La «Brutta Italia» dell'arte negata di Gabriele Beccaria

La «Brutta Italia» dell'arte negata La «Brutta Italia» dell'arte negata Fisichella: leggi cervellotiche e finanziamenti ridicoli TESORI ALLO SFASCIO CINQUECENTO miliardi sono tanti o pochi? Secondo il ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni sono un sogno, secondo uno dei padri nobili di «Italia Nostra», Mario Fazio, sono il costo di 20 chilometri d'autostrada. Pochi o tanti che siano, servirebbero per rimettere in sesto Pompei, il museo a cielo aperto più visitato. Adesso per ogni turista con la bocca aperta ci sono una decina di topi, 5 o 6 gatti, un paio di cani randagi. Ogni tanto i reporter inglesi del «Times» e dell'«Independent» scendono tra le rovine e si scandalizzano per i cantieri-fantasma e gli affreschi sciolti dalla pioggia e poi tornano a casa con una smorfia. «Oh, my Godi». Sappiamo di vivere in un Paese di tesori, ma non sappiamo neanche quanti siano, dove siano e come stiano di salute. E allora succede che il direttore dell'Istituto del restauro Michele Cordaro debba compulsare le guide rosse del Touring e le guide archeologiche della Laterza per realizzare il progetto più ambizioso che i Beni Culturali abbiano mai tentato nella loro breve e travagliata vita: catalogare chiese, palazzi e monumenti e realizzare la prima «Carta del Rischio» delle ricchezze artistiche. ((Abbiamo censito 57 mila beni in 8 mila Comuni e stabilito un "indice di pericolosità" a cui sono esposti in relazione al territorio, ai sismi, alle inondazioni, all'inquinamento, alle offese dell'uomo», dice Cordaro. «E in 4 "poh" - Torino, Ravenna, Roma e Napoli - abbiamo anche studiato le singole opere per capire in che condizioni si trovano. Combinando i dati ambientali e i dati strutturali, siamo in grado di formulare il tasso di rischio a cui è esposto un tempio, una villa, un battistero». Il 18 giugno la «Carta» sarà presentata ai sovrintendenti e allora sarà svelata la «top ten» del bello che cade a pezzi tra errori, incuria, furti, restauri sbagliati. Sarà una goccia. «Abbiamo lavorato per 5 anni e con 20 miliardi e siamo appena all'inizio», confessa Cordaro. Per esaurire la ricerca ci vorranno lustri e tanti soldi. «Se i politici ce li daranno». E quando questa fatica di Sisifo si completerà, 57 mila monumenti non saranno nulla di fronte ai 6 milioni di opere macro e micro che il nostro Paese racchiude. «Sono quei milioni la nostra Africa Nera e dovremmo andare lì», dice Fazio. «Come esploratori». Se Veltroni si lamenta di stare seduto su mezzo secolo di disastri, l'ex presidente di «Italia Nostra» è convinto che per prevenire altri drammi dalla Basilica di Noto alla Cappella guariniana di Torino - «bisogna mettere insieme esperti e volontari e dedicarsi alla manutenzione ordinaria, quella che non si fa mai». Un custode qui e una tettoia là farebbero miracoli. Se Pompei si arrocca al vertice delle vergogne nazionali, ogni intellettuale ha la sua dose di denunce, aggiungendo angosce ad angosce. Per Fazio, si dovrebbe fare subito qualcosa per uno dei centri-simbolo della Magna Grecia, l'area archeologica di Locri, oggi in semiabbandono, per l'ex presidente della commissione Cultura della Camera Vittorio Sgarbi il degrado di Villa Torlonia e di quelle campane è intollerabile, per lo storico dell'arte Alvar Gonzalez Palacios è inaccettabile che a Piazza della Signoria a Firenze nessun capolavoro sia sorvegliato, per l'ex ministro dei Beni Culturali Domenico Fisichella sarebbe ora di proteggere dal popolo dei concerti l'Arena di Verona. «E1 un'agonia senza fine», accusa Sgarbi. «Todi, Assisi, Spoleto sono esempi di gioielli salvati, ma altrove i neobarbari hanno devastato tutto con casermoni e monumenti al bersagliere»: «Penso alla Reggia di Racconigi, bellissima, con orribili panchine tutt'intomo, al Musèo Civico di Padova, violentemente ipermodernista, a due passi dalla Cappella degli Scrovegni, a Santa Maria in Carignano a Genova fronteggiata da un impossibile cubo nero, ai giardini del Palazzo Ducale di Modena schiacciati da un grattacielo. Il patrimonio artistico soffre di un'equivoca cultura del moderno che distrugge anche quando vuole preservare». E il vuoto è ingigantito - secondo Fisichella - «da una legislazione labirintica e da gravi carenze finanziarie, tanto che a volte non si riescono a spendere neanche i denari stanziati» (inefficienze per cui Veltroni ha tirato in ballo Io stesso Fisichella e Alberto Ronchey, dimenticando che all'epoca dei grandi fondi congelati, il '95, né l'uno né l'altro erano più ministri). Così - aggiunge - «si fa strada la corrente di pensiero che vuole bloccare nuovi scavi: vista la scarsità di mezzi, solo ciò che resta sottoterra ha speranze di conservarsi intatto». Tra le poche certezze, infatti, c'è questa: ogni giorno spariscono 80 oggetti (a Napoli si sono rubati gli interni di intere chiese e a Palermo le colonne delle ville patrizie), a cui si aggiungono gli scempi peggiori, quelli legalizzati. A Roma «(Antiche Stanze» è la malinconica esposizione su im quartiere imperiale spazzato via dalle ruspe negli Anni 50 per ingrandire la stazione Termini e a Bologna un'altra stazione potrebbe sfigurare per sempre il centro cittadino. Nonostante eroismi isolati - accusa Gonzalez Palacios «non c'è comunicazione tra gli organismi preposti alla tutela e i privati: i primi si comportano come enti punitivi e spesso commettono errori dettati dall'arbitrio quando non dall'ignoranza, mentre i secondi non si identificano nello Stato, che considerano un nemico». Senza «un barlume di coscienza collettiva» - come la definisce Fisichella - la situazione resterà drammatica, con pochi salvataggi riusciti come i restauri degli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo, di Palazzo Carignano a Torino, del Museo Borghese di Roma. «Purtroppo noi difensori storici dei beni culturali ci sentiamo sempre più isolati», confessa Fazio, dopo la morte di quel grillo parlante che fu Antonio Cederna. Memorabile la sua campagna per trasformare in parco l'Appia Antica, eppure non sono bastati 30 anni. Invasa da siringhe, oggi è un lupanare en plein air. «E chi si indigna ancora?». Gabriele Beccaria