il prestigiatore dell'Italia sotterranea di Filippo Ceccarelli

il prestigiatore dell'Italia sotterranea il prestigiatore dell'Italia sotterranea Una vita tra monsignori, banchieri e strangolatori I MISTERI DI CARBONI MROMA ONS1GNORI, banchieri e strangolatori. E basterebbero in fondo queste tre categorie, con le relative ambientazioni, a giustificare un film sulla vita di uno dei più straordinari personaggi degli anni Ottanta, quel Flavio Carboni che solo con ostinato auto-lesionismo giornalistico si può ancora definire «faccendiere». Mentre, come sembra ai giudici, ma anche a chi conservi un po' di memoria e di curiosità, è molto di più. Non giunge perciò del tutto a sorpresa, il suo malricordo. Tornano alla mente le foto di lui che spacca tavolette vestito da karateka; oppure sono le circostanze che te lo fanno immaginare mentre traffica intorno alla borsa di Calvi, e ci mette dentro carte, le toglie, sostituisce chiavi, frega o viene fregato, non si capisce bene, da vescovi cecoslovacchi dai nomi naturalmente impronunciabili, tipo Hnilica. E poi vende il tutto alla Rai, Carboni, che aveva anche l'hobby del prestigia- tore, sul serio, e istruiva il suo assistente-cuoco in pelliccia di visone a fargli delle finte telefonate davanti agli ospiti illustri, e lui cerimonioso: «Ma sì, presidente, stia tranquillo», e poi finiva a nascondere gioielli dentro pentole a pressione sotterrandole carponi sotto la cuccia del cane. E il truce Pippo Calò una volta lo prese a schiaffi, mica lo ammazzò (che non è proprio la cosa più normale in quell'ambientino lì) men- tre lui forse vendette a Cosa nostra il povero Calvi, che magari alla fine ci si era pure affezionato... Per cui: che altro meglio di un film su Carboni? Pecorino, Rolls Royce, passaporti falsi e morti ammazzati. Certo, nella pellicola entrerebbero a pieno titolo anche usurai, ministri, contrabbandieri, capi massoni, «donnine», proprietari di tv, portieri d'albergo, spioni, falsari, editori e addirittura pastori sar¬ di, giacché per strabiliare lo spaventatissimo presidente del Banco Ambrosiano una sera Carboni si offrì di portarlo, sul momento, in Barbagia a mangiare il porceddu. Il guaio è che Calvi non solo pendeva dalle sue labbra, ma implorava l'aiuto di questo sardo piccolino e ciarliero, sveltissimo, simpaticissimo, d'incommensurabile vocazione casinistica e maestosa capacità di dir bugie. Uno che succhiava quattrini e faceva pure il prezioso: «Ma cosa posso fare, Carlo, non riesco nemmeno a far la pipì, scusa la volgarità!». La frase è originale, incisa su nastro magnetico e trascritta a beneficio di chi voglia ricostruire i gusti e la sensibilità anche antropologica di una certa Italia sotterranea che si stava facendo un po' troppo intraprendente. Autentica, comunque, come l'invettiva, sempre recitata al disgraziato banchiere, contro non meglio identificati «nemici maledetti, questi rapinatori, questi mascalzoni, questi malfattori che la stanno violentando e che sono venuti a giocare in casa nostra». Di qui la promessa di trovargliela sempre lui una casa nuova: «tranquilla, murata, stramurata, blindata. Gliela trovo io». Te lo raccomando, Caiboni, e la sua casa blindata. Sulla base dei provvedimenti della magistratura queste calde rassicurazioni suonano, a dire il vero, agghiaccianti. Un po' come il soprannome con il quale Carboni intendeva farsi chiamare da Calvi: «il dottor Penicillina». Nel mai abbastanza lodato «Indice degli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2», pubblicato dalla Camera nel 1995, Carboni è menzionato (anche) come «Cirio» e «Piccolo Fratello», insieme con moglie, figli, fratelli, amanti, cognato, suocero, segretaria, centralinista, portiere, impiegato e consulente. Di suo sfiora le 400 citazioni, distribuite in 14 volumoni, quasi sempre a rischiarare con la sua avventurosa presenza quintalate di noia documentaristica. Ma quando è stato interrogato dalla Commissione - almeno tre volte - ancora non si sapeva che nel periodo in cui s'era appiccicato a Calvi, il più immaginoso faccendiere della storia d'Italia era già ben collegato con un sanguinario segmento di Cosa nostra e con quell'altra spaventosa agenzia del crimine che era la banda della Magliana. Come potesse Carboni impiantare affari con Berlusconi e ricevere a casa sua - proprio nei giorni del congresso che stava per eleggerlo segretario - De Mita, oltre al Gran Maestro della massoneria Corona e all'editore Caracciolo, beh, è il mistero tutto italiano di una diabolica capacità di farsi accettare da futuri potenti degli anni Ottanta che ancora di più alla fine dei Novanta lascia sgomenti, come una specie di recondita lezione di vita e di potere. Come in un vero noir, dopo tutto, di quelli che non sai mai se finiscono bene o male. Filippo Ceccarelli Una maestosa capacità di dire bugie I collegamenti con la banda della Magliana Il banchiere Roberto Calvi

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