A Durazzo di Vincenzo Tessandori

A Durano A Durano Tutto pronto per il D-Day DURAZZO DAL NOSTRO INVIATO L'inferno, qui, sembra non esserci mai stato. Sulle banchine non si aggirano più i mille e mille disperati disposti a bruciare gli ultimi dollari pur di assicurarsi un passaggio «dall'altra parte», anche se «dall'altra parte» non c'è niente. Domani arrivano «gli europei», che poi sono soprattutto italiani e la gente si sente rassicurata, anche se la notte il tempo viene scandito dalle raffiche e chissà quando finiranno, perché lo ha ripetuto anche Romano Prodi, ieri, i soldati del corpo di pace non avranno compiti di polizia., soltanto quello di scortare e sorvegliare gli aiuti fin quando non saranno distribuiti. Dunque, niente compiti di polizia, ripete anche il comandante Hervé Gounnelon, francese, sbarcato ieri dalla Champlain con i primi 120 militari d'Oltralpe. E' sereno, il comandante Gounnelon, perché, dice, «sotto il profilo geografico questa missione è molto simile a quella in Bosnia, ma il nostro mandato è completamente diverso. Siamo qui su richiesta delle autorità locali. Non si tratta di mostrare i muscoli ma di preparare il terreno per gli aiuti umanitari». Ci si rincuora pure, osserva il tenente colonnello Jean-Marc Lebout, «non si sente un'atmosfera ostile». Poco distante, sulla banchina, è onneggiato il Pantelleria, che diventerà ima specie di nave-comando. E Salvo Aricò, 23 anni, guardiamarina, conferma che «non abbiamo alcuna preoccupazione. La situazione a Durazzo del resto è tranquilla e soltanto di notte sentiamo in lontananza alcuni spari isolati. Siamo ansiosi di poter operare». Ma c'è chi non è convinto che l'operazione funzioni, c'è chi teme che sugli aiuti arrivino le mani lunghe delle piccole mafie, se non quelle lunghissime della grande mafia. Gaetano Giovanni Castello, titolare di una ditta di macchinari per il gas, proprio qui a Durazzo, distrutta nei giorni della follia, osserva come fossero in vendita fino a poco tempo fa le ultime lattine d'olio d'oliva portate con l'operazione Pellicano e finite chissà come sui banchi dei mercati. Ora le banchine sono deserte, ma è domenica, e la gente neppure si avvicina. Domani, domani ci sarà il grande sbarco e allora il porto si rianimerà come nei giorni più floridi, quando non partivano carrette arrugginite affollate da gente senza sogni, o con troppi sogni, ma arrivavano cargo carichi di merci o traghettoni zeppi di auto di grossa cilindrata, per lo più rubate, tanto, per l'immatricolazione «ska problem», non c'è problema. Sì, conferma Valentin Hida, comandante della polizia del porto, «per noi i soldati saranno i benvenuti. Ci stiamo attrezzando». Ma sì, anche se la presenza dei militari scombussolerà il ritmo dei traffici, naturalmente quelli illeciti, il comandante fa professione di ottimismo: «Penso a una buona collaborazione e a una migliore intesa. Faremo il nostro dovere e non ci sono dubbi che il popolo di Durazzo sia sempre stato amico del popolo italiano». Anche a Rinas, che è l'aeroporto, c'è aria d'attesa, ieri è proseguito il ponte aereo, per il DDay dev'essere tutto pronto. Alla ricerca della normalizzazione, l'Albania tenta molte strade per arrivare allo scopo, e se non proprio tutti i mezzi sono buoni, anche un'amnistia può essere utile: ne avrebbero goduto seicento detenuti usciti dalle carceri quando le guardie aprirono i cancelli. Son rientrati in 34, confessa Bedri Cioku, vicedirettore degli istituti di pena. Non è rientrato, per esempio, Ramiz Alia, l'erede poco fortunato di Enver Hoxha, condannato per genocidio perché voleva prolungare an'irìfmito il Medio Evo. Ma non è irreperibile, semplicemente sta a casa sua, in attesa di conoscere il futuro. Vincenzo Tessandori

Persone citate: Aricò, Enver Hoxha, Gaetano Giovanni Castello, Pellicano, Ramiz Alia, Romano Prodi, Valentin Hida

Luoghi citati: Albania, Bosnia, Durazzo, Pantelleria