. Ci deve dire con chi è entrato a Valona, chi sono gli uomini di Berisha che preparano gli attentati». Voi tranquilli, ripetono, voi niente paura. Però Luan, un fratello di Zani, prende in disparte Vladimir, sottobraccio, e gli fa, «ma questi chi sono? Sono amici di Berisha?» A noi si gela il sangue, mentre Vladimir quasi urla dallo sgomento, «ma sei mica pazzo?, questi sono amici miei». Da poco lontano arriva una sventagliata. Allora ci viene male, si blocca lo stomaco, «dove l'avete portata la spia?» chiediamo. «Tu tranquillo italiano. La spia interrogata. Tu niente paura. Noi siamo qui per proteggere gli italiani». Il ponte adesso è un film pieno di dolore, di tristezza, di ferocia anche, eppure pieno di vita anche. Da una Toyota di Saranda, targa SR0486A, tirano fuori un marito e lo strattonano e la mamma si arrabbia mi fate piangere il bambino. C'è un soldato in macchina a perquisire, con il mitra che sbraccia pericolosamente attorno alle facce spaventate. Ma Zani si impietosisce improvvisamente, afferra il bimbo e lo coccola sulla spalla, accanto alla canna del kalashnikov. Sembra solo un ponte, se uno non sa che questo è un confine, imo sbarramento, una linea di demarcazione, che non è solo immaginaria, ma anche politica e territoriale, di qua c'è Valona, di là c'è Fier, di qua comincia la terra dei ribelli. Con questo ponte dovranno fare i conti i nostri soldati. Come adesso li stanno facendo quelli che ci passano per caso o per sfortuna. Dal vecchio pullman Mercedes 302, targa FR0656A, fanno scendere tutti, strattonano, spingono, perquisiscono, documenta, passaporti, urlano, e scendono anche due galline che il poliziotto insegue silenziosamente. Continuano a sparare lì attorno, e ogni volta che passa una macchina di Fier ci sono grida e occhi cattivi e qualche botta. Poi su una vecchia Alfa celestina, c'è persino il capitano Ideal Ali della polizia di Tirana. «Fuori fuori», gli gridano. Lo controllano, lo lasciano andare. L'agente lirim Selim interviene con la sua aria mite a mettere una buona parola. «Garantisco, garantisco», dice. E' ima bolgia, ormai. Noi continuiamo a chiedere di potercene andare. «Tranquilli, italiani», dice Tony. Zani si avvicina: «Vi portiamo noi a Valona. Questa sarà una brutta notte», dice, e non sta scherzando. Pierangelo Sapegno Sul passaggio obbligato i ribelli filtrano gli ingressi e «interrogano> i passanti a calci e pugni «Siamo qui per proteggere gli italiani Ma in città entrerete solo scortati da noi» CHI SONO: Esistono comitati ufficiali dei cui esponenti si conosce nome e cognome e che hanno anche preso contatti con le autorità italiane per agevolare la missione. Ma spesso si tratta di esponenti dell'opposizione che hanno provato a cavalcare la tigre dell'insurrezione senza riuscire a controllarla. Il vero pericolo viene dalle bande di uomini che prendono ordini solo da se stesse o da capi misteriosi. Per questo spesso c'è contraddizione fra gli annunci ufficiali dei Comitati dei ribelli e il comportamento dei gruppi armati. Fra i miliziani ci sono molti giovanissimi a cui sono state distribuite le armi. ARMAMENTO: I ribelli sono armati fino ai denti dopo aver sistematicamente razziato le caserme dell'esercito. Dispongono di fucili d'assalto AK-47. di mitragliatrici, di armi anticarro portatili e persino di alcuni blindati sottratti all'esercito nei primi giorni della rivolta. FINANZIAMENTI: Gli insorti hanno saccheggiato banche e uffici pubblici appropriandosi di tutti i fondi. Anche i legami con la potente mafia del contrabbando a Valona (peraltro i mai perfettamente chiariti) hanno rappresentato probabilmente un canale di finanziamento. Uno dei ribelli di Valona L'unica via di accesso alla città è nelle loro mani I RIBELLI > DEL SUD CHI SONO: Esistono comitati fficiali dei cui esponenti si conosce ome e cognome e che hanno anche preso contatti con le autorità italiane per agevolare la missione. Ma spesso i tratta di esponenti dell'opposizione he hanno provato a cavalcare la tigre dell'insurrezione senza riuscire a ontrollarla. Il vero pericolo viene dalle bande di uomini che prendono ordini olo da se stesse o da capi misteriosi. Per questo spesso c'è contraddizione fra gli annunci ufficiali dei Comitati dei ibelli e il comportamento dei gruppi armati. Fra i miliziani ci sono molti giovanissimi a cui sono state distribuite e armi. ARMAMENTO: I ribelli sono armati fino ai denti dopo aver sistematicamente razziato e caserme dell'esercito. Dispongono di ucili d'assalto AK-47. di mitragliatrici, di armi anticarro portatili e persino di alcuni blindati sottratti all'esercito nei primi giorni della rivolta. FINANZIAMENTI: Gli nsorti hanno saccheggiato banche e uffici pubblici appropriandosi di tutti fondi. Anche i legami con la potente mafia del contrabbando a Valona (peraltro mai perfettamente chiariti) hanno rappresentato probabilmente un canale di finanziamento. Sul passaggio obbligato i ribelli filtrano gli ingressi e «interrogano> i passanti a calci e pugni «Siamo qui per proteggere gli italiani Ma in città entrerete solo scortati da noi» Uno dei ribelli di Valona L'unica via di accesso alla città è nelle loro mani

Luoghi citati: Albania, Durazzo, Tirana, Valona