NE' DESTRA NE' SINISTRA di Giovanni Bogliolo

NE' DESTRA NE' SINISTRA NE' DESTRA NE' SINISTRA Il fascismo secondo lo storico israeliano Sternhell: una tesi che continua a dividere (non solo) la Francia NE' DESTRA NE' SINISTRA Zeev Sternhell Baldini & Castoldi PP 592 L. 38.000 CCO un libro che dall'anno della sua prima pubblicazione (1983) si tira dietro una scia di polemiche, contestazioni e processi. L'autore, Zeev Sternhell, è israeliano, ma ha fatto buona parte dei suoi studi a Parigi e si è laureato alla Scuola di scienze politiche, nel 1969, con una tesi di dottorato dedicata a «Maurice Barrès e il nazionalismo francese». Fra gli storici che siedevano al tavolo della giuria nel giorno della sua laurea vi era René Rémond, forse il maggiore esponente della storiografia cattolica in Francia e autorevole studioso delle diverse famiglie conservatrici o reazionarie di cui si compone la destra francese, da Napoleone III a Pétain. Ma qualche anno dopo il brillante studente israeliano comincia a ribaltare le tesi del maestro. In due libri, pubblicati rispettivamente nel 1978 e nel 1983 La Droite Révolutionnaire 1885-1914. l£s Oricines Frangaises du Fascisme e Ni Droite, Ni Gauche. L'idéologie fasciste en France, che appare ora presso Baldini e Ca- Vichy? ina «rivoluzione nazionale», non la rem al vincitore tedesco stoldi - Sternhell sostiene che non conviene parlare di «destre», ma di una unica, grande nebulosa intellettuale, dai confini incerti, in cui confluiscono spezzoni di destra e di sinistra. Il viaggiatore che si avventura all'interno della nebulosa scopre che essa è abitata da tuia variopinta folla di filosofi, uomini politici e giornalisti, abitualmente classificati con diverse etichette: Renan, Taine, Barrès, Maurras, Berth, Sorel, Lagardelle, e più tardi Georges Valois, Henri de Man, Emmanuel Mounier, Robert Brasillach, Bertrand de Jouvenel. Alcuni sono nazionalisti, altri sindacalisti rivoluzionari. Molti di essi, tuttavia, sono nazionali, sociali, antimaterialisti, antiliberali e potenzialmente antidemocratici. Il loro pensiero nasce, dalla convinzione che le due grandi ideologie «materialiste» del diciannovesimo secolo liberalismo e socialismo - siano egualmente fallite. Alla repubblica dei cittadini, nata dalla rivoluzione francese, e alla «lotta di classe», descritta nelle opere di Marx e di Engels, contrappongono una comunità etica, nazionale, organica, popolare, composta da patrioti e «produt¬ tori». Quasi tutti credono che la creazione o restaurazione di tale comunità richieda una brusca rottura con il passato. Sono quindi radicali e «rivoluzionari». Questa ideologia, che Sternhell non esita a definire «protofascista», è il grande fiume sotterraneo della storia francese. Ha la sua fonte nella sconfitta del 1870, si fonna a cavallo del secolo, dilaga nell'intelligencija degli Anni Trenta, prorompe alla superficie dopo la sconfitta del 1940. Il regime di Vichy non è la maschera opportunistica con cui una parte della Francia accetta, in attesa di tempi migliori, il vincitore tedesco. E' la «rivoluzione nazionale» con cui il fascismo francese si propone di curare i mali e i vizi del Paese. Comprendiamo meglio, grazie alle tesi di Sternhell, perché Charles Maurras abbia definito la sconfitta, nel 1940, una «divina sorpresa». Chiunque abbia letto senza pregiudizi ideologici l'articolo che Mussolini scrisse per la voce «Fascismo» dell'Enciclopedia Treccani non sarà sorpreso dal libro di Sternhell. Ma in Francia, nel 1983, Né destra né sinistra SALVARSI LA VITA AL BAR GIANLUCA MACERAZIONI DIVERTENTI Giuseppe Annese Beso PP- 175 L 20000 MACERAZIONI DIVERTENTI Giuseppe Annese Beso PP- 175 L 20000 A tribù dei bizzarri, votata geneticamente a scompaginare questa e quella porzione di universo, potrebbe forse dimenticare le patrie lettere? E così, d'improvviso, estrae dal cassetto un fuoco d'artifìcio inedito, una polveriera di sorprese assurde, un luna park fosforico che respinge in mare, nel mar delle blatte, i tanti, troppi contemporanei clown di plastica. Perché Macerazioni divalenti (con il rimpianto di Andrea G. Pinketts: «La primavera che non ci incontrammo») è un romanzo di ieri, Anni Sessanta, e insieme fuori del tempo, ovvero un piccolo classico, una intatta scheggia di frescura. Ma chi si macera? Giuseppe Annese, natali pugliesi (1932), passo d'addio a Milano (1979), brillante copywriter in terra ambrosiana e in campo romano, direttore di un foglio satirico, Budd, collaboratore di Marcello Marchesi, amico di Ennio Flaiano, eccetera, eccetera... Una intelligenza che si è salvata obbedendo alle voci di dentro, all'aristocratico e quindi impermeabile codice interiore, mai lasciandosi travolgere dagli eventi, dalle mode, dall'abitudine di fare di necessità virtù. Ciò, almeno, st nbra, dopo aver attraversato le irrequiete pagine, spesso e volentieri stordenti, binari che, deragliando, richiamano in vita, sottraggono alle pene e all'oblio. Qui si narra «La naja» (parte prima) e «Il Giamajea» (parte seconda). Tra il '56 e il '60, tra l'altoatesina «caserma Medaglia d'oro sac. Stichizzi, volgarmente nota come "saccio sticazzi"» e l'intellettuale ritrovo di Brera dove di continuo si inscenano (si inscenavano) pranzi e cene delle beffe («Quel po' di versi buoni / che negli Ossi c'era / svanite le Occasioni I travolse la Bufera...»). Matteo, la testa d'uovo meri¬ dionale intorno a cui ruota la storia (o l'arcistoria), diventa comunista quando i comunisti, a frotte, si spretano, abbandonano Botteghe Oscure. E' un giovane che tiene in gran dispetto il mondo e II Mondo (la creatura pannunziana) sulla scia dell'istinto, più che della ragione, del logico e pacato e sonnacchioso argomentare. Disdegna la folla, il reggimento, il serrate le fila. E' la solitudine il suo liquido amniotico, «l'assoluto che consente tutto»: nutre «la feroce onestà», preserva dai naufragi («Mai scoraggiarsi ai primi successi»), detta la Grande Scoperta {Cazzi acidi per Swann se non prende in tempo il Lecce-Milano). Matteo-Giuseppe Annese, il testimone e il cittadino di una riserva aurea, «un uomo - si presenta - che ha avuto quasi sempre rapporti "paraffinici" con la realtà. Nel senso più fuggevole e Giuseppe Annese (autoritratto) sfuggente: dalla bambina che gli scivola dalle mani dopo mi breve involo, all'impossibilità di intersecarsi con fatti lievemente più complessi: amore, ideologia, vita del prossimo». Non poteva, l'irregolare Tipo, non entrare in corrispondenza con il marziano Flaiano. Cinque lettere (anch'esse inedite) dello scrittore pescarese a Giuseppe Annese accendono e incendiano l'appendice: «Il difetto oggi è questo, che tutto viene utilizzato, tutto capito»; «Talvolta penso che tu sei un vero amico, perché come me hai un certo tempo da perdere»; «non vale nemmeno la pena di uccidersi in un Paese così, pieno ormai di automobilisti e di gente che vuol mettere su un teatro». (Nel '71, già nel '71, Giuseppe Annese varava «una modesta proposta per vivere in un Paese meno stupido e più civile». Ecco l'incipit: «Siamo intellettualmente degli Apoti. Coloro che non la bevono più. Il contrario dei Beoti». A lui che profetizzò e si oppose ante litteram alla Milano craxiana, alla Milano da bere, l'onore delle armi, meglio: della lettura). suscitò un piccolo pandemonio e un processo per diffamazione, intentato da Bertrand de Jouvenel, in cui fece la sua ultima apparizione, come testimone, Raymond Aron. Un anno dopo il libro apparve in Italia presso una casa editrice di destra (Akropolis), con una prefazione di Marco Tarchi. Oggi ritorna in libreria con una postfazione di Maria Grazia Meriggi che lo riconquista in nome della sinistra. Dopo avere sostenuto che il fascismo non fu «né destra né sinistra» Sternhell rischia di finire squartato tra cavalli che lo tirano in direzioni opposte. Proverò a spiegare, con qualche semplicistica forzatura, perché questo libro sia destinato a provocare una niterminabile sequenza di litigi. Esistono, sulle origini del fascismo, due tesi storiografiche. Per la prima il fascismo è un tumore della storia, una invasione degli iksos, come lo definì Benedetto Croce, o una patologia del capitalismo, come tuttora lo definiscono le sinistre comuniste e socialiste. Per la seconda è una ideologia diffusa, con forti radici nella cultura europea fra '800 e '900, ed è, nelle sue molte sfumature, una risposta non convenzionale («né destra né sùiistra») ai problemi del secolo. Per la prima tesi è una malattia, per la seconda è una medicina diventata veleno. Portate alle loro estreme conseguenze le due tesi producono effetti politici completamente diversi. Prendete ad esempio la Francia. Se è vera la prima tesi, fascisti furono Brasillach, Doriot. Lavai e pochi altri. Se è vera la seconda, il numero dei protofascisti, prefascisti o criptofascisti si ingrossa sino a comprende¬ re, tanto per fare qualche esempio, il giovane Mitterrand e persone apparentemente insospettabili come Emmanuel Mounier, fondatore di Esprit, e Hubert Beuve-Méry, fondatore del Monde. Se è vera la prima, gli occasionali sbandamenti di alcuni intellettuali sono soltanto peccati di gioventù. Se è vera la seconda, è lecito chiedersi fino a che punto il loro flirt con il fascismo non appartenga alla loro cultura e non sia destinato a riemergere nella loro evoluzione successiva. Mi spiego con un esempio. Se è vera la prima tesi, Pietro Ingrao partecipò ai littoriali perché erano l'unica palestra intellettuale dell'Italia di allora. Se è vera la seconda, divenne comunista perché era stato, negli Anni Trenta, fascista di sinistra. Sostenuta da un fascista la seconda tesi è priva di qualsiasi credibilità. Sostenuta da un grande storico ebreo e progressista, diventa naturalmente seria e rispettabile. Cominciano allora le grandi manovre. La destra di ascendenza fascista vede nell'opera di Sternhell la possibilità di uscire dal ghetto in cui la sinistra ha cercato di rinchiuderla. La sinistra riconosce la serietà delle sue analisi, ma teme che esse conferiscano una certa dignità al nemico e si affretta a fare le necessarie distinzioni, come per l'appunto M ria Grazia Meriggi nella sua postfazione. Ah, come è difficile, in Francia e in Italia, pubblicare da sinistra o da destra un libro in cui si afferma che il fascismo non fu «né destra né sinistra». Sergio Romano BAUCHAU, WESTERN DELL'INCONSCIO IL REGGIMENTO NERO Henry Bauchau traduzione: Angela Vitale, Giunti PP- 372 L. 28.000 Bruno Quaranta IL REGGIMENTO NERO Henry Bauchau traduzione: Angela Vitale, Giunti PP- 372 L. 28.000 ENRY Bauchau non è soltanto l'ispirato resuscitatore di miti che i lettori italiani hanno da poco imparato a conoscere. Oltre a Diotima e i leoni, Edipo sulla strada, Il ragazzo di Salamina e alla pièce teatrale su Gengis Khan di recente pubblicata con testo a fronte presso Panozzo da Giovanni Saverio Santangelo, ha scritto raccolte di poesie, una densa biografia di Mao Dzedong e, tra il '66 e il '72, due romanzi, La déchirure, di trasparente matrice autobiografica, e II Reggimento nero che ora le edizioni Giunti, proseguendo nel loro programma di valorizzazione di questo originale e appartato scrittore franco-belga, presentano in un'efficace traduzione di Angela Vitale. In esso Bauchau racconta l'epopea di un giovane belga che, mortificato in famiglia e frustrato nel suo desiderio di farsi artigliere, s'imbarca per l'America con la sua cavalla Carabina, si arruola volontario tra i nordisti nella guerra di Secessione, stringe un sodalizio fraterno con uno schiavo in fuga e insieme con lui dà vita a un reggimento di artiglieri neri. Dapprima uniti e poi drammaticamente separati, i due amici vivono da protagonisti le turbinose vicende della guerra: l'europeo Pierre, che appena sbarcato in America aveva scoperto che «essere bianco non è che uno dei modi di essere uomo», compenetrandosi della specificità americana fino a diventare colonnello di un reggimento nero e poi ad assumere il nome indiano di Cavano Rosso; il nero Johnson uscendo a un certo punto dalla mischia per trasformarsi, dopo una prigionia e una nuova riduzione in schiavitù, in un sensibile maestro di scuola. Per entrambi l'approdo finale sarà la quiete operosa del villaggio di Maisonchaude dove un regime patriarcale sembra miracolosamente realizzare tutte le utopie sociali. struzione di un sogno a partire dall'esile traccia - la frase «Bisogna liberare lo schiavo Johnson» - che al risveglio ne è rimasta nella memoria del narratore. Del sogno conserva la forza propulsiva e la magica capacità di moltiplicare l'energia e la sensibilità umane; ma soprattutto risente della volontà del sognatore che non solo si sforza di fare più vero del vero, descrivendo paesaggi esotici, mettendo in scena personaggi storici come Sherman, Lee e lo stesso Lincoln e ricostruendo lo sviluppo degli eventi fin nei più minuti dettagli delle disposizioni tattiche e della dinamica delle battaglie, ma carica quel vero di oggetti e gesti simbolici di inequivocabile interpretazione (il martello, il cannone, la profanazione del cadavere del nemico) e di quegli uomini d'azione che sono i suoi due eroi - o il suo unico, anci Si tratta però di mi'epopea fantastica, nata come meticolosa rico¬ struzione di un sogno a partire dall'esile traccia - la frase «Bisogna liberare lo schiavo Johnson» - che al risveglio ne è rimasta nella memoria del narratore. Del sogno conserva la forza propulsiva e la magica capacità di moltiplicare l'energia e la sensibilità umane; ma soprattutto risente della volontà del sognatore che non solo si sforza di fare più vero del vero, descrivendo paesaggi esotici, mettendo in scena personaggi storici come Sherman, Lee e lo stesso Lincoln e ricostruendo lo sviluppo degli eventi fin nei più minuti dettagli delle disposizioni tattiche e della dinamica delle battaglie, ma carica quel vero di oggetti e gesti simbolici di inequivocabile interpretazione (il martello, il cannone, la profanazione del cadavere del nemico) e di quegli uomini d'azione che sono i suoi due eroi - o il suo unico, ancipite protagonista - fa due nature raziocinanti che s'interrogano sul senso del loro agire. Perciò il romanzo oscilla tra la terza e la prima persona e a tratti, per coinvolgere anche il lettore nella ricostruzione e nell'interpretazione, perfino la seconda persona plurale. Il fatto è che tanto il quadro delle avventure eroiche quanto la cornice di un'America ricostruita con l'amoroso puntiglio di un Sergio Leone nascono nell'ambito di una psicoanalisi didattica che Bauchau ha seguito con Conrad Stein (a cui il romanzo è dedicato) e si configurano come un risarcimento postumo - di assunzione coraggiosa del proprio destino e di conseguimenti violenti e vittoriosi offerto al padre imbelle e sconfitto dalla vita col quale tendeva pericolosamente a identificarsi. Rispetto a lui disponeva però di quello straordinario strumento di riabilitazione che è la scrittura, capace di sostituire agli angosciosi frammenti della memoria la tra¬ ma compatta di una gratificante invenzione, e il «reggimento nero» del titolo potrebbe anche essere quello delle parole che il figlio dispone sul campo bianco della pagina per riscattare la memoria del padre e salvare se stesso. Così la lotta vittoriosa che gli fa condurre contro i padroni a fianco degli schiavi diventa la trasposizione sul piano storico e sociale di quella edipica che ogni individuo deve affrontare e vincere contro il proprio padre e che qui invece il narratore combatte in nome suo; e quella che ha tutte le caratteristiche di un'epopea fantastica si rivela - senza alcuna comiotazione spregiativa - un «western dell'inconscio», capace di coniugare felicemente la più sfrenata avventura romanzesca col più rigoroso percorso iniziatico di scoperta e affermazione di sé. Giovanni Bogliolo