Il premier «sfida» l'Ulivo di Augusto Minzolini

Il premier «sfida» Pulivo Il premier «sfida» Pulivo D'Alema: il suo atteggiamento è offensivo FROMA ORSE l'ha voluto, forse no, ma il presidente del Consiglio è riuscito nel difficile intento di peggiorare, se era possibile, i rapporti con il nocciolo duro dei partiti della sua maggioranza, le forze che compongono l'Ulivo. Un'insoddisfazione che è emersa nelle dichiarazioni ufficiali degli esponenti del pds, del ppi e degli uomini di Dini e che è si è trasformata in critica feroce in quelle non ufficiali. Cos'è accaduto? Il professore, tra i tanti guai che lo assillano, ieri era nella situazione migliore per porre delle condizioni a tutti perché - come ha spiegato lui stesso nella replica «una crisi in questo periodo rovinerebbe il Paese». Invece, di sfruttare il frangente per riportare alla ragione Rifondazione comunista, Prodi l'ha usato per sfidare Ulivo e pds. La «vulgata» del giorno racconta che Massimo D'Alema ha definito 0 discorso «offensivo», che se l'è presa perché il premier «non ha fatto nessun riferimento né al pds, né al ppi mentre ha citato pure il patto Segni dimenticando che è passato all'opposizione». L'uomo del Bottegone ha accusato il professore «di aver ignorato la grave rottura con Rifondazione per tenersela buona», precisando che «il nodo di Bertinotti non è ancora stato sciolto». Sia vero o meno tutto questo, sia vero o meno che anche Dini abbia parlato di «imbroglio» perché nel Consiglio dei ministri il premier gli aveva preannunciato tutt'altro discorso, che Franco Marini sia rimasto di stucco («Se fosse per me non gli voterei la fiducia») e che lo stesso ineffabile Walter Veltroni non abbia nascosto il proprio stupore, conta poco a questo punto. Quello che conta è capire se il comportamento del premier è razionale, o se Prodi, per usare un'espressione dello stesso Angius, si è calato nella parte dell'«apprendista stregone». Probabilmente il presidente del Consiglio persevera nell'errore di sottovalutare la situazione, si ostina a credere che l'unico fronte aperto sia quello con Rifondazione, che l'arbitro della sua sopravvivenza sia Bertinotti e non altri. Non si è accorto, o fa finta di non accorgersi, della sofferenza dei suoi alleati più vicini. Crede ancora che i voti del pds, del ppi e, soprattutto, di Dini gli siano dovuti, che per spazzare via ogni prospettiva politica diversa (si tratti di larghe intese o di al- tro) gli basti aumentare la polemica con il centrodestra (immemore della mano che il Polo gli ha dato per garantire la missione in Albania). Con tutto il rispetto per il professore, non è più così. Se fino a oggi il problema della sopravvivenza ha riguardato solo Rifondazione, se quel «primum vivere» è stato finora l'alibi del solo Bertinotti e delle sue mosse talvolta irrazionali, adesso Prodi deve tener conto che un comportamento simile potrebbero averlo altri. Ad esempio, al punto cui sono giunte le cose, un cambio di marcia è necessario anche per l'esi¬ stenza dell'ala moderata dell'Ulivo: o il governo si emanciperà dal condizionamento di Rifondazione, o la presenza di Dini e del ppi non avrà più senso. Se per l'area moderata la situazione è diventata insostenibile per una questione vitale come il consenso, per il pds il problema è diverso ma non meno drammatico. In questi mesi D'Alema lo ha detto e ripetuto più volte: nella sua prima volta dentro la stanza dei bottoni, la sinistra non può accontentarsi solo di governare ma deve «innovare». Ne va del suo futuro, visto che nel Paese non è maggioranza. Finora il professore ha ignorato la domanda che gli viene dall'area moderata dell'Ulivo e dal pds. Per mettersi al riparo, per garantirsi ha preferito comporre le esigenze dei partiti dell'Ulivo con quelle di Rifondazione, mediare tra il programma con cui si sono presentati alle elezioni D'Alema-Marini-Dini con quello di Bertinotti. Ha collocato l'asse dell'azione del suo governo, per assecondare Bertinotti, alla sinistra del pds. E' storia di questi mesi, è storia di ieri. E ieri, malgrado il «vulnus» del voto dell'Albania, malgrado le richieste di una verifica della maggioranza, questa situazione non è cambiata. Forse perché non si fida di D'Alema, forse perché pensa che i voti di Marini li abbia in banca, il capo del governo più che parlare all'Ulivo ha parlato a Bertinotti. Abbiano ragione o no, questa è la sensazione che hanno avuto i suoi alleati. In fondo bisogna capirli: quando entra in gioco l'istinto di sopravvivenza si rischia di diventare irrazionali. Lo sappia il professore. Augusto Minzolini

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