Il Papa nella Sarajevo islamizzata

Il Papa nella Sarajevo islamizzata Presidiate le chiese e persino gli striscioni di benvenuto dopo attentati e atti vandalici Il Papa nella Sarajevo islamizzata Arriva oggi, ma la Bosnia mùltietnica non c'è più SARAJEVO DAL NOSTRO INVIATO Grazio, Santo Padre, benvenuto tra noi. I manifesti che ricoprono macerie bosniache e pietraie dell'Erzegovina vorrebbero dare il senso di ini giorno storico, di un momento di svolta. Ma è su quel «:ioi» ebe il messaggio si slabbra, prima ancora che mani misteriose lo strappino dai muri. Pensava di averle viste tutte, questa città, ma non ancora guardie davanti alle sedi religiose e poliziotti a sorvegliare i cartelli, eppure dopo gli attentati alle chiese sta succedendo. E' il nuovo volto della multietnicita. Tre anni fa l'immagine che annunciava l'arrivo del Papa, poi rinviato, mostrava un Karol Wojtyla vestito di bianco che usciva da una nuvola con le braccia aperte, quasi ad accogliere tutte le sofferenze della gente. Adesso' la foto è più ricercata, formale, il Papa dei cattolici indossa i paramenti, impugna il pastorale, l'abbraccio si tramuta ni benedizione. Forse da quell'8 settembe del '94 Giovanni Paolo non è cambiato, ma la Bosnia sì. Questo adesso è un Paese musulmano. Lo e diventato in senso politico, esattamente come l'Erzegovina può definirsi regime cattolico, o autocrazia ortodossa la Serbia di Pale. In una progressione speculare, dagli accordi di Dayton in poi, in ogni parte della regione i gruppi dominanti hanno escluso gli altri prima da posizioni di potere, poi da ogni possibilità d'influenza. «Io dico che in Bosnia i cattolici rischiano l'estinzione non solo in conseguenza della guerra ma a causa delle varie leadership politiche», commenta sconsolato Pero Sudar, vescovo di Sarajevo. E' appena accaduta una cosa singolare. In un'enorme sala stampa il vescovo si apprestava a parlare e proprio in quel momento l'organizzazione bosniaca ha aperto il «buffet», con conseguente migrazione di famelici reporter. «Che vuole, in questo Paese anche i pranzi possono avere significato...», e il commento. A Sudar però preme chiarire il discorso sulle minoranze. Il vescovo non si riferiva solo ai bosniaci, anche la cattolicissima Croazia ha diritto alla reprimenda, «Guardi che cosa sta accadendo a Zagabria: richiamano gli emigrati cattolici ma non li fanno tornare in Bosnia, anche se erano originari di qui. Non ò dunque che solo i musulmani discriminino i cattolici. Da ogni parte, se la maggioranza è schiacciante le minoranze soffrono». Allora, ecco la Bosnia che il Papa si appresta a visitare: un frammento di territorio costretto a definirsi attraverso la religione, un Paese strangolato da nemici e finti alleati, luogo senza più illusioni. Gli aiuti per la ricostruzione arrivano a rilento, collegati com'erano a un processo di pace ormai mummificato. Il teorico governo collegiale di bosniaci, croati e serbi si è riunito una sola volta, e soltanto per confermare le reciproche distanze. In Erzegovina, con balzelli e ialse frontiere i nipotini di Tudjman continuano a esaspe- rare tensioni che esplodono in vampate improvvise. A Mostar e Livno i manifesti di benvenuto sono altri. Dicono: «Il Papa arriva per noi». Ecco ancora una volta quel «noi». I cattolici di Sarajevo, dalle alte gerarchie all'ultimo fedele, respingono ogni tentativo di appropriazione, insistono sul valore ecumenico di questo incontro. In Erzegovina le cose sono molto di- verse. «Il Santo Padre arriva per i suoi fedeli. Andiamo a Sarajevo, partecipiamo alla visita, mostriamo a tutti che la spiritualità cattolica di questa terra ha radici lunghe tredici secoli», dice il proclama appena partito da Livno. A lanciarlo non è la Chiesa ma il comitato provinciale dell'Hdz, partito che vorrebbe sostituirsi a essa, oltre che allo Stato. Quasi ad attutire l'eco della visita, Tudjman ha fissato proprio per domenica le elezioni amministrative, eppure alcuni pullman sono annunciati, altri arriveranno dalla Repubblica Serba. Le tensioni rischiano di acuirsi. Da Unsko-Sanki, cantone del Nord Ovest, un sindaco che si chiama Asim Korcic scrive al Papa una lettera aperta. Chiede: «Santo Padre, dopo la vostra visita la ero- ce di Pocitelj sarà tolta?». Quella croce in cemento, alta dieci metri, oggi sorge esattamente dove gli erzegovesi hanno distrutto e spianato una moschea, incombe quasi minacciosa sulla strada dove usano radunarsi pattuglie di giovani vestiti di nero, pronti a bloccare ogni auto con targa bosniaca. «Ave Papa», scrive Gojko Beric, uno dei commentatori più acuti (e moderati) di Bosnia. Il benvenuto è cordiale e sincero, come sincere sono le preoccupazioni. «Gli erzegovesi, Santità, vivono sentimenti confusi, qualcuno si sente tradito dai preti. Quegli stessi che all'inizio della guerra concedevano agli "ustascia" l'assoluzione anticipata da ogni crimine di guerra. Lei crede ancora, Santità, che Bosnia ed Erzegovina possano essere Stati multicoiifessionali? Riuscirà, almeno Lei, a fare in modo che questa guerra non ancora finita possa trasformarsi in un autentico inizio di pace?». Neanche il Papa è onnipotente. Sarajevo l'attende disillusa e un po' preoccupata per quel che potrebbe accadere. Nelle vie laterali non c'è neanche un manifesto, le rifugiate dalle campagne coi loro veli continuano a incrociare ragazze in minigonna e pattinatrici in calzamaglia. Nei pochi angoli ricostruiti, quelli dei bar, giovanotti senza lavoro continuano a perdere giornate dietro un caffè. Perfino l'Islam, in questa città strangolata, comincia a mostrare un volto estenuato. Le distanze invece, quelle restano. L'altro ieri, in un dibattito multiconfessionale il moderatore ha salutato l'ebreo con lo «shalom», l'ortodosso col «pomoz bog». Non ha detto «salaam» perchè l'imam non c'era. Benvenuto allora, Santità: ma forse per influire sulle cose è troppo tardi. Giuseppe Zaccaria Musulmani, ortodossi e cattolici hanno occupato tutto nelle tre sezioni in cui il Paese è spartito Il vescovo: qui rischiamo l'estinzione Un fedele: «Santità dopo la sua partenza la croce sparirà?» Un poliziotto militare americano con il suo cane specializzato nella ricerca di esplosivi sul palco allestito nello stadio Olimpico di Sarajevo ' [foto reutersj

Persone citate: Arriva, Asim, Giovanni Paolo, Giuseppe Zaccaria, Karol Wojtyla, Tudjman