La voce dell'indecifrabile di Primo Levi

La voce dell'indecifrabile Norberto Bobbio ricorda l'amico scomparso: il dovere di capire e far capire che cosa è avvenuto La voce dell'indecifrabile Primo Levi nell'inferno dei degradati jTI come se entro quell'uni/ verso di orrore la vittima non avesse altra scelta che questa: «Se non vor- rai morire subito - e per essere subito ucciso basta il più piccolo atto di rivolta, anche soltanto un sorriso di scherno devi lasciarti trasformare in un bruto, in un non-uomo, appunto». Levi commenta: «Il sopravvivere senza rinunciare a nulla del proprio mondo morale non è stato concesso che a pochissimi individui superiori, della stoffa dei martiri e dei santi». Se capire e far capire significa cogliere l'essenza della cosa, l'essenza del Lager è racchiusa in questo brano: «I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l'hanno sepolta sotto l'offesa subita o inflitta altrui. Le SS malvagie e stolide, i Kapos, i politici, i criminali, i prominenti grandi e piccoli sino agli Hàftlinge indifferenti e schiavi, tutti i gradini dell'insana gerarchia voluta dai tedeschi, sono paradossalmente accomunati in una unitaria desolazione». Padroni e schiavi, carnefici e vittime, oppressori e oppressi, persecutori e perseguitati, corruttori e corrotti, emersi e sommersi, sono, se pure per opposte ragioni, partecipi di una identica degradazione: non uomini gli uni, non uomini gli altri. Solo non uomini possono convivere insieme in un unico mondo con altri non uomini, non importa quale sia il loro posto, in alto o in basso, in quest'ordine rovesciato. A proposito delle Squadre speciali, composte da coloro, in genere ebrei, che per un piccolo momentaneo beneficio hanno accettato di discendere un gradino in più della degradazione, compiendo i servizi più ignobili, si racconta che fosse avvenuta persino una gara di calcio tra costoro e le SS, cosa mai avvenuta, e, inconcepibile, con altre categorie di prigionieri. «Dietro questo armistizio - è il commento di Primo - si legge un riso satanico... Vi abbiamo abbracciati, corrotti, trascinati nel fondo con noi... Anche voi, come noi e come Caino, avete ucciso il fratello. Venite, possiamo giocare insieme». Nulla di più banale, di tradizionale, quasi un luogo comune nella storia umana che la descrizione di uno sterminio. Penso alla Breve relazione della distruzione degli Indi del vescovo Bartolomeo Las Casas. Il processo di disumanizzazione, invece, deve essere registrato e analizzato con la meticolosità, la freddezza, il rigore del sapiente indagatore. E occorre per carpirne il segreto un'attitudine profes¬ sionale alla riflessione e la bravura dello scrittore. A proposito del denudamento collettivo, una intollerabile offesa al sentimento primordiale del pudore, osserva: «Era una conseguenza logica del sistema: un regime disumano diffonde ed estende la sua disumanità in tutte le direzioni, anche e specialmente verso il basso... corrompe anche le sue vittime e i suoi oppositori». Dopo aver raccontato che la giornata del Lager era costellata di innumerevoli spoliazioni vessatorie conclude: «Chi non ha gli abiti, anche quelli immondi che venivano distribuiti, non percepisce più se stesso come un essere umano, bensì come un lombrico: nudo, lento, ignobile, prono al suolo. Sa che potrà essere schiacciato ad ogni momento». A causa della mancanza di uno strumento elementare come il cucchiaio, che esiste anzi ne esistono migliaia e migliaia nei magazzini, ma bisogna comprarlo, «la zuppa quotidiana non potrà essere consumata altrimenti che lappandola come fanno i cani». La mente del narratore corre all'episodio di Gedeone che sceglie i suoi guerrieri tra coloro che bevono al fiume non come fanno le bestie, ma solo quelli che bevono in piedi, recando la mano alla bocca. Il lavoro cui sono destinati i prigionieri è un lavoro da schiavi, da uomini ridotti «a bestie da soma, tirare, spingere, portare pesi, piegare la schiena sulla terra». Le donne dovevano spostare la sabbia ognuna dal suo mucchio a quello della vicina di destra, in un girotondo senza scopo e senza fine, perché la sabbia tornava da dove era venuta. Scene analoghe di lavoro faticoso e inutile sono state descritte da Dostoevskij nelle Memorie di una casa di morti. Anche dei cadaveri veniva fatto un «empio uso», come di un oggetto di nessuno, bruta materia, «di cui si poteva disporre in modo arbitrario». «Invenzione auschwitziana autoctona» Levi chiama il tatuaggio, indelebile, il cui significato era chiaro: «Di qui non uscirete più; questo è il marchio che si imprime agli schiavi, al bestiame destinato al macello, e tali voi siete diventati. Non avete più nome: questo è il vostro nuovo nome». Una delle tante domande che Primo si pone è: «Come mai nei Lager nessuno aveva tentato di togliersi la vita?». Ci riflette su e risponde: il suicidio è proprio dell'uomo e non dell'animale. Gli animali «asserviti» si lasciano, se mai, morire, ma non si uccidono. Il racconto di questa abiezione culmina nell'episodio, su cui lo scrittore torna anche nel libro I sommersi e i salvati, dell'impiccato, alla cui impiccagione sono costretti tutti ad assistere e che prima di morire grida: «Compagni, io sono l'ultimo». Primo è nella massa di coloro che sono stati costretti ad assistere. Scrive così: «Vorrei raccontare che fra noi, gregge abietto, una voce si fosse levata, un mormorio, un segno di assenso. Ma nulla è avvenuto. Siamo rimasti in piedi, curvi e grigi, a capo chino e non ci siamo scoperti la testa che quando il tedesco ce l'ha ordinato». Nel capitolo sulla «vergogna» nei Sommersi e i salvati, di fronte alla spietata domanda ricorrente degli studenti, cui Primo parla spesso dell'esperienza dei Lager: «Ma perché non vi siete ribellati?», gli torna in mente episodio deH'«ultimo» e prova oggi, ma non aveva provato allora, irrazionalmente quasi un senso di colpa: «Anche tu forse avresti potuto, certo avresti dovuto». Di questo imposto avvilimento c'è pure una spiegazione che non possiamo non definire razionale, «non priva di logica, ma che grida al cielo»: la riduzione dell'uomo a bestia rende incolpevole qualsiasi sopruso che su di essa venga compiuto. Tanto razionale, se pure secondo la ragione strumentale, che lo stesso argomento fu usato dai conquistatori spagnoli, quando mettevano in dubbio, per giustificare i loro massacri, che gli indi avessero un'anima, fossero uomini veri. Primo Levi, dunque, ha capito o cercato di capire, anche se per capire sa che bisogna «semplificare». Tutto il bene da una parte, tutto il male dall'altra. La storia è sempre più complicata, ed è per questo che, prima di giudicare, bisogna cercare di capire. Ma di una cosa almeno si è reso conto con certezza. Quello che è avvenuto è irrevocabile: «Non avrebbe potuto essere lavato mai più, avrebbe dimostrato che l'uomo, il genere umano, noi insomma, eravamo potenzialmente capaci di costruire una mole infinita di dolori e che il dolore è la sola forza che si crei dal nulla, senza spese e senza fatiche». Irrevocabile. Anche irripetibile? Vi sono due domande cui anche chi si è sforzato di decifrare l'indecifrabile non è in grado di dare una risposta tranquillizzante, domande che Levi stesso chiama «convulse». Prima domanda: perché è avvenuto? Ogni spiegazione che sinora sia stata data dagli storici che studiano le cause e gli effetti sembra inadeguata, tanta è la sproporzione tra le categorie che adoperiamo per interpretare gli eventi e l'enormità di quell'evento. Levi non dà una risposta. Anzi, nulla rivela l'incertezza della risposta quanto l'uso, talora, della categoria del «demoniaco» che è per un laico come Primo Levi, fermissimo nella propria convinzione, anzi tanto più j l'ermo dopo l'esperienza del Lager, l'indizio di uno smarrimento. Definisce l'organizzazione delle Squadre speciali «il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo», un delitto che provoca nei vincitori «un riso satanico». Seconda domanda: l'evento è destinato a ripetersi? Anche in questo caso una risposta chiara non c'è. L'inquieto testimone si limita a dire che a breve scadenza la ripetizione è «poco probabile ma non impossibile». Ma aggiunge: «Di un futuro più lontano non ha senso parlare». Le due risposte, come del resto le due domande, sono strettamente connesse tra loro. L'incertezza delle prime si ripercuote sulla incertezza delle seconde, e viceversa. Se non conosciamo bene la causa dell'evento, che senso ha porsi il problema della sua ripetibilità? Se non è stato previsto la prima volta come possiamo pretendere di prevedere se e quando avverrà la seconda volta? Delle due grandi domande, la prima è difficile, la seconda assurda, e diventa tanto più assurda quanto più non ha trovato una risposta certa la prima. Non abbiamo bisogno di dire all'autore di Se questo è un uomo, uomo di ragione e di scienza, che la ragione ha dei limiti. Lo sapeva benissimo. E non possiamo chiedergli di più. Norberto Bobbio si abbiamo abbracciati, corrotti, trascinati nel fondo con noi: anche voi come noi e come Caino avete ucciso il fratello» Gli intemati ridotti a bestie per rendere incolpevoli i soprusi su di loro: lo stesso argomento usato dai conquistatoti spagnoli Padroni e schiavi, carnefici e vittime, a Auschwitz sono tutti partecipi di un identico dramma: non uomini gli uni, non uomini gli altri ifrabile degradati rsario che ha diretto che di Gerusaa il 1988 e il decimo annil aprile 1987). a ricordata da niele Del Giulichiamo inte migliaia e miini, ma bisogna ppa quotidiana consumata alpandola come mente del narpisodio di Ge i suoi guerrieri evono al fiume e bestie, ma sono in piedi, rela bocca. Il lastinati i prigio da schiavi da di morti. Anche dei cadaveri veniva fatto un «empio uso», come di un oggetto di nessuno, bruta materia, «di cui si poteva disporre in modo arbitrario». «Invenzione auschwitziana autoNel capitolnei Sommersite alla spietarente degli sparla spesso Lager: «Ma pribellati?», gepisodio deoggi, ma nonlora, irrazionsenso di colpavresti potutvuto». Di quemento c'è puche non possrazionale, «nma che gridazione dell'uoincolpevole che su di essTanto raziondo la ragione stesso argomconquistatormettevano inficare i loro mdi avessero uomini veri. Primo Levo cercato di capire sa checare». Tutto itutto il male sempre più cquesto che, bisogna cercuna cosa almcon certezzanuto è irrevobe potuto esavrebbe dimogenere umanvamo potencostruire unalori e che il dche si crei dasenza faticheIrrevocable? Vi sono dche chi si è l'indecifrabdare una rizante, domachiama «comanda: peOgni spiegastata data ddiano le caubra inadeguporzione tradoperiamo eventi e l'e Primo Levi visto da Levine Da sinistra un'immagine giovanile dello scrittore e l'inferno di Auschwitz

Persone citate: Casas, Dostoevskij, Levine, Norberto Bobbio, Primo Levi

Luoghi citati: Auschwitz