«lo killer? Ma Calvi si suicidò»

«lo killer? Mg Calvi si suicidò» L'uomo accusato di aver fatto uccidere il banchiere si difende: non sono mai stato pilotato «lo killer? Mg Calvi si suicidò» Carboni: la sua morte per mefu un danno ROMA. «Falsità, illazioni, idiozie. Puttanate». L'uomo accusato di aver consegnato Roberto Calvi nelle mani dei suoi carnefici non riesce a star fermo per quanto è agitato. Rovescia giudizi pesanti sull'ordine di carcerazione che non l'ha rispedito in galera, ma lo bolla come assassino. Nello studio del suo avvocato, doppiopetto blu e dolcevita dello stesso colore, Flavio Carboni non si dà pace: si alza e si siede in continuazione, parla a raffica col suo inossidabile accento sardo, mangiandosi intere frasi; perfino quel continuo pettinarsi j sembra un tic nervoso. La sua autodifesa comincia con un'ammissione. Non di colpa, ma di leggerezza: 'Ma avuto rappporti con degli usurai, è vero, ma ciò non significa che sia loro complice. Anche perché gli stessi rapporti li hanno avuti tanti altri imprenditori, come Cabassi, Tanzi e Berlusconi». Dottor Carboni, qui si parla dell'omicidio di Roberto Calvi. «Omicidio, e chi l'ha detto?». Perché, lei crede al suicidio? «Io non credo a niente. So solo che appena ho saputo di quella morte ho avuto paura anch'io, ma poi le indagini fatte dagli inglesi hanno parlato di suicidio, e Calvi, una volta falliti tutti i tentativi di salvarsi, poteva anche decidere di farla finita. In ogni caso, se pure è stato un omicidio, erano altri ad avere interesse alla sua fine, non certo io». Chi? «Uomini della finanza, del mondo dell'editoria, delle banche, del Vaticano. Gente che aveva interesse a mettere le mani sulle ricchezze di Calvi». Nomi? «Nessun nome, è meglio». E la mafia, non aveva interesse a uccidere Calvi? «E che ne so io della mafia? Nel mandato di cattura si parla dei miei rapporti con Pippo Calò, ma io l'ho conosciuto come signor Mario, tra il '79 e l'80, e l'ho visto in tutto due o tre volte. Mi ha fatto avere un mutuo, che poi ho restituito, tramite una terza persona. Basta». Ci sono dichiarazioni di pentiti, non solo di mafia, che in tempi e modi diversi forniscono una versione univoca dei fatti. Lei ci crede? «Io credo a quel che so, e cioè che nessuno di quei pentiti fa il mio nome. Sanno sempre tutto, ma di me non sanno niente. Sarebbe possibile se davvero c'entrassi qualcosa?». Veramente Antonio Mancini, un pentito della Magliana, dice che lei era considerato «persona interna alla banda». «Ma il giudice istruittore mi ha lasciato fuori dal processo alla Magliana. Vorrà dire qualcosa, oppure no? Questo mandato di cattura è pieno di riferimenti a fatti e inchieste da cui io sono sempre uscito pulito». Torniamo al suo viaggio a Londra nei giorni della morte di Calvi. Perché ha mentito ai giudici dicendo che arrivò il 16 giugno 1982, anziché il 15? «Io non ho mentito affatto. Sono arrivato il giorno prima della scomparsa di Calvi, l'ho incontrato a Hyde Park, lui mi disse "Mi aiuti ancora Carboni, vedrà che ce la faremo", e io avevo tutto l'interesse ad aiutarlo, perché avrei guadagnato bei soldi. Poi non l'ho più visto né sentito, e che era morto l'ho saputo telefonando in Ita¬ lia. Allora sono scappato a Edimburgo, e ho cercato il giudice Sica». Ma dagli accertamenti di polizia risulta che lei arrivò un giorno prima. E che ha mentito sulle telefonate che fece all'albergo di Calvi. «Che cosa vuole che le dica? Evidentemente sono accertamenti falsi, le ho già detto che quel documento è pieno di fandonie». E i soldi? Secondo l'accusa lei fece da tramite con Calvi per riciclare denaro mafioso. «Sì, parlano di 800 milioni che erano di Diotallevi (imprenditore considerato vicino alla banda del¬ la Magliana e a Calò, ndr), per i quali lui è stato condannato e io assolto». Parlano anche di 19 milioni di dollari che lei ricevette da Calvi. «Quelli erano soldi miei, che io gli avevo prestato». I magistrati sostengono che sono spariti. «Ma se mi furono subito sequestrati! Poi io ho fatto ricorso, perché erano soldi legittimi, e al processo d'appello per il crack del Banco Ambrosiano ho rinunciato al ricorso, una transazione con la quale la banca ha rinunciato alla costituzione di parte civile nei miei confronti. In quel processo una cosa risulta chiara e incontrovertibile: che fino all'ultimo io ho aiutato Calvi». II figlio di Calvi, Carlo, non la pensa così, e sostiene che lei era pilotato da Claudio VitaIone, «fedelissimo» di Andreotti. «E sì, qui mi pilotano tutti, Vitalone, Calò... Ma che sono io, un robot? Io Claudio Vitalone l'ho visto in qualche occasione, una volta ho accompagnato Calvi da lui, ma non so che cosa si siano detti. E ho organizzato uno o due pranzi con Andreotti. Tutto qui. Quanto al figlio di Calvi, fu proprio suo padre a dirmi che era un poco di buono di cui non ci si poteva fidare». Giovanni Bianconi «I miei incontri con i politici? Vidi alcune volte Vitalone e organizzai 2 pranzi con Andreotti Quanto al figlio Carlo fu il padre a dirmi che era un poco di buono» A fianco, il faccendiere Flavio Carboni. In alto, il ponte dei Frati Neri a Londra dove fu trovato impiccato il presidente del Banco Ambrosiano il 18 giugno del 1982

Luoghi citati: Edimburgo, Londra, Roma