Sulla variabilità genetica di Marina Verna

Sulla variabilità genetica Sulla variabilità genetica Biodiversità: allarme ingiustificato DIBATTITO APERTO ¬ IL 26 marzo su «Tuttoscienze» sono comparsi due articoli intitolati «Le parole della clonazione» e «Frankenstein postmoderni», rispettivamente di Marina Verna e Roberto Marchesini, che mi hanno colpito per la diversità del tono e per la differente qualità del messaggio scientifico: mentre il primo riporta un glossario dei termini che oggi vengono usati, spesso a sproposito, sulla clonazione, il secondo, fin dal titolo, benché motivato dalle migliori intenzioni, rischia di diffondere informazioni inesatte e suscitare allarmi infondati. La tesi di Marchesini è che l'esempio di Dolly, l'ormai famosa pecora clonata, «non rappresenti un pericolo immediato per l'uomo, bensì decreti la fine degli animali domestici». Perché? Perché «la diversità biologica, in un mondo abituato all'uniformità organolettica, viene vissuta come un disvalore e pertanto anche la zootecnia si adegua». Mi sembra una spiegazione sbrigativa, più adatta a imo slogan che fondata su argomentazioni rigorose. La prima osservazione da fare è che la scelta riproduttiva sessuale, diversamente da quanto si dice nell'articolo, non è stata nella storia evolutiva «una scelta vincente» se per storia evolutiva s'intende quella di tutti gli organismi e non esclusivamente quella dei vertebrati. Da un punto di vista teorico è ancora molto discusso se la riproduzione sessuale sia più efficace della riproduzione agamica (quale è il meccanismo della clonazione) per generare più variabilità genetica. Infatti, se è vero che la riproduzione sessuale attraverso il meccanismo della ricombinazione è in grado di moltiplicare rapidamente il numero delle varianti nuove del patrimonio genetico di una specie, è anche vero che la mutazione, soprattutto quando agisce su un numero di individui molto grande che si riproducono in tempi brevi e quando ha un tasso superiore a quello che si riscontra nella specie umana, genera uguale se non maggiore diver¬ sità genetica. In altre parole non è scontato che l'effetto della clonazione, in generale, debba ridurre la variabilità genetica quando venga associata a sufficiente mutazione. Se poi dal generale passiamo allo specifico dell'uomo, dobbiamo essere ben coscienti che ogni intervento terapeutico può risultare un attentato alla diversità genetica della nostra specie: sinora non ci siamo posti il problema di questo rischio perché si può facilmente calcolare che il suo effetto sarà lontano nel tempo e abbiamo la fondata speranza che l'evoluzione culturale troverà il modo di neutralizzarlo. Tuttavia, tra gli argomenti di Marchesini quello che meno mi ha convinto è un altro: che la clonazione debba per forza decretare «la fine degli animali domestici» perché verrebbero creati «altri» animali, i «Frankenstein postmoderni, realizzati assemblando pezzi di diversa origine». Mi ribello a questa visione fantascientifica. 1) L'allevamento degli animali domestici, iniziato in modo sistematico con la nascita dell'agricoltura nel Neolitico 10.000 anni fa, è derivato da un'applicazione tecnologica che ha trasformato l'animale selvatico in un essere ad uso e consumo dell'uomo, contribuendo in modo determinante al progresso della nostra specie e non certo a quella degli animali selvatici. Mi sembra inconsistente e un poco ipocrita, dopo più di 10.000 anni di tecnologie sempre più raffinate tese a trarre sempre maggiori vantaggi dagli animali (nell'alimentazione, nel trasporto, nello sport) allarmarsi se oggi essi vengono usati per produrre, in quantità industriale, sostanze utili all'uomo anche dal punto di vista terapeutico. In ogni caso la generazione di ammali transgenici cui l'articolo allude, aumenta (per definizione) anziché diminuire la variabilità genetica. 2) Molto concretamente uno degli scopi pratici che Wilmut e i suoi collaboratori si sono proposti con la clonazione della pecora è quello di produrre una quantità industriale di una sostanza utile nella cura dell'enfisema polmonare. Se il metodo si rivelerà economicamente vantaggioso, nei confronti di chi dovrà essere applicato il «principio di responsabilità» citato nell'articolo? Nei confronti della pecora clonata in quanto mette in pericolo la variabilità biologica delle pecore, o nei confronti dei nostri figli? 3) Paradossalmente, la clonazione, che va intesa come una tecnologia da adottarsi con fini ben precisi e regolamentati anche sotto il profilo di una possibile sofferenza degli stessi animali, potrebbe servire, se economicamente proponibile, per ripopolare rapidamente un'area ecologica di specie in via di estmzione. La biodiversità degli animali domestici - su ciò concordo pienamente - è un patrimonio che la nostra specie ha il dovere di salvare: ma la clonazione, se e quando verrà adottata nei loro confronti, soprattutto se verrà controllata nei fini e nei modi, non ne costituisce necessariamente un attentato. Anche sulla biodiversità occorre fare chiarezza. La varietà biologica degli animali domestici dipende principalmente dalla complessità culturale delle società in cui vengono allevati. In Nigeria, per esempio, dove abitano ben 235 gruppi etnici diversi, ma dove la domanda di cultura e di mercato è scarsa, vivono 14 milioni di pecore e capre, ma due sole varietà: una per le pecore e una per le capre. Oggi esistono al mondo più di 3000 varietà di animali domestici, la cui distribuzione geografica dipende sia dall'ecologia, sia, soprattutto, dalla qualità culturale dell'insediamento umano: in questo contesto reale, mi sembra che la clonazione animale, nella misura in cui si dimostrerà utile all'uomo e l'uomo sarà in grado di controllarla, potrà costituire un attentato alla biodiversità degli animali domestici così lontano nel tempo da non dovercene preoccupare oggi. Credo invece che ciò di cui dobbiamo preoccuparci sia l'insufficienza di una comunicazione adeguata tra mondo scientifico e mondo «laico», in questo includendo anche gli organi politici, culturali e di stampa. Non che oggi in Italia non si parli di argomenti scientifici e non vi siano ottimi divulgatori, ma si ha ancora la sensazione che la scienza sia patrimonio di pochi e che essa entri con difficoltà nella cultura dei più: in altre parole, che alla scienza manchi la capacità di incidere sulla vita della nazione e di arricchirla, anche materialmente. Alberto Piazza Università di Torino

Persone citate: Alberto Piazza, Marchesini, Roberto Marchesini, Wilmut

Luoghi citati: Italia, Nigeria, Torino