Il Papa: Sarajevo, l'unica via èil perdono di Marco Tosatti

perdono Il Pontefice incontra separatamente i tre presidenti bosniaci: non rassegnatevi all'ingiustizia perdono Messa allo stadio sotto la neve per uno stanco Wojtyla SARAJEVO DAL NOSTRO INVIATO Tremante di freddo, nel vento e nella neve, sul povero palco di tubi e stoffa dello stadio di Sarajevo, Papa Wojtyla, stanco, ha lanciato la sua preghiera ai protagonisti, e alle vittime degli orrori di solo ieri: perdonate, e chiedete perdono. Avrebbe ripetuto molte altre volte quelle parole, nel corso della giornata, un pellegrinaggio nell'odio e nella diffidenza; una serie di incontri fra nemici di ieri, e tiepidi alleati di oggi. L'ha detto al metropolita Nikolaj, esponente di quella chiesa ortodossa serbo-bosniaca principale responsabile del mancato viaggio del '94; l'ha ripetuto ai notabili musulmani, ebrei, cristiani, ai tre «presidenti» collegiali, incontrati ciascuno separatamente; e infine, ai vescovi cattolici. Un primo risultato, in fondo, per la Bosnia, questo viaggio l'ha avuto. Da Mostar, anche se scortati dalle autoblindo dello Sfor, sono arrivati cinquanta autobus di cattolici; e altrettanti dal Nord. Non è poco, vista la difficoltà ancora presente di spostarsi da una zona all'altra dell'ex Jugoslavia. Alle quattro di mattina, hanno cominciato ad affluire allo stadio. Il Papa non ha riposato né molto, né molto bene; il rumore degli elicotteri che vegliavano suD'arcivescovado ha garantito sicurezza, ma non il sonno. Sicurezza: quando il Papa è arrivato, sabato, il cardinale aveva appena ricevuto una lettera autografa del Presidente Izetbegovic, amareggiato per la scoperta delle mine e dell'esplosivo. «Se questo può servire a qualcosa scriveva il politico musulmano - mi offro di accompagnare il Papa, di stare accanto a lui dall'aeroporto fino alla città». Insomma da fargli da guardia del corpo. L'offerta è stata cortesemente apprezzata e declinata; e il Papa ha rifiutato anche l'ipotesi di un trasferimento in elicottero. Ma comunque la sicurezza è l'incubo di questi giorni. Autoblindo italiane e olandesi pre- sidiavano lo stadio, per non parlare della polizia locale; cani poliziotto passeggiavano lungo il perimetro dello stadio, per fiutare eventuali esplosivi; e per tutto il tempo che è durata la messa, vari elicotteri non hanno smesso di pattugliare, a bassa quota, le montagne dietro lo stadio, quelle da cui gli obici serbi bersagliavano Sarajevo. Qua, di armi di tutti i generi ce ne sono ancora tante. Per arrivare allo stadio si passa davanti a un cimitero, amplissimo, di vittime della guerra; poi alle rovine del Palazzo del Ghiaccio, così splendente di luci nelle Olimpiadi invernali dell'84; e sulla sinistra, le pendici dei colli biancheggiano fitte di croci recenti. Quando Giovanni Paolo 11 è giunto, stava cominciando a cadere una neve secca, nel vento, che si è infittita via via che la cerimonia proseguiva. Giovanni Paolo II si è sedu¬ to, immobile, avvolto nell'abito liturgico, da cui mons. Piero Marini scuoteva di tanto in tanto la neve. E' la prima volta che il Papa celebra una messa in quelle condizioni. Dopo qualche minuto è stato trovato un ombrello: bianco, giallo, e con un po' di rosso. E infine è arrivato l'ombrello candido del Pontefice; che però ormai tremava visibilmente, a momenti, mentre mons. Marmi cercava di stargli più vicino possibile. Perdono e riconciliazione, è stato il motto del Papa, ieri. «Ciascuno deve tornare nella casa che aveva prima della guerra», quello di Izetbegovic, che ha lamentato la lentezza di applicazione degli accordi di Dayton, firmati, ha confessato al Papa, anche perché «al momento della firma abbiamo accolto i suoi ripetuti appelli alla pace». Sincero? Forse non completamente, ma co¬ munque gentile, verso un uomo anziano e malato che si è sottoposto a un tour de force micidiale, per soddisfare un desiderio, e forse un voto. «Già da alcuni anni il Papa desiderava ardentemente di poter venire di persona tra voi - ha confessato Giovanni Paolo D. -. Oggi finalmente il desiderio si è avverato». Voleva venire qui - come andrà a Beirut a maggio - perché «Sarajevo è diventata simbolo della sofferenza di tutta l'Europa in questo secolo»; e da qui voleva pregare Dio, affinché «non abbiano a ripetersi le sue tragedie nel millennio ormai alle porte». Nella strada principale di Sarajevo a poche decine di metri di distanza si allineano la Sinagoga, la cattedrale cattolica, quella ortodossa, e la principale moschea. «Queste terre, nelle quali Oriente e Occidente hanno sentito più acuta la fatica del dialogo e del¬ la reciproca collaborazione, sono diventate il simbolo del nostro secolo seminato di amarezze», ha detto il Papa, chiedendo che adesso diventino un esempio a tutti i popoli europei, «per un impegno solidale sulla via della pace». Nel rispetto dei diritti di tutti, e di ciascuno. E Papa Wojtyla è partito lasciando ai vescovi un mandato: «Levare la voce profetica per denunciare le violenze, smascherare le ingiustizie, chiamare per nome ciò che è male, difendere con ogni legittimo mezzo le comunità che vi sono affidate», spesso vittime di «intimidaziom o atti di intolleranza. Non abbiate paura di far sentire la vostra voce con ogni mezzo legittimo a vostra disposizione, senza lasciarvi intimorire da nessun potere terreno». Marco Tosatti Un ombrello protegge Papa Giovanni Paolo II dall'improvvisa nevicata durante la messa celebrata ieri mattina nello stadio di Sarajevo

Persone citate: Giovanni Paolo, Giovanni Paolo D., Giovanni Paolo Ii, Izetbegovic, Papa Wojtyla, Piero Marini, Wojtyla

Luoghi citati: Beirut, Dayton, Europa, Jugoslavia, Sarajevo