Condanna per terrore all'imputato Iran

Condanna per terrore all'imputato Iran Il vertice del Paese accusato di essere mandante di una strage. L'Ue richiama gli ambasciatori Condanna per terrore all'imputato Iran Sentenza a Berlino apre una crisi fra Teheran e l'Europa BONN. Con una sentenza che rende i dirigenti di Teheran complici di un atto di terrorismo l'assassinio di quattro oppositori curdi - i giudici di Berlino hanno ieri affossato il «dialogo critico» che da tempo l'Unione Europea, e la Germania in particolare, intrecciavano con l'Iran nonostante le critiche americane. La Corte di Berlino ha stabilito che il massacro del settembre 1992 nel ristorante «Mykonos», compiuto da un iraniano e tre libanesi, condannati a lunghe pene detentive, era stato deciso a Teheran. L'ordine era venuto da un comitato segreto del quale fanno parte la massima autorità religiosa del Paese e il Presidente della Repubblica teocratica, rispettivamente Ali Khamenei e Hashemi Rafsanjani, i cui nomi non sono stati però pronunciati quando il Presidente della Corte, Frithjof Kubskh, ha letto la sentenza. Al governo di Bonn, che da tempo si preparava al peggio, non restava che trarre le conclusioni: accusando Teheran di «eclatante violazione del diritto internazionale» ha richiamato in patria l'ambasciatore e, se non ha per il momento rotto le relazioni diplomatiche, ha annunciato che si ritirava dal «dialogo critico». Poche ore dopo da Bruxelles, l'Unione europea invitava i quindici Stati membri a richiamare gli ambasciatori e da Washington giungeva il plauso degli americani, che da anni denunciavano i legami degli europei con un regime in odore di terrorismo. L'Iran, che per la prima volta da quando nel 1979 venne istituita la Repubblica islamica si è visto addossare chiaramente responsabilità nell'eliminazione di oppositori all'estero, ha reagito negando gli addebiti e affermando che la sentenza è «politica». «L'accusa non è vera», ha detto a Mosca dove si trova in visita il presidente del Parlamento iraniano, Ali Aqbar Nateq-Nuri e, dopo aver deplorato che il processo abbia «preso una piega poli¬ tica», ha aggiunto: «Più volte abbiamo chiesto ai dirigenti tedeschi di fornirci le prove se ne hanno. Ma finora non è stato fatto». Teheran ha a sua volta richiamato in patria per consultazioni l'ambasciatore a Bonn, Hussein Mussavian, che prima di partire è stato convocato al ministero degli Esteri. Il governo tedesco, gli è stato detto, ritiene che nell'interesse di entrambi i Paesi sia preferibile evitare un aggravarsi della situazione. Ma intanto a quattro funzionari delle rappresentanze iraniane è stato ingiun¬ to di lasciare la Germania. La sentenza di ieri ha posto fine ad un processo durato oltre tre anni e mezzo e che a giugno scorso raggiunse un primo apice con la deposizione dell'ex presidente iraniano Abolhassan Bani Sadr, costretto da anni a vivere in esilio a Parigi. Il testimone «eccellente» accusò direttamente, sostenendo di disporre di prove, Khamenei e Rafsanjani e dovette risultare convincente se, nel novembre successivo, il pm Bruno Jost accusò i leader iraniani di aver ordinato l'attentato. Seguirono massicce proteste a Teheran: folle indignate per l'offesa diretta contro il loro leader spirituale manifestarono davanti all'ambasciata di Bonn lanciando uova e sassi e chiedendo la condanna a morte del magistrato berlinese. Il ricordo di quei giorni di tensione non è valso ad impedire ai giudici di emettere la sentenza che rende giustizia a Sadegh Sharafkandi, leader del partito democratico del Kurdistan in Iran, venuto a Berlino per una riunione dell'Internazionale socialista, a due suoi collaboratori e a un interprete. Quali autori materiali del massacro sono stati condannati all'ergastolo l'iraniano Kazem Darabi, il principale imputato, e il libanese Abbas Rhayel. Altri due libanesi, Yussef Amin e Mohamed Atris sono stati condannati rispettivamente ali anni e a 5 anni e 3 mesi di reclusione mentre un quinto imputato, anche lui libanese, Atallah Ayad, è stato assolto per insufficienza di prove. Davanti al tribunale, protetto da severe misure di sicurezza, si erano riuniti vari gruppi dell'opposizione iraniana, fra cui i «mujaheddin del popolo». Massud Rajavi, capo del Consiglio nazionale iraniano dei gruppi di resistenza in esilio ha fatto giungere un messaggio per sottolineare come per la prima volta un tribunale europeo abbia «portato alla luce le responsabilità di Khamenei e Rafsanjani». [a. g.] Il libanese Atallah Ayad assolto per insufficienza di prove