La fatica e il dolore di vivere nell'obiettivo di Sebastiào Salgado

FOTOGRAFIA FOTOGRAFIA PIETÀ'PER I SENZA TERRA La fatica e il dolore di vivere nell'obiettivo di Sebastiào Salgado GLI artisti contemporanei sembrano interessarsi ben poco di come va il mondo. Di fronte alla fame, alla sofferenza, al dolore di tanta parte dell'umanità, l'arte di oggi sembra ritrarsi altezzosa, concentrata nella contemplazione di sé, del proprio vuoto narcisismo. Ma esistono eccezioni, Sebastiào Salgado ad esempio. Brasiliano di Aimorés, economista di formazione, nel 1973, a 39 anni, Salgado decide di dedicarsi alla fotografia e di utilizzare la «macchina» come uno strumento d'indagine sulla realtà che gli permette di documentare la fatica di vivere, le sofferenze in molte aree povere del Sud del mondo, ma non solo, anche dagli immigrati, in Francia, negli Stati Uniti. Nel suo primo reportage del '73 aveva fotografato la siccità del Sahel, l'avanzare del deserto e l'arretrare dell'uomo di fronte alla fame. Altrettanto dure, e assai celebri, erano le immagini scattate in America Latina tra i contadini al lavoro in condizioni di semischiavitù. Ma c'è un fatto recente che ha colpito Salgado. Il 17 aprile del 1996 a Eldorado dos Carajas, nello Stato brasiliano del Para, la polizia ha sparato contro contadini che manifestavano per ottenere terra da coltivare. Sono morti 19 campesinos e tantissimi sono stati i feriti. A quei «Senza Terra» che lottano contro il latifondismo Salgado ha voluto dedicare un libro fotografico, con una introduzione da José Sarmago, e 50 immagini-poster che vengono presentate il 17 aprile contemporaneamente in 100 città del Brasile e in altrettante città del mondo, anche a Torino presso la Fondazione italiana per la fotografia in via Avogadro 4, con inaugurazione alle ore 18,30 (ad inviti). «Terra» è il titolo di questo progetto editoriale ed espositivo, nato con l'obiettivo di dare sostegno politico all'MST, il Movimento dei Senza Terra, l'organizzazione popolare presente in quasi tutto il Brasile che da 50 anni si batte per una riforma agraria e per una equa distribuzione delle risorse. Le immagini in bianco e nero di Salgado hanno una forza espressiva tagliente, quasi espressionista, perfette nella qualità d'esposizione e di stampa nulla però concedono agli estetismi astrattizzanti di certa fotografia da salotto e da galleria, scavano dentro la realtà, incidono la Terra, quella stessa terra che uomini laceri, madidi di sudore, infangati trasportano sul dorso, come muli o animali da soma. [g. e] Sebastiào Salgado. Fondazione per la fotografia, via Avogadro 4. Inaugurazione giovedì 17 ore 18,30. Orario da martedì a domenica 10-19. Fino al 4 maggio Nella foto: Paranà 1996, manifestazione dei «Senza Terra Brasiliani» (Contrasto). SE Emidio Clementi fosse nato americano, lo avrebbero battezzato Sam. Sì, perché il musicista scrittore di Bologna ha un'affinità con Sam Shepard notevolissima: bello, intelligente, ruvido, emotivo, appassionato di donne e della vita. Senza tracciarne un quadro bohemienne, Emidio Clementi, leader fin dagli esordi dei Massimo Volume, è uno di quelli segnati da una forza notturna, sotterranea, che li trasforma in punti di riferimento per una moltitudine di simili. E dire che i dischi dei Massimo Volume, e il primo libro pubblicato da Emidio («Gara di resistenza», edizioni Gamberetti) non sono dei best seller: ma tutti quelli che suonano o scrivono li hanno in cuffia o sul tavolo di lavoro. Come faccia Emidio a tracciare una strada così solida, lui che parla di sfinimenti del lavoro, di tagli di coltello nel fegato dell'esistenza, di traslochi eccessivamente mattutini (è il suo primo lavoro, quello di sgombrare magazzini e cantine, e anche la sua prima fonte di ispirazione), non è cosa da chiedere: personaggio genuino, in una frase che appare nel nuovo disco, recita: «Potrei consumare ora la cena che domani sera mi spetterebbe di diritto?». Clementi torna a Torino domenica e lunedì, per due performance distinte ma entrambi necessarie per capire la forza del suo lavoro: domenica al Piccolo Regio (ore 21, ingresso 15 mila lire) si terrà il concerto per presentare il nuovo disco «Da qui»; lunedì a Zona Castalia (via Principe Amedeo 8/a, dopo le 22,30, appena concluso il concerto di John Cale al Regio, ingresso gratuito per gli Amici di Radio Flash), racconterà il suo primo libro. A quest'ultima serata parteciperà anche quel fenomeno di scrittrice che è Isabella Santacroce (sì, quella di «Fluo» e di «Destroy», nella foto): due penne corrosive per rifare le nostre teste. [p. v.] GIUDICI TRA POESIA E VITA «Mai pretendere di autogiudicare una cosa appena scritta. Lasciarla decantare, invece, rivisitarla più tardi: il giorno dopo, mesi dopo, anni dopo (...) capiterà magari di scoprire un poema compiuto in quello che avevamo considerato un frettoloso appunto». C'è tutta l'autobiografia di uno dei massimi poeti italiani in questo brano di Giovanni Giudici. All'appuntamento della rassegna «Scrivere di sé» (Galleria d'Arte Moderna, lunedi 14, ore 17,30; gli inviti si ritirano a Informagiovani in via Assarotti 2) Giudici ripercorrerà la lunga militanza poetica, dagli Anni 50 a Roma, proseguita tra Ivrea e Torino, e stabilizzata - si fa per dire - a Milano, dove vive quando non può tornare nella sua casa delle Grazie, nel golfo di La Spezia. Lì è nato e lì, poco lontano, capaci a sopportare inverni fatti di rovesci e di vento ma anche a gioire per l'annuncio gentile della primavera, abitano altri due poeti scrittori, Attilio Bertolucci e Mario Soldati, che dell'autobiografia hanno fatto un metodo di esplorazione delle insidie della vita. Giudici con più evidenza degli altri: mettendo a punto un gioco di parole quasi a ogni passo, mescolando la storia personale, fatta di figurine di calciatori e riunioni di partito, alla Storia che ci domina, con la Politica e la Guerra, e a cui possiamo sottrarci solo con la Poesia; come scrive nel suo ultimo libro, «Empie stelle» (Garzanti): «Ma gli anni che varcammo mute / Errabonde anime sole / Per tremore di una foglia / Brezza baci di parole...». Paolo Verri IL MUSEO DELLE SCIMMIE La Regione, nell'ambito di «Collezioni Invisibili», organizza, al Museo delle Scienze Naturali, via Giolitti 36, Torino, la mostra «Primates: noi e le scimmie». L'esposizione prende spunto dalla presenza nel Museo di una collezione di Primati appartenenti alla Collezione Primatologica del Dipartimento di Biologia Animale dell'Università di Torino. Si tratta di esemplari imbalsamati e di reperti osteologici, ora assegnati al Museo, che ne ha curato il restauro e la sistemazione scientifica e lì ha messi a disposizione di quanti vogliono studiarli. Le collezioni del museo comprendono oltre 500 reperti dell'Ottocento e dei primi del Novecento che sono stati raccolti in America Latina ed in Africa da naturalisti ed esploratori. La mostra, nella quale verranno esposti per la prima volta al pubblico alcuni di questi reperti, cercherà di fornire informazioni sulla biologia, sul comportamento, sulla distribuzione geografica dei Primati. Il materiale esposto, i pannelli didattici, le immagini ed i filmati che arricchiscono la mostra puntano a far vedere le differenze fra le varie specie di Primati. L'esposizione sarà aperta al pubblico dal 12 aprile al 13 ottobre. Sarà corredata da un quaderno didattico, audiovisivi, video didattico-scientifici. Presso il Centro Torino Incontra sarà organizzato un ciclo di conferenze sui primati a cui parteciperanno relatori italiani e stranieri.