Faccia a faccia Pacini-Di Pietro di P. Col.

laccio a faccia Pacini-Di Pietra In tribunale a Monza anche Davigo e Ghitti laccio a faccia Pacini-Di Pietra MONZA. «Io a Pacini Battaglia ho fatto 37 interrogatori, chiesto 40 rogatorie, e ho firmato il suo rinvio a giudizio pochi minuti prima di dimettermi. Quindi da me Pacini ha avuto soltanto disastri: sì, diciamolo, in questo senso l'ho sbancato». Non ci sono fotografi e tv ad ascoltare Antonio Di Pietro parte civile in uno dei tanti processi querela, cui ha dato vita da quando si è dimesso da incarichi pubblici. Eppure, in tribunale a Monza, davanti al presidente Maddalo, per la prima volta sfilano e testimoniano uno dopo l'altro i protagonisti delle inchieste più clamorose degli ultimi mesi: quelle di la Spezia e di Brescia. Non solo parlano Di Pietro, Italo Ghitti, Piercamillo Davigo, l'avvocato Lucibello, ma soprattutto, e a sorpresa, in prima assoluta racconta pubblicamente la sua verità quel Francesco Chicchi Pacini Battaglia che i magistrati di Brescia ipotizzano sia stato concusso dall'ex magistrato. E lo fa guardando in faccia Di Pietro. «Io sono stato interrogato da Di Pietro molte volte, credo almeno 60 ore», attacca «Chicchi» con voce tonante. E Di Pietro, chiede l'avvocato Brusa, difensore dell'ex pm, le ha mai chiesto denaro? «Assolutamente mai, in nessun modo». Ha mai ricevuto trattamenti di favore da lui? «Mai, figuriamoci, l'ho detto anche ai pm di la Spezia, quando mi fecero leggere la famosa intercettazione di "sbancato" o "sbiancato", ma non l'hanno verbalizzato». Il suo avvocato le disse di aver trattato con Di Pietro per la sua consegna a Milano il 10 marzo del '93? «Io so che parlò con Davigo e Colombo». E' una mossa abile quella di Di Pietro che anche questa volta arriva prima dei suoi accusatori a mettere in scena un processo su fatti che lo riguardano. Lo spunto è fornito da un articolo comparso sul Giornale nel febbraio del 1996, firmato dal giornalista Giorgio Mule, imputato di diffamazione. «I sospetti di Pacini Battaglia», titola il servizio. Occhiello: «Nel '93, grazie agli attuali legali di Di Pietro, riuscì ad evitare il carcere». «E' un sommario sbagliato», riconosce preliminarmente l'avvocato Guido Viola, difensore del Giornale. Ma a Di Pietro non basta. Il pezzo, che riporta in sostanza un verbale di Pacini reso nell'ottobre del '95 davanti ai pm di Brescia Salamone e Bonfigli circa le modalità del suo arresto e del suo primo interrogatorio il 10 marzo del '93, venne infatti citato come fonte di prova anche nel famoso rapporto dei Gico di Firenze consegnato ai pm di La Spezia. «Questo articolo - dice Di Pietro - è l'innesco di una miccia che esploderà nei mesi successivi». Pacini Battaglia, spiega l'ex pm, fu destinatario di due ordini di cattura, talmente riservati che nel primo provvedimento «fu fatta una sua identificazione in itinere per non farlo sapere in giro». Inoltre, dice Di Pietro, «si parla sempre solo di un avvocato di Pacini, ovvero Lucibello, mentre il banchiere all'epoca ne aveva anche un altro, Manola Murdolo». Aggiunge Piercamillo Davigo: «Ricordo che un giorno Di Pietro mi telefonò dal suo ufficio dicendomi che fuori aspettava Lucibello e che non gli voleva parlare, perché conoscendolo bene, avrebbe potuto tradirsi circa l'emissione dell'ordine di cattura per il suo cliente Pacini. Così lo mandò da me. Io negai: il provvedimento era così segreto, che successivamente l'allora colonnello Cerciello protestò con noi perché avevamo imposto al maggiore Magistro della Guidi non farne parola nemmeno con i suoi superiori». E non è un aspetto irrilevante, dato che proprio uno dei difensori di Pacini, ovvero Manola Murdolo, era in buoni rapporti con Cerciello. L'affondo finale arriva da Italo Ghitti, allora gip di Mani Pulite, oggi al Csm: «Nessun favore venne fatto a Pacini: decisi io, dopo 10 ore d'interrogatorio, in base al contributo rilevantissimo alle indagini dato dal banchiere». Il processo riprenderà a giugno. [p. col.]

Luoghi citati: Brescia, Firenze, La Spezia, Milano, Monza